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Proteggiamo la morbidezza dell’ebraismo italiano

Simonetta Della Seta, nella Giornata europea delle cultura ebraica,  spiega a Riflessi perché è importante per gli ebrei italiani dialogare, e tornare a farlo con l’ebraismo europeo

Simonetta, ci parliamo al telefono con il Mediterraneo a dividerci. Il tuo trasferimento in Israele è definitivo?

Per noi in realtà è un ritorno. Abbiamo vissuto in Israele moltissimi anni, poi per un periodo siamo tornati in Italia per stare vicini alla famiglia, e poi c’è stata la bellissima esperienza di costruire il MEIS [Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah, n.d.r.]; terminata quella, siamo tornati a Gerusalemme.

Che cosa fai ora in Israele?

Mi dedico finalmente alla ricerca, su alcuni temi che avevo messo da parte, tra cui quello del sionismo italiano. Sto lavorando a diverse pubblicazioni. Sono inoltre attiva nella International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA –  l’Alleanza intergovernativa che si occupa di Shoah), nella quale sono membro della delegazione italiana. In particolare, sto lavorando sulle problematiche legate alla distorsione della Shoah, che ormai viene espressa a tantissimi livelli.

Hai fatto prima riferimento alla direzione del MEIS, ma già in passato, per molti anni, hai collaborato con varie istituzioni per promuovere la cultura italiana, tra cui quella ebraica. Oggi la giornata europea della cultura ebraica è dedicata ai “dialoghi”. Innanzitutto, c’è un tratto caratteristico della cultura ebraica italiana?

Simonetta Della Seta illustra al presidente Mattarella la mostra “Italia ebraica” al MEIS

Sono stata direttrice di chiara fama dell’Istituto Italiano di Cultura in Israele, e poi, in seguito, sono rimasta diversi anni consigliere dell’ambasciatore italiano. Ovviamente promuovevo tutta la cultura italiana e non solo quella ebraica, ma nel 2007 ho organizzato in Israele una grande mostra – con più di 200 oggetti –  dal titolo ITALIA EBRAICA, che ha fatto conoscere la specificità del nostro ebraismo a moltissimi israeliani. L’ebraismo italiano è caratterizzato da un aspetto fondamentale e unico: è radicato nel territorio da molto più tempo di quanto qualsiasi altra comunità della diaspora. Questo elemento ha un peso notevole. Il fatto che gli ebrei siano in questa penisola da 2200 anni ci rende una comunità e una cultura molto speciali.

In che modo?

Perché ne forgia un carattere tipico: credo infatti che l’ebraismo italiano sia di fondo un ebraismo moderato.

Cosa intendi?

una Mappà del XVIII secolo custodita al Museo ebraico di Roma

Questo lungo incontro tra noi e la cultura italica – la chiamo così perché stiamo parlando di un processo cominciato ben prima della nascita della nazione moderna – ha creato una influenza reciproca. Certo non è stato sempre un abbraccio: c’è stata la persecuzione cattolica di matrice cattolica, c’è stata l’espulsione degli ebrei dal meridione sotto gli spagnoli, ci sono stati i ghetti, fino al trauma della discriminazione e della persecuzione sotto il regime fascista. Però, in definitiva, la lunga e continuativa convivenza ha trasmesso all’ebraismo italiano un carattere moderato, mediterraneo. Non a caso, gli ebri italiani si definiscono italiani anche nel rito, né ashkenaziti, né sefarditi, sebbene le nostre comunità abbiano accolto nei secoli sia ebrei sefarditi che ashkenaziti. Nella nostra cultura ebraica c’è più morbidezza rispetto alle altre culture ebraiche: come se avessimo assorbito la bellezza poetica di paesaggi italiani ed alcuni tratti di un carattere mediterraneo in cui viviamo da due millenni.

Questa tua espressione, “morbidezza”, mi piace molto. Come la declineresti?

un tessuto testimonianza dell’arte ebraica italiana

Essa si esprime nei canti, nel modo di vivere, nell’ambito familiare, nella vita dentro la sinagoga, nello studio, nella solidarietà, nei rapporti tra sessi, nei rapporti tra noi e gli altri. Da direttrice del MEIS ho visitato moltissimi musei ebraici: sono stata in Olanda, in Polonia, in Francia, in Austria, in Germania ecc. Lì mi sono resa conto ancora di più di quanto il carattere dell’ebraismo italiano sia antico, intersecato con la cultura italiana e per certi versi rimasto per tradizione anche vicino all’ebraismo di Eretz Israel, della Terra di Israele, con la quale c’è stato nei secoli uno scambio continuo, grazie alla vicinanza geografica. Per questo l’ebraismo italiano, pur piccolo nei numeri, ha dato un contributo sia alla cultura italiana che a quella ebraica generale. Già nel medioevo e nel rinascimento si vede questo scambio. Recentemente ho riletto i diari del rabbino David Prato, che presto saranno pubblicati: un esempio di un bagaglio ebraico ricco, aperto, umanista. Insomma, noi ebrei italiani siamo in fondo degli umanisti.

Ritrovi questi caratteri anche nell’attuale rabbinato italiano?

(continua a pag. 2)

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