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Lo shofar e la sua ricca simbologia che culmina a Kippur

A Kippur la fine del digiuno è anticipata di pochi minuti dal suono dello Shofar: ma qual è il significato da attribuire a questo gesto così solenne?

shofar suonato al Qotel

A differenza del rimon o melagrana, lo shofar (un corno d’ovino) è oggetto liturgico altamente simbolico, che viene suonato sin dall’inizio del mese di Elul, marca la festività di Rosh hashanà e chiude solennemente la giornata di Kippur, il Giorno dell’espiazione e del perdono divino. Pertanto ogni shofar è sottoposto a precise regole halakhiche per assicurare sia la qualità dell’oggetto, affinché sia kasher ossia adatto all’uso, sia le modalità dell’uso stesso ossia la tipologia dei suoni che può produrre quando insufflato. Lasciando tali regole a rabbanim esperti, qui può essere utile evocare alcuni dei significati che la Tradizione attribuisce allo shofar, quelli presenti nella Torà e quelli discussi nel Talmud (nel trattato Rosh hashanà). Una stimolante sintesi di tali significati la troviamo in una compilazione popolare della prima metà del XV secolo, di cui è autore il rabbino sefardita David Abudarham e del quale porta genericamente il nome. In questo Sefer Abudarham vengono riportati gli insegnamenti di molti maestri precedenti, tra cui uno dei primi filosofi ebrei del medioevo, Sa‘adia Gaon (IX-X secolo).

Secondo questo Gaon di Baghdad, lo shofar è suonato dagli ebrei per dieci motivi o scopi:

primo, per ricordare l’inizio della creazione, infatti quando un re inizia a regnare sul proprio regno si suonano le trombe (è cronaca inglese di queste settimane);

secondo, serve da invito a pentirsi dei propri peccati, specie a Kippur;

terzo, rammenta la rivelazione al monte Sinài, come si legge in Shemot/Es 19,19;

quarto, evoca le parole dei profeti, che sono paragonate a suoni dello shofar (cfr. Yechzeqel/Ez 33,4-5);

quinto, non fa dimenticare la distruzione del Tempio (Cfr. Yirmeyahu/Ger 4,19);

sesto, ci connette all’aqedà o legatura di Isacco (cfr. Bereshit/Gn 22);

settimo, ci deve ispirare il timor d’Iddio, come si legge in Amos 3,6;

ottavo, ci deve far pensare al giorno del giudizio che sarà annunciato dal suono dello shofar;

nono, sollecita la fede nel ritorno degli esiliati a Gerusalemme, secondo la profezia di Isaia 27,13;

infine, decimo scopo, ci fa sperare e credere nella resurrezione dei morti, quando coloro che giacciono nella polvere saranno risvegliati.

vigilia di Kippur a GErusalemme

Alla luce di quest’elenco è facile vedere perché lo shofar può ben riassumere simbolicamente tutti i grandi elementi che compongono l’identità religiosa ebraica, scanditi nel calendario e nelle preghiere della liturgia fissata dai rabbini (anche quando lo shofar non si suona). Un tratto unisce questi dieci motivi per cui si suona lo shofar: il ricordo.

Lo shofar è uno zikharon, un potente memoriale: del passato, quello ‘naturale’ della creazione e quello ‘storico’ dei patriarchi, di Moshe rabbenu e dell’Israele biblico; ma è zikharon pure del futuro, della riunificazione a Sion, della redenzione messianica e della resurrezione dei morti.

E nell’oggi, nel presente? Risponderei evidenziando come nell’elenco sopra citato manchi un riferimento, ossia il richiamo al fatto che lo shofar era suonato anche in guerra! Yoshu‘a/Giosuè fece suonare ben sette shofarim per sei giorni attorno alle mura di Gerico ed esse cadono… Si legga pura mitologicamente questa storia, ma il nesso shofar-guerra resta forte. Ora, il filosofo ebreo Filone di Alessandria (attivo nella prima metà del I secolo e.c.), ci ricorda che la guerra è dell’uomo con l’uomo, ma spesso anche dell’uomo con la natura la quale, non di rado, porta distruzione e morte attraverso la siccità e il suo opposto, le alluvioni… Ed eccoci nell’oggi. La guerra, le guerre – di tutti i tipi – ahinoi sono il nostro presente.

Lo shofar ci stimola a non abbassare mai la guardia, a serrare le fila, a non sottrarci ai nostri doveri di ‘soldati della vita’. Può sembrare una metafora obsoleta (in diaspora, non certo in Israele) o sgradevole, ma resta vera. “Guerra è sempre” scrisse paradossalmente Primo Levi ne La Tregua. Lo shofar, specie a Kippur, ricorda anche questo: che non è permesso disperare ma occorre combattere per la vita. Ovunque, sempre.

Chatimà tovà.

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