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Biscotti kosher e famiglia, ecco il mio mondo

Laura Raccah da oltre 10 anni vende dolci kosher con metodo artigianale, e con un’attenzione particolare al sociale

Laura, come è iniziata la tua storia tra i dolci?

Da ragazzina ho iniziato dal liceo scientifico, ma non è andata bene. Allora sono passata alla scuola alberghiera, perché comunque, già quando avevo 15 anni, sognavo di lavorare in cucina. È stata mia madre a trovarmi questo indirizzo, e provai, scoprendo così che la scuola alberghiera è ottima, dà una buona preparazione. Finiti gli studi pensavo di specializzarmi e diventare chef, ma poi, verso i 20 anni, mi sono resa conto che lavorare in cucina è estremamente difficile, ti dà un’adrenalina molto dura da gestire, è un mondo molto competitivo. Inoltre è ancora un mondo per lo più maschile, con turni molto stancanti.

E invece fare i dolci?

Il bello di fare i dolci, invece è…che si preparano di mattina! La vita è più umana, e poi è un’attività che richiede calma, concentrazione.

Mi parli della tua azienda, “Il mondo di Laura”?

Siamo nati 11 anni fa. “Il mondo di Laura” è un’azienda artigianale che guarda ai grandi clienti – in pratica: alla grande distribuzione – a differenza dei miei competitor, che hanno rapporti con clienti piccoli. Attualmente fatturiamo poco meno di 1 milione di euro. Quando siamo partiti era nato anche Eataly, e in quel momento il lavoro artigianale era molto richiesto. Solo che per un artigiano confrontarsi con la grande distributore non è sempre facile.

Perché?

Il nostro prodotto è molto diverso da quello che si trova normalmente sugli scaffali di una grande supermercato. Noi produciamo biscotti con metodo artigianale, però c’è che ci considera pasticceria industriale, comunque a metà tra la piccola e la grande distribuzione. Per questo abbiamo bisogno di farci conoscere meglio, pur tenendo conto della difficoltà che nasce per non avere una realtà simile a noi da comparare.

Qual è la vostra strategia commerciale al momento?

Negli ultimi anni abbiamo deciso di concentrarci a Roma, dove siamo più forti. È stata una scelta presa durante il Covid. Roma è una città enorme, che dà molte opportunità. Anche se non raggiungiamo tutte le zone – in particolare le borgate – siamo forti in altre, come in centro. Per esempio nei punti di vendita nelle zone con presenza ebraica siamo diventati un punto di riferimento; del resto, come si sa, una famiglia ebraica quando fa la spesa compra anche le scorte.

Quanti dipendenti occupa l’azienda?

Attualmente lavorano con noi 11 dipendenti – 4 uomini e 7 donne – in 1 laboratorio. Posso dire che abbiamo due vanti. Il primo è che investiamo in continuazione su nuovi macchinari, che ci aiutano a migliorare costantemente la produzione.

E il secondo vanto?

Da sempre ho una particolare sensibilità al sociale; credo infatti che un imprenditore debba sempre pensare ai propri dipendenti. Per esempio, un mio dipendente grazie al lavoro che effettua con noi ha messo su famiglia, ha comprato casa; da noi lavora una ragazza madre nigeriana, e anche un ragazzo disabile al 100%.

Insomma, va tutto bene?

In realtà i problemi da affrontare e i rischi connessi sono tanti.

Per esempio, il Covid quanto ha inciso?

Molto. Il 2020 è stato un anno durissimo. Per fortuna nel 2021 puntiamo di tornare al livello del 2019. Per il 2022 ho buone aspettative, anche se, ora che stanno per terminare tutte le proroghe concesse per la pandemia, penso che solo chi supererà il prossimo anno capirà di avercela davvero fatta.

Hai in mente di crescere ancora?

Mi piacerebbe, certo. Il nostro problema però è che siamo in un’azienda dentro una grande città, e questa non è una scelta molto economica; se volessi ridurre i costi, se volessi crescere ancora di più e puntare ai mercati esteri, dovrei spostare il laboratorio fuori Roma.

Perché non lo fai?

Perché per me conta anche molto la vita familiare. Sono madre di quattro bambine, inoltre come sai sono un’ebrea osservante, e questo certo comporta alcune scelte.

Quanto conta la tradizione nel tuo impegno professionale?

Tutto nasce dal presupposto che a me piace l’idea che ogni biscotto è un pezzo unico, non una parte di un dolce più grande, come per esempio la fetta di una torta. E così mi sono specializzata in biscotti, in particolare su 8 tipi di biscotti e biscotti decorati. Siamo specializzati in questo; non facciamo creme, ad esempio. Per crearli, certo la mia esperienza familiare ha contato. Vedi, da bambina aiutavo mia nonna in cucina, a lei piacere innovare, fare miscugli sulla base della tradizione. Dopo essermi diplomata ho seguito dei corsi, poi ho lavorato a Londra, Tel Aviv, New York. Così ho unito tutte queste esperienze con la tradizione italiana: produco dolci dal gusto equilibrato. Per riuscirci occorre avere molta cura nella scelta degli ingredienti, e noi scegliamo sempre il massimo, senza mai risparmiare sulla qualità.

Prima parlavi della tua famiglia. Come riesci a conciliare lavoro e famiglia?

Nei mesi estivi, con le scuole chiuse, è certo più complicato. Penso che di fatto la mia azienda è come se avesse 4 o 5 anni, perché una donna che decide di fare dei figli ha molte pause nella sua carriera, non c’è solo l’assenza fisica, ma anche i momenti in cui pensi ai bambini e sei meno concentrata nel lavoro. Insomma una donna che vuole lavorare e avere dei figli rinuncia a molte occasioni di crescita, per questo credo che l’impresa femminile abbia bisogno di sostegni: perché abbiamo anche molte altre cose da fare!

La tua famiglia ti è d’aiuto?

I miei genitori in questo mi danno un aiuto fondamentale. Non avrei mai aperto l’azienda se non avessi avuto il sostegno di mia madre, che ha creduto in me e nelle mie potenzialità. Grazie a questo sostegno ho potuto superare tutte le difficoltà dell’avviamento. Anche mio padre è fisicamente molto presente in azienda e ci aiuta. Questo lavoro richiede un impegno economico fisico e mentale costante, ci vuole l’appoggio dei familiari, a partire da mio marito Jo.

Un aspetto del tuo impegno che mi incuriosisce molto è la tua identità religiosa.

La mia identità ebraica entra nel mio lavoro ogni giorno. La mia azienda è kasher, quindi chiudiamo 4 settimane all’anno, i clienti devono sapere che a settembre sei chiusa, lo stesso per le fiere, i viaggi, le cene di lavoro. Essere ebrea e donna è un handicap, ma per me è una sfida, ti fa conquistare la stima e la fiducia dei clienti. Ho imparato che la vita richiede grande determinazione.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Il sogno è continuare a crescere. Costantemente, e in modo giusto.

Leggi anche:

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Per la serie “Donne del mondo ebraico”, leggi anche:

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Evelina Meghnagi

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Celeste Piperno Pavoncello

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Rotem Fadlon

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Clotilde Piperno Pontecorvo

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