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La prima pagina del Corriere della Sera del 10 ottobre 1982

Di quel periodo ho ricordi molti vivi. Il giorno dell’attentato non ero a Roma, appresi tutto dalla televisione. Ovviamente mi precipitai qui; trovai una comunità in apnea, devastata, psicologicamente e materialmente. Ho cercato di aiutare come potevo, visitando i feriti, come Emanuele Pacifici, carissimo amico e collaboratore da sempre del Centro. Però il mio ricordo più vivo è legato all’atmosfera che ha preceduto l’attentato. Dopo l’operazione “Pace in Galilea” e i fatti di Sabra e Chatila noi ebrei ci siamo trovati sotto tiro. Sulla stampa Begin veniva paragonato a Hitler, il maghen David alla svastica, il Dio di Israele veniva descritto come violento; tutto ciò ha avuto forte influenza sull’opinione pubblica. Ne derivò una totale confusione tra religione e politica, tra Israele ed ebraismo, con il risorgere di stereotipi antisionisti e antisemiti. Durante una manifestazione sindacale una bara fu fatta sfilare davanti al Tempio.

Come reagì il Centro?

Inaugurazione della mostra “Editoria ebraica in Italia”: Spadolini, Toaff, Zevi, Napolitano e Strinati, 1992

Rav Toaff mi disse che era stato invitato ad un incontro con Luciano Lama [segretario generale della CGIL] e la Camera del lavoro e mi chiese la collaborazione del Centro. Coinvolsi Simonetta Della Seta per parlare del sionismo e della nascita di Israele, e parlai della storia degli ebrei davanti a 150 sindacalisti; ricordo prima il silenzio, poi le tante domande. Fu un incontro importante per cercare di chiarire e colmare le lacune. E poi l’attentato ebbe conseguenze non previste anche sul Centro. La città era stata ferita, iniziarono ad arrivare richieste di nostri interventi da tutte le parti. Prese l’avvio in questo modo l’attività con le scuole, arrivarono finanziamenti pubblici per produrre materiali, e videocassette da distribuire. Lo staff con Miriam Haiun, Wally Debach e numerosi volontari si trovò mobilitato. Nel 1993 nacque il progetto di un libro, “Gli ebrei nella società e nella storia contemporanea”, realizzato con Franca Tagliacozzo, col doppio intento: servire agli studenti ebrei, che faticavano a inquadrare la storia degli ebrei in quella generale, e fornire uno strumento utile anche all’esterno, rivolto al pubblico e agli insegnanti per fare conoscere le vicende degli ebrei d’Europa, il sionismo e la storia di Israele. Il volume nel 2020 è uscito in veste aggiornata, con la prefazione di Noemi Di Segni e saggi di Raffaella Di Castro e Piero Di Nepi.

Oggi come siamo visti all’esterno?

Il clima oggi è cambiato. Occorre lottare contro gli stereotipi e le visioni mitizzate  della storia e della realtà degli ebrei. Le minoranze sono molto esposte con il ritorno del razzismo, dell’antisemitismo, del populismo e di un nazionalismo esasperato. La mia convinzione è che dobbiamo trasmettere l’idea che non siamo una minoranza inerte, ma una componente vivace e attiva della società ed è necessaria una sorta di educazione civica alla convivenza nel rispetto delle differenze.

In tanti anni alla guida del Centro hai avuto rapporti anche con rav Toaff e rav Di Segni. Ce ne vuoi parlare?

Una riunione a casa di rav Toaff

Ricordo che nel colloquio iniziale che ebbi con rav Toaff mi disse che mi apprezzava e conosceva la mia famiglia, legata da parentela con sua moglie Lia; però era in dubbio sulla capacità della Comunità di mantenere nel tempo i nuovi servizi in progetto. Io gli risposi che avrei apprezzato il suo sostegno e che gli avrei chiesto consiglio per l’attività del Centro; nel corso degli anni, lavorando a stretto contatto, si è sviluppato un rapporto di stima e amicizia reciproca; posso dire che dopo Aldo Luzzatto il mio maestro è stato lui. Ti racconto un aneddoto: nel 2000 arrivò al Centro, per la nostra biblioteca, una rivista cattolica con il documento dogmatico “Dominus Jesus”, scritto da Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, in cui affermava la superiorità teologica del cristianesimo sulle altre religioni. Senza pensarci su presi la rivista e corsi all’ufficio rabbinico, superai la fila delle persone in attesa e trafelata mi presentai da rav Toaff. Mi fece sedere, e mi disse: “Prenda fiato”. Capii che ancora non conosceva il testo, gli chiesi il permesso di leggerglielo, e così feci. Il giorno dopo il rabbino capo avrebbe dovuto avere un incontro di dialogo all’Università Gregoriana. Dopo avermi ascoltato, disse alla sua segreteria: “Annullate l’appuntamento, senza spiegare il perché. Loro lo sanno”. Seguirono 15 giorni di consultazioni frenetiche, gli organi vaticani cercarono in tutti i modi di ristabilire un rapporto con rav Toaff.

Bice con lo staff del centro (a destra: Miriam Haiun, attuale direttice del CCE)

E con Rav Di Segni?

È mio amico di lunga data. Di lui ho apprezzato negli anni la grande preparazione rabbinica, e la sua forte conoscenza della storia e dell’antropologia culturale, che si riflette nelle sue lezioni e nei suoi discorsi espressi spesso in forma colloquiale e con battute di spirito, cosa che avvicina il pubblico.

Torniamo, per concludere, al Centro di cultura. Come è cambiato il suo impegno negli anni?

Direi che è cambiato il contesto: sociale, economico e demografico. Si profilano nuovi scenari e nuovi impegni. Ti faccio alcuni esempi: occorre ripensare il lavoro educativo presso le scuole e le nuove generazioni.

Viaggio a Trani e Venosa, 2005

Occorre riflettere su come veicolare e trasmettere la cultura oggi, su come spiegare la cultura e storia degli ebrei. Ci sono molte difficoltà di comunicazione: il modo in cui è stata rivoluzionata dall’uso dei social media, oltre alle limitazioni del Covid. È come se si dovesse parlare in luogo affollato e sovrastare il brusio che c’è intorno. Con mio figlio Ariele, psicoterapeuta dell’adolescenza, abbiamo riflettuto su come in un periodo in cui dominano i social e la spinta all’individualismo che da essi deriva, sia fondamentale mostrare ai ragazzi l’importanza di riconnettersi a una dimensione collettiva, potenziando il senso di appartenenza inteso come impatto del singolo sul gruppo. È questa la sfida del futuro. Del resto, la pandemia ci ha lasciato anche degli effetti positivi: si è verificato un grande avvicinamento tra le famiglie e le comunità, attraverso i collegamenti a distanza si sono rivisti amici e parenti, si sono scambiate esperienze sulle feste e le tradizioni familiari, è cresciuto il desiderio di riunirsi. L’ebraismo italiano ha reagito: penso ai cicli di incontri del MEIS, del cui comitato scientifico faccio parte, alle tante iniziative sulle pagine Facebook dell’UCEI. Anche l’impostazione di Riflessi, come il viaggio nel rabbinato, e tra i personaggi dell’ebraismo italiano, ha fornito interessanti chiavi di lettura.

Insomma, quale futuro aspetta il Centro?

una delle tante serate organizzate dal Centro

Gli impegni sono molti. Io credo che, con le esigenze che ho provato a delineare, non si possa fare a meno di assegnare un ruolo importante al Centro di cultura ebraica.  I problemi che abbiamo davanti non possono essere affrontati senza il Centro. Basti solo pensare a tutto il materiale prezioso di documentazione, che certo non può essere disperso, va conservato e utilizzato al meglio. Per cui mi auguro che la dirigenza attuale lo tenga presente.

Leggi la prima parte dell’intervista

 

Per la serie “Donne del mondo ebraico”, leggi anche:

Edith Bruck

Evelina Meghnagi

Miriam Camerini

Simonetta Della Seta

Celeste Piperno Pavoncello

Nathania Zevi

Rotem Fadlon

Laura Raccah

Myriam Silvera

Silvia Nacamulli

Clotilde Piperno Pontecorvo

Daniela Abravanel

Linda Laura Sabbadini

Lia Levi

Anna Foa

Fiona Diwan

Micaela Procaccia

Angelica Calo Livne

Adachiara Zevi

Miriam Meghnagi

Elèna Mortara

 

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