studenti ebrei a Torino prima del 1938 (Foto: CDEC)

Io penso che ci sia un sovraccarico di memoria. A me questo disturba molto, e temo che si ottenga l’effetto contrario. Il nostro dovere prima è di documentare, studiare, capire, reperire i documenti, costituire un giacimento di conoscenze, e poi la memoria deve appoggiarsi su questo. Vedo che è avvenuto il contrario, la memoria precede spesso la storia, per questo diventa retorica. Al CDEC abbiamo lavorato come formiche, senza pubblicità, per anni, e credo che abbiamo fatto un gran lavoro, perché la memoria appunto si coltiva con i libri, con lo studio, con le pubblicazioni. Essere “memoriosi” è uno status intellettuale cui nessuno vuole sottrarsi: c’è un’esposizione esagerata nel mese di gennaio di ogni anno, e non so se, alla lunga, ciò farà più bene che male. Questo ultimo progetto, su resistenti ebrei, realizzato dal CDEC nel corso del 2021 ha anche questa finalità, di rappresentare l’immagine degli ebrei non come vittime, ma come soggetti di storia. Ma è, appunto un effetto della ricerca, senza ricerca come si poteva fare a rovesciare il pensiero pubblico?

Vorrei parlare proprio del nuovo progetto varato dal CDEC: quello degli ebrei resistenti. Se penso ai tuoi lavori, mi vengono in mente tre passaggi: lo studio delle vittime, lo studio degli ebrei che si salvarono, e adesso questo, lo studio degli ebrei che resistettero. Che memoria emerge, riferita agli ebrei italiani?

il progetto sui Resistenti ebrei è il risultato dell’ultima ricerca della Picciotto, assieme allo staff del CDEC

È una memoria poliedrica, fatta di tanti aspetti. La storia degli ebrei tra il 1943 e il 1945 non è un monolite, c’è di tutto, e quindi l’archivio che conserviamo al CDEC dovrebbe aiutare a considerare le cose sotto diversi aspetti. Prima di tutto, naturalmente, nella nostra considerazione, sono venute le vittime; poi coloro che si salvarono: io sottolineo sempre il ruolo dei capifamiglia di allora, fatto di coraggio e determinazione. Hanno saputo affrontare l’emergenza in modo assolutamente eccezionale, e direi che questo è l’aspetto che quel lavoro ha messo in luce. Poi è venuta la ricerca sui Resistenti.

E i resistenti? Chi sono?

Uno dei primi libri di Liliana Picciotto, dedicato ai nomi degli ebrei italiani scomparsi nella Shoah

Il lavoro su resistenti è appena iniziato. Per adesso stiamo semplicemente allineando nomi e vicende, non è ancora il momento della riflessione, perché sono tantissimi, sono 240 nomi solo in 3 Regioni. Si pensa che, con una ricerca di un paio d’anni, potremo monitorarli tutti. Io stimo che siano tra i 1500 e i 2000. Naturalmente, dato che abbiamo creato un database, e abbiamo scandagliato alcune vicende con le loro biografie e tutto il resto (immagini, podcast e altro, n.d.a.), abbiamo ora un materiale utile allo storico; ma i dati non consentono ancora di fare riflessioni, paragoni, studio delle fonti eccetera. Oggi abbiamo solo il dato, la notizia. Il portale è un giacimento di notizie, seppure coordinato, come avviene tuta la comunicazione al giorno d’oggi.  Importante sarà farne un libro o un saggio, in cui esaminare le famiglie d’origine, l’educazione, la situazione, la città di residenza di ogni resistente.

Cosa ti aspetti di trovare?

alcuni dei Resistenti

Da una prima occhiata ci sono famiglie in cui non c’erano singoli, ma fratelli e cugini a resistere. Questo mi fa pensare a una certa educazione in famiglia, che li induceva a fare questo. Poi è da vedere se lì c’erano dei deportati, allora potrebbe trattarsi di una forma di riscatto, e credo che in molti casi sia stato così. E poi occorre vedere le età. Per il momento sembra che i resistenti ebrei abbiano età superiore ai non ebrei, che sono in media diciottenni e diciannovenni.

 Fino ad ora, che possiamo dire di loro?

Pacifico Di Consiglio è uno dei Reistenti ebrei

Molti dei partigiani non ebrei sono andati in montagna specie per non combattere assieme ai nazifascisti, era un modo per sfuggire la leva. Gli ebrei, invece, non avevano la leva per via delle leggi antiebraiche e quindi la loro motivazione era diversa. Sarà interessante vedere con che tipo di osservanza politica sono andati e si sono aggregati: forse erano più appartenenti al Partito Comunista Italiano o più al Partito d’Azione. Da quello che vedo da una prima superficiale occhiata ai dati, prevale il Partito d’Azione, che era partito dalla forte connotazione social-liberale. Questo corrisponde probabilmente al fatto che si tratta di ebrei che avevano studiato, diventando antifascisti per passione e consapevolezza politica; tutto questo lo sapremo alla fine.

Perché si chiamano resistenti, e non partigiani? C’è una differenza tra i due termini?

il libro di Lilana Picciotto dedicato agli ebrei scampati alla Shoah

I partigiani sono quelli riconosciuti come tali da commissioni governative post belliche, commissioni regionali formate da ex partigiani, ognuno appartenente a un partito politico, che di fronte alla richiesta di riconoscimento dei singoli decidevano, sulla base di prove e di una relazione di accordare lo status. Il partigiano combattente è quindi molto definito. Noi abbiamo cercato di tenere conto non solo di questi, ma anche di un mondo fatto di coloro che non presentarono richiesta. Ebrei poi andati all’estero, oppure che si erano dati da fare nelle organizzazioni di soccorso ebraiche, oppure come quella ragazzina olandese di 15 anni, Lea Loewndirth, che porta 5 fratelli da Anversa a Roma, e ci riesce mentendo alle autorità, mediante mille sotterfugi. Per me anche lei è una resistente, perché non si è abbandonata al fato, come voleva il padre, ma ha messo nelle sue azioni una energia e una determinatezza straordinaria.  Oppure Giorgio Nissim, di Pisa, il quale faceva parte della Desalem, e quando tutto il Comitato è stato arrestato, rimase solo lui in Toscana, travestito da contadino, e girando per la Garfagnana e la Lucchesia, a cercare rifugi per ebrei che non sapevano dove andare, né che cosa fare. Quello che mi colpisce è che in tutti loro c’è la mancanza della percezione di essere stati degli eroi, non ho visto in loro nessuna esibizione neanche postuma. Tutti loro, dopo la guerra, sono tornati alla loro vita normale, senza nemmeno raccontare. Lea, per esempio, ha vissuto ad Haifa, facendo l’infermiera, io l’ho conosciuta. Nessuno nella vita civile, poteva immaginare la sua storia.

Torniamo a oggi. Che ti sembra del livello di antisemitismo che si respira?

Liliana Picciotto con Liliana Segre, Eugenio Gabbai (a sinistra), e lo storico Marcello Pezzetti

Mi sembra che siamo in aumento. Bisogna vedere se è dovuto al fatto che l’uso dei social renda più difficile nasconderlo, lo renda più evidente. Oggi è cambiata la comunicazione: prima certe cose si aveva pudore di non dirle, oggi certe cose si dicono e si scrivono sui social, tutto è diventato se non normale, accettabile. Questo fa la differenza: l’esposizione di idee o non-idee crea assuefazione e grande emulazione.

Che politiche efficaci bisognerebbe attuare al riguardo?

Io credo che l’unico presidio sia quello della conoscenza. Bene fa l’UCEI sulla divulgazione della cultura ebraica, per diffondere i valori positivi dell’ebraismo e della tradizione ebraica. Non vedo altro modo che questo: dialogare, parlare, cercare di far leggere, produrre pensieri alti.

Un’ultima domanda: come vedi l’ebraismo italiano, oggi?

Liliana Picciotto
La targa consegnata a Liliana Picciotto la scorsa settimana, in una serata in suo onore organizzata dalla scuola ebraica di Milano

Penso che ci sia più voglia di partecipare di una volta, e che ciascuno voglia farlo con le proprie idee. È un po’ triste perché genera una certa litigiosità, ma è anche nelle cose, è naturale. Sono però un po’ preoccupata delle divisioni; alla fine spero che le discussioni portino nuove idee e non fratture. Anche la religiosità è certamente molto aumentata, ma questo penso che risponda a una tendenza culturale internazionale: ci si attacca alle proprie tradizioni per creare certezza in noi stessi.

E te, che tipo di ebrea ti definiresti?

Da ebrea osservante quale sono, mi è chiara che l’identità ebraica è cosa diversa dalla identità religiosa, per cui mi considero un’ebrea laica e osservante insieme.

Sull’attività del CDEC, leggi anche: intervista a Giorgio Sacerdoti

Per la serie “Donne del mondo ebraico”, leggi anche:

Edith Bruck

Evelina Meghnagi

Miriam Camerini

Simonetta Della Seta

Celeste Piperno Pavoncello

Nathania Zevi

Rotem Fadlon

Laura Raccah

Myriam Silvera

Silvia Nacamulli

Clotilde Piperno Pontecorvo

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Linda Laura Sabbadini

Lia Levi

Anna Foa

Fiona Diwan

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