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il presidente Mattarella durante il Giorno della memoria

Desidero ovviamente ricordare che l’Italia è stato il primo Paese europeo ad istituire per legge, nel 2000, la Giornata della Memoria, e che questo ha avviato un percorso importantissimo, nelle Istituzioni, nelle Università e in tutte le scuole. In questi ultimi 21 anni è stato fatto un lavoro enorme, che, assieme a molti altri esperti, ho visto crescere e toccare realtà sempre più periferiche. Tuttavia, bisogna a mio parere fermarsi a riflettere su quale lezione profonda questo percorso abbia portato, su cosa continuare a fare, e su cosa cambiare.

A cosa ti riferisci?

Occorre fare i conti con quella ingiustizia che c’è stata dentro il sistema italiano. Dopo la guerra si è legata la Shoah solo all’occupazione nazista, poi c’è stato un lungo processo che ha fatto lentamente emergere la responsabilità del fascismo, a partire dalle leggi razziali. Eppure, in alcuni ambienti ha continuato a prevalere la generalizzazione che si sia trattato di un problema determinato da altri. Molte Istituzioni, soprattutto a partire dal 2018 – con l’ottantesimo anniversario delle leggi razziali – hanno sentito il bisogno di avviare indagini più interne. Per esempio le università, con gli studi sugli studenti cacciati nel 1938, o sui professori che hanno preso il posto dei docenti ebrei allontanati. Sono state fatte ricerche anche da chi ha scoperto di avere genitori fascisti e persecutori. Il lavoro però non è così diffuso e popolare come è stato in Germania.

il memoriale che ricorda la Shoah a Berlino

Bisogna scavare, in modo collettivo ma anche individuale, sul concetto di ingiustizia nella esperienza di ciascuno di noi: molti avvertono l’ingiustizia, ma non riflettono su quello che è avvenuto nelle loro famiglie. Fino a che la persecuzione e la responsabilità non verrà avvertita ed elaborata, non si arriverà al nodo del problema. Ricordo che nel 2020 il Presidente della Repubblica invitò assieme, per le commemorazioni del 27 gennaio, la figlia di una deportata e la figlia di una aguzzina. La cosa mi colpì moltissimo, perché entrambe provavano un dolore indicibile; anche la seconda provava dolore per essere figlia di quella madre. I dolori non possono sempre essere messi a paragone, però se non si attraversa un’analisi profonda e autentica, il processo non è completo.

Come giudichi, in generale, le iniziative prese per il Giorno della Memoria?

Registro che ormai l’attività di commemorazione prende tutto il mese di gennaio, e questo a mio parere è troppo e può avere degli sviluppi controproducenti.

Perché?

Tutta la programmazione televisiva del mese di gennaio, per esempio, è monotematica. I ragazzi sono “costretti” a occuparsi di Shoah nelle scuole. Il troppo è un boomerang, perché provoca reazioni di saturazione, se non negative.  Occorre trovare delle modalità di diverse. Ci sono tantissimi insegnanti che hanno fatto corsi con il CDEC, con la Fondazione Museo della Shoah di Roma, presso lo Yad Vashem, imparando a formare i giovani in modo più mirato. Mi sembra che oggi dovremmo lavorare verso alcuni cambiamenti: fare in modo che, dopo i sopravvissuti, la memoria sia basata solo sulla storia documentata; fare i conti con la storia dell’ingiustizia e la responsabilità che ci riguarda come italiani; ricalibrare le modalità di commemorazioni che occupano tutto il mese di gennaio; parlare sempre di vita ebraica e non presentare l’identità ebraica solo attraverso la Shoah (cosa che spesso risulta dal modo attuale di commemorare).

E sul piano politico? Pima evidenziavi il ritardo con cui noi italiani facciamo i conti col passato. La classe politica, a tuo avviso, ha elaborato questo aspetto?

Dopo l’approvazione della legge sulla Giornata della Memoria del 2000, le Istituzioni, come ho già detto, si sono molto impegnate. Oggi però attecchiscono, soprattutto dal basso e per ispirazione di un sottomondo digitale, tante idee sbagliate: siamo testimoni della crescita dell’antisemitismo e del razzismo, avvertiamo il continuo sospetto verso l’altro e il diverso. Da una parte ci sono movimenti nostalgici, con marcata volontà di non prendere le distanze dal passato; dall’altra c’è spesso un ottuso sentimento anti israeliano che offusca una lettura corretta della storia ebraica. Sull’ignoranza e sullo scontento monta come sappiamo l’onda populista e si cercano nuovi e vecchi capri espiatori.  In verità non credo che in Italia si possa parlare ancora di destra e sinistra, i movimenti sono molto più fluidi. Certo un mix pericoloso è il confluire di indifferenza ignoranza e nostalgia nello scontento quotidiano.

Come si risponde?

un viaggio della memoria di studenti romani

Insegnando la Storia e la consapevolezza. L’Italia non è stato un paese indifferente alla Shoah. Al contrario, ha partecipato alla Shoah, mettendola in atto, discriminando, perseguitando e uccidendo persone. La Risiera di San Sabba a Trieste è stato un campo di sterminio.  Dal campo di Fossoli (Modena) i primi convogli per Auschwitz sono stati organizzati dai fascisti. L’Italia non è un Paese dove il ricordo di quel periodo può scivolare, o essere trattato come se non riguardasse tutti. Al contrario, la Shoah ha qui una storia profonda e articolata, nel senso dei suoi malati meccanismi e della ingiustizia che essi hanno prodotto in tutta la società. Dobbiamo contrastare con la verità la rimozione della verità.

Per la serie “Donne del mondo ebraico”, leggi anche:

Edith Bruck

Evelina Meghnagi

Miriam Camerini

Simonetta Della Seta

Celeste Piperno Pavoncello

Nathania Zevi

Rotem Fadlon

Laura Raccah

Myriam Silvera

Silvia Nacamulli

Clotilde Piperno Pontecorvo

Daniela Abravanel

Linda Laura Sabbadini

Lia Levi

Anna Foa

Fiona Diwan

Micaela Procaccia 

Angelica Calo Livne

Adachiara Zevi

Elèna Mortara

Miriam Meghnagi

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