Nella memoria di mio padre ho saldato il cerchio di famiglia
Anna Foa, storica, racconta a Riflessi delle sue origini familiari, a cosa serve conservare il passato, e come vede il futuro del nostro paese
Anna, ti va di cominciare dalla tua famiglia?
Certo. Sono nata a Torino alla fine di dicembre del’ 44, figlia di Vittorio Foa e Lisa Giua. Mio padre era un ebreo socialista, laico, antifascista, che per questo scontò 8 anni di carcere, e che con la Repubblica fu sindacalista, politico, eletto all’Assemblea costituente. Mia madre invece non era ebrea, proveniva da una famiglia del tutto laica, figlia di professore universitario, e con uno zio, Renzo Giua, che morì nella guerra civile spagnola, combattendo contro il franchismo e il fascismo. I miei genitori si misero insieme durante la resistenza; mia madre venne fatta prigioniera dalla banda Koch che era incinta di me al sesto mese, rischiammo entrambi, per così dire, la deportazione; per fortuna i partigiani la liberarono assaltando il carcere di San Vittore. Dopo la guerra mio padre venne a Roma nel 1950, al seguito di Giuseppe Di Vittorio, e così ci siamo tutti trasferiti; eravamo 3 fratelli. Poi i miei genitori si separarono nel ’78 – mia madre era una dei dirigenti di Lotta Continua, ma continuò sempre a farsi chiamare Luisa Foa, aiutò molto la Polonia e Solidarnoch; quando mia madre morì, nel 2005, mio padre si sposò con la sua compagna, Sesa Tatò, vivendo tra Formia e Roma.
Mi parli un po’ di più di tuo padre, una figura che è ancora oggi un simbolo di giustizia e probità a sinistra?
Mio padre, come ti ho detto, era molto laico, anche se il nonno era stato rabbino capo di Torino a cavallo del secolo. In nome del suo laicismo quando è morto, nel 2008, non ha voluto funerali ebraici. Tuttavia fece in tempo a vedersi consegnare il certificato di appartenenza onoraria alla Comunità di Roma, da parte del rabbino capo e da Riccardo Pacifici. Si definiva un ebreo assimilato, aggettivo che però io da storica gli contestavo. Se leggiamo le sue lettere dal carcere, per esempio – Michele Sarfatti ne parla come uno dei rari casi di chi aveva già capito l’esito autoritario e persecutorio del fascismo – si vede che il suo interesse per le radici ebraiche era fortissimo. Suo padre era abbastanza religioso, mia nonna invece era atea e scienziata. Io andavo da loro in Liguria, d’estate, mio padre chiese al suo di darci la benedizione del sabato sera; io ricordo lo stupore nel sentire queste parole in ebraico.
Tuo padre che pensava di Israele?
Venne a visitarlo solo 1 volta sola, nel periodo in cui invece io facevo spesso la spola, perché a quel tempo avevo un fidanzato israeliano; aveva quasi 90 anni, andammo al muro occidentale, lui ne fu molto emozionato. Ovviamente, era molto critico sulla politica israeliana, specie per la guerra in Libano del 1982, in cui si trovò molto vicino a Primo Levi. Seguiva moltissimo la politica israeliana, aveva amici diplomatici, chiedeva notizie, aveva un’impostazione laburista.
Come reagì alla Guerra dei sei giorni, che segnò una frattura tra Israele e la sinistra?
Ti rispondo con un aneddoto che raccontava sempre: quando si seppe della vittoria di Israele, a casa loro c’era un diplomatico russo, ebreo; tutti e due brindarono felicissimi alla vittoria di Israele.
Veniamo a te. Il tuo ingresso nella nostra comunità quando è avvenuto?
Io ho fatto la conversione a 42 anni, con rav Toaff.
Cosa ti ha spinto a questa scelta, presa da donna adulta?
Una risposta
Accogliamo il monito a studiare la storia! Grazie Anna