Festeggiamo la Liberazione da protagonisti
Intervistata da Riflessi, Noemi Di Segni spiega perchè è importante che anche gli ebrei italiani siano presenti alle celebrazioni del 25 aprile, e qual è la posizione dell’ebraismo italiano sulla guerra in Ucraina
Noemi Di Segni, dopo 2 anni, gli italiani tornano oggi a celebrare e a festeggiare in pubblico il 25 Aprile e la Liberazione. Perché è importante anche per noi ebrei italiani essere presenti in questo giorno?
Credo che essere ebrei italiani significhi avere consapevolezza e partecipare a pieno alle vicende della nostra storia nazionale. Per questo, è giusto e necessario ricordare il 27 gennaio, con la liberazione di Auschwitz, ma è allo stesso modo giusto e necessario che gli ebrei siano presenti anche il 25 aprile. Questa è infatti una data legata alla nostra storia nazionale ed ebraica: nella resistenza partigiana c’erano molti ebrei italiani, e tra i militari alleati che hanno liberato il nostro paese c’era la Brigata ebraica. Perciò è giusto vivere questa giornata con la consapevolezza di questa data. Forse alcuni di noi avvertono di più le festività legate al calendario ebraico, eppure io sono convinta che la data del 25 aprile deve essere pienamente vissuta come nostra, perché fondamentale per la nostra storia di ebrei italiani.
Eppure ogni anno le polemiche non mancano; mi riferisco in particolare alle modalità di celebrazione decise dall’Anpi.
Lasciami prima dire che, in generale, come in tutte le istituzioni, contano poi molto le persone che le rappresentano, e la loro sensibilità. L’Anpi è nata con una certa missione storica e sociale: tramandare la Resistenza e la partecipazione dei tanti partigiani che hanno combattuto per la libertà contro il nazifascismo. Oggi tuttavia assistiamo a un mutamento, dovuto all’inevitabile ricambio generazionale: i partigiani scompaiono, e il loro posto è preso da persone della generazione successiva. Allora ci troviamo davanti a questa domanda: qual è la funzione essenziale che oggi esercita l’Anpi? La nostra sensazione è che l’Anpi vada in altre direzioni, diverse da quelle sue istituzionali. Il che è grave, tanto più se si riflette che parliamo di un’associazione finanziata dal ministero della difesa.
A cosa ti riferisci?
All’apertura verso i centri sociali, all’ingresso di figure che non c’entrano con la storia partigiana del nostro paese, che poi porta a scelte che noi contestiamo fermamente. Non solo il 25 aprile, ma un po’ tutto l’anno. Certo, poi il 25 aprile i pregiudizi contro gli ebrei emergono con maggiore evidenza. Nello specifico, ogni 25 aprile si presenta la volontà dell’Anpi nazionale di voler dare spazio e voce a idee strumentali. Dovremo festeggiare la resistenza al nazifascismo, e invece, in nome di una equivoca idea di Resistenza, si dà spazio a realtà che non c’entrano nulla, in particolare si dà voce alle frange Propal, si mischia il 25 aprile con la questione palestinese: questo è il nocciolo del problema. A Roma, per questo motivo, per l’ostilità che il corteo organizzato dall’Anpi mostra verso la Brigata ebraica e verso gli ebrei italiani, da più di 10 anni c’è un problema evidente, che non permette alcuna conciliazione, perché ogni volta poi all’ultimo momento succede che nel corteo si infilano le associazioni Propal, con piena loro legittimazione da parte dei vertici Anpi. Questo per noi è inaccettabile. A Milano non è così, anche se poi lì succede che alcuni piccoli gruppi si infiltrino nel corteo ufficiale: lo sappiamo, lo contestiamo, ma decidiamo che il nostro stendardo a Milano sia presente, perché Milano è medaglia d’oro della resistenza. Detto questo, a Roma l’Ucei, assieme alla comunità di Roma, deporrà una corona a Porta San Paolo, e poi si raccoglierà al museo di via Tasso; per i motivi che ho indicato, non sarà invece presente a nessun altro momento pubblico.
Quant’è forte ancora il pregiudizio antiebraico in Italia?
È molto forte, e purtroppo è anche molto aumentato, specialmente in collegamento alle questioni israeliane, che molti legano pregiudizialmente a noi ebrei italiani. Sono ancora moltissimi gli italiani che leggono la questione israelopalestinese a senso unico, addossando a Israele tutte le colpe e, di riflesso, anche agli ebrei italiani. Si tratta ovviamente di una ricostruzione in mala fede, o frutto di ignoranza, che si somma agli stereotipi consueti – come quello della “finanza ebraica”, ad esempio –, latenti o espliciti, ma il “pregiudizio palestinese” oggi mi sembra il più pericoloso. Assistiamo, salve rare eccezioni, a una lettura del tutto distorta del conflitto.
Parlando di guerra e di Liberazione, quest’anno viene spontaneo penare alla guerra in Ucraina. Qual è la posizione ufficiale dell’Ucei?
Come Unione abbiamo condannato, proprio 2 mesi fa – era il 24 febbraio, giorno dell’avvio della guerra – esplicitamente e in modo chiaro l’invasione russa, definendo quella guerra come un attacco alla sovranità dell’Ucraina. In questo non c’è stato nessun tentennamento. Vorrei sottolineare l’importanza della posizione espressa dall’ebraismo italiano, che non è stato per esempio possibile replicare a livello europeo, dove, pur condannando la guerra, una serie di considerazioni ha spinto a una maggiore prudenza.
Perché?
Sia il WJC (World Jewish Congress), presieduto da Ronald Lauder, che l’EJC (European Jewish Congress), presieduto da Moshe Kantor, hanno tenuto conto della necessità di salvaguardare la posizione dell’ampia comunità che vive in Russia. È per questo che ritengo che l’Ucei abbia assunto una posizione coraggiosa e necessaria, con la scelta politica esplicita di condanna della guerra del presidente Putin.
Eppure, anche nel mondo ebraico italiano ci sono dei dubbi.
È vero, e in parte li comprendo. Mi riferisco ad esempio a quel sentimento di diffidenza che, soprattutto tra gli ebrei più anziani, si mostra verso la storia dell’Ucraina, un paese che durante l’ultima guerra ha visto notevoli stragi a danno degli ebrei, compiute dai nazisti spesso in collaborazione con la popolazione locale. Tuttavia, queste considerazioni, unite al fatto che sappiamo bene che anche Israele ha scelto una posizione di mediazione [Israele ha votato contro la Russia all’Onu, ma non si è associata al sistema delle sanzioni economiche, o all’invio di armi o materiale di difesa, n.d.r.], credo non debba sottrarci dal dare un giudizio su quello che avviene oggi, e che certo richiede un’analisi geopolitica complessa. Tuttavia, davanti alla devastazione e ai crimini di guerra non abbiamo avuto tentennamenti. Non possiamo negare che c’è stato un attacco.
Come giudichi la posizione italiana?
Personalmente sono favorevole che l’Italia aiuti anche militarmente l’Ucraina, anzi, per me è un grande tormento l’idea di non poter fornire un aiuto più concreto, per timore delle minacce nucleari paventate dalla Russia. Credo infatti che se l’Ucraina avesse più forza nel difendersi, la guerra finirebbe prima. In generale, resto convinta che ci siano delle situazioni dove moralmente è giusto difendersi e usare le armi per evitare altri crimini e altre devastazioni. Non possiamo lasciare la follia avanzare, perciò condivido la scelta del governo italiano.
E quanto a noi? Cosa sta facendo l’Ucei per l’emergenza umanitaria?
Il nostro impegno diretto è sul fronte della solidarietà, cioè di sostegno alle famiglie che sono arrivate in Italia.
Quante sono?
Non molte, perché occorre tener conto che moltissimi ebrei ucraini hanno scelto di rimanere nei paesi vicini alla guerra, nella speranza di tornare presto a casa, oppure di andare in Israele. Comunque, al momento ci facciamo carico, anche con le comunità locali, di una decina di nuclei familiari, tra Roma, Genova, Bologna, Milano, qui grazie a una task force coordinata dall’assessore UCEI al Welfare, Hasbani. A questi nuclei, tralasciando ora ogni questione relativa alla definizione di ebreo in senso halachiko, noi prestiamo aiuto nella loro vita quotidiana. Non è poco, se pensiamo che per noi la sfida nell’accoglienza è ardua, visti i numeri dell’ebraismo italiano.
Vorrei terminare questa intervista parlando proprio dell’ebraismo italiano. Tu sei al secondo mandato come presidente Ucei. Come è partita questa nuova consiliatura?
La consiliatura è ormai avviata da alcuni mesi, tutti gli organismi si sono costituiti e sono in funzione, sono loro il polmone progettuale dell’Ebraismo italiano. Adesso è il momento di unire progettualità e concretezza, e di mettere in atto le tante idee proposte e annunciate, durante le elezioni e all’avvio della consiliatura. Dobbiamo passare dalle idee ai fatti.
Che priorità ti sei data?
L’emergenza ucraina non deve distoglierci dalle nostre priorità. Direi che per le sfide verso l’esterno – in sintesi: cultura e lotta all’antisemitismo – abbiamo delle linee di attività consolidate, cui si stanno aggiungendo nuovi progetti che presto saremo in grado di definire ed avviare. Per quanto riguarda invece il nostro mondo, dobbiamo investire su formazione, scuola e giovani, e naturalmente welfare. Ciò richiede progetti concreti, a maggior ragione nell’anno in cui finalmente stiamo uscendo dal virus. Dobbiamo recuperare assolutamente quelle zone di solitudine e isolamento che hanno inciso sui giovani e sulle famiglie. Dobbiamo tutelare e investire sul rafforzamento della nostra identità, perché purtroppo con il lockdown prolungato molti giovani si sono allontanati: pensa solo ai ragazzi tra gli 11 e i 13 anni, quando la vita cambia radicalmente, e molti hanno perso occasioni che non tornano indietro. Dovremo allora collegarci anche ai movimenti giovanili e con tutte le comunità. Inoltre registro il fatto che in comunità piccole ci sono stati o ci saranno cambi di rabbini, e questo è sempre un momento delicato. Mi auguro che anche con il supporto dell’Ari [Assemblea rabbinica italiana, n.d.r.] si riorganizzi al meglio e presto la vita comunitaria, perché nessuna comunità dovrebbe rimanere senza rabbino.
Come si riesce a far convivere gli impegni istituzionali e familiari, tenendo conto che i tuoi figli vivono in Israele?
Non è sempre facile, anche perché tieni conto che io ho scelto di continuare a lavorare a tempo pieno [come responsabile dell’ufficio Attività internazionale del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, n.d.r.]. In pratica, dopo il lavoro l’Unione riempie tutti gli altri spazi. La mia famiglia è in Israele, è vero che i figli sono grandi, ma lì ho due nipoti, e poi i figli richiedono sempre attenzione! Nei due anni di pandemia più dura certo la tecnologia, a me come a tutti noi, è stata di grande aiuto. Oggi faccio la pendolare, ma le nuove tecnologie mi hanno permesso sempre di rimanere in contatto.
Come vivi questa doppia dimensione, italiana e israeliana?
Il mio cuore è sempre stato in Israele, è una realtà che m’accompagna in continuazione, dove oltre alla famiglia ho i miei migliori amici. Naturalmente mi sento un’ebrea italiana che rappresenta l’Unione, ma ho sempre tenuto in parallelo le mie due dimensioni: quella israeliana, e quella italiana.
Un’ultima domanda. A inizio consiliatura hai ottenuto un’investitura più ampia di quella ricevuta 4 anni fa; in particolare, hai avuto l’appoggio immediato anche di Menorah, con cui già avevi lavorato nella consiliatura precedente. Credi che una possibile alleanza tra Binah e Menorah sia replicabile anche in futuro?
Penso che tra i due gruppi da sempre sia naturale immaginare una maggiore sinergia, perché essi, per varie ragioni, generazionali e personali, si presentano omogenei, e potrebbero riaggregarsi in forme nuove in futuro. Tutti sappiamo che tra noi c’è un’altissima affinità. Non mi riferisco solo all’essere più o meno laici, più o meno vicini alle forze politiche nazionali più democratiche e riformiste, ma anche sul modo con cui si servono le istituzioni, cioè come le si gestisce, e con quali finalità. Certo, anche le affinità culturali sono marcate: penso a una certa idea di convivenza tra diversi modi di essere ebrei, che poi fa parte della tradizione dell’ebraismo italiano. Per questo, auspico che continui questo ulteriore consolidamento.
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2 risposte
Una intervista così piena e che ha trattato molti argomenti sensibili e coraggiosi in un momento particolare. Complimenti al vostro lavoro .
Grazie Noemi del tuo grande e prezioso impegno. Anche l’AJC ricorda oggi il coraggioso contributo dei volontari delle Brigate Ebraiche alla vittoria del 25 aprile 1945, e si schiera a fianco dell’Ucraina aggredita in questa guerra orribile odierna.