Mantova, ultimo appello
Emanuele Colorni lancia il suo SOS per salvare la sua comunità prima che scompaia
Dottor Colorni, da quanto tempo presiede la comunità di Mantova?
Sono presidente da circa cinque anni. Assieme a me il consiglio è formato da altre due persone, scelte attraverso delle elezioni.
Quanti sono gli iscritti in comunità?
Dai registri risultano circa 60 iscritti con diritto di voto, ma di questi, in effetti, attivi in comunità sono meno di 10.
Questo cosa significa, concretamente per la vita ebraica?
La realtà è che da tempo non c’è più minian per nessuna funzione. Tra quelli che vengono, solo uno di noi sa leggere l’ebraico, perché ha fatto le scuole a Torino, e così è incaricato di leggere sui libri a stampa, non però dal sefer. Al sabato, con molta) buona volontà, si riesce ad aprire la sinagoga, ma spesso capita che siamo solo in due. Celebriamo la Kabbalah shabbat. Ovviamente il sefer resta chiuso nell’Aron.
Sa, la nostra sinagoga è molto bella, e anche l’Aron ha-kodesh lo è, ma resta chiuso.
E per i moadim?
A Kippur scorso c’era miniam, ottenuto con l’aiuto di una persona di Milano, un ragazzo israeliano venuto occasionalmente. Eravamo 12.
I giovani ebrei mantovani fanno vita comunitaria?
No. I giovani non si vedono mai, se non a kippur. Ormai considero persi i nostri giovani. Non hanno nessuna attrattiva verso la comunità. Lo vedo con mio nipote, con cui posso parlare di sport, ma non c’è interesse per sapere e conoscere delle nostre tradizioni ebraiche. Io le racconto volentieri, ma sa a chi? Ad estranei, ai turisti che vengono a visitare la sinagoga.
Quali sono i motivi di questo distacco secondo lei?
La politica della rabbanut verso le piccole comunità è sbagliata. Vede, molti giovani qui sono figli di matrimonio misto, e gli attuali rabbini – quello di nostro riferimento è a Padova – non li seguono con la dovuta attenzione. Le faccio un esempio: qua c’è una famiglia mista, padre ebreo e madre cristiana, con due figli: il primo convertito alla nascita con una semplice cerimonia fatta dal rabbino, il secondo no perché il rabbino, diverso dal primo, non è d’accordo. Ecco che così si spaccano le famiglie. Io credo che questo porterà a una lenta disgregazione dell’ebraismo italiano.
E per quanto riguarda i giovani ebrei?
Anche i giovani ebrei mi sembra che non sentano alcuna fiammella nel loro intimo, e questo perché non c’è nessuno dei nostri rabbini in grado di essere davvero rav. “Rav” significa essere maestro e questi maestri non ci sono, almeno qui a Mantova. D’altra parte, se i Maestri venissero solo a parlare di cose di 4000 anni fa, non riscuoterebbero alcun interesse.
Di cosa ci sarebbe bisogno, allora?
Prima di tutto di un legame con Israele, cioè parlare di cose attuali, legate ad Israele. È forse questo l’aggancio che attirerebbe qualcuno dei giovani ed anche gli adulti. Perché Israele è una realtà viva di cui si parla tutti i giorni, ed è un mondo sconosciuto ai più. Commentare le parashot mi pare che interessi poco! Occorre ammodernare tutto, compresi…. i nostri rabbanim! I rabbini naturalmente devono attenersi alle regole dell’Halakà ritenute inderogabili, ma così facendo facilitano la disgregazione delle piccole comunità.
Com’era la comunità quando lei era giovane?
Era autonoma, un po’ isolata, con pochi contatti con altre comunità. Però c’erano persone di valore, studiosi, persone colte. Io ricordo la comunità nel dopoguerra, verso il 1955; eravamo a quel tempo circa 150 iscritti. Molti sono andati via per lavoro, verso Milano. Milano in effetti è nata per l’esodo da Mantova. Molti altri hanno fatto l’Alya, rendendosi conto che qui le cose non avevano futuro, e che per restare ebrei bisognava partire. Mio fratello ha fatto così, per esempio.
E per il futuro, che previsioni fa?
Cosa vuole che le dica. Il futuro è una lenta agonia. Sicuramente stiamo andando verso l’estinzione, per motivi anagrafici; è il destino di tutte le altre piccole comunità. Qui attorno a Mantova c’erano nell’’800 una decina di altre comunità, come Sabbioneta, Viadana, Bozzolo, Sermide, tutte oggi scomparse. Ci è rimasto un ampio cimitero, con oltre 2000 sepolture, ma non c’è vita ebraica. A Mantova gli ultimi matrimoni ebraici sono stati il mio, 53 anni fa, e quello della famiglia Bassani circa 40 anni fa. Recentemente sono stati celebrati due bar mitzvà e due bat mitzvà. Ogni settimana apro la sinagoga ad una guida turistica che vi indirizza molti turisti da tutta Italia. Ieri sono andato a Venezia a prendere 2 nipoti che hanno partecipato a uno shabbaton; erano contenti di essersi ritrovati insieme ad altri coetanei, ma quanto può servire 1 sabato all’anno?
Che rapporti ha la comunità con l’Ucei?
È vicina, perché ricevo le informazioni di ciò che fanno, però, vede, dei risultati del voto qui a Mantova non importa molto poiché è tutta gente sconosciuta. Non chiedo aiuto, perché so che non possono darlo. Se potessi, chiederei d’avere una persona che venisse ogni tanto a parlare di un ebraismo che in Italia considero in difficoltà.
E con le grandi comunità?
In Italia sulla carta le comunità sono 21, ma quelle vive, in grado di fare qualcosa, sono solo Roma e forse Milano. Da qui, l’ebraismo romano è visto come un gruppo di persone molto politicizzate; naturalmente parlo a titolo personale.
Davvero non intravvede alcuna speranza?
Non so. Il mio appello è cercare di trovare qualcuno che abbia idee per tenere in vita queste piccole comunità, anche se ormai è quasi impossibile. Per Hanukkà pensiamo di fare un incontro con la cittadinanza, suonando musiche a tema ebraico. Accenderemo le 8 luci, l’ultima sera, con chi sarà presente. Volentieri inviteremo il vescovo, anche se so che ai rabbini questo ecumenismo non piace.
Questa è la quindicesima tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane.
In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato, Trieste, Napoli (qui e qui), Firenze, Livorno, Verona, Padova, Modena, Bologna, Parma, Merano e Genova
4 risposte
Sono un membro della Cheilah di Mantova leggo con sommo dispiacere ,l intervista del Sig .Colorni ,tristemente negativa ,che non riflette ,l andamento e la volta nota de ,si pochi ,ma attivi elementi che cercano di rendere ,viva la comunità ,anche con venti avversi e negatività continue di persone che vorrebbero trasformare la comunità in un sterile museo ,per motivi Personalistici,alienandosi così tutti i rapporti con la Rabanut ecccc……non condivido e non ritengo questi personalismi ,utili a chi veramente lotta per continuare un discorso ebraico e non si vuole righettizzare come nei secoli passati.
Yishmael Mario dr.Delfini Calabri
Aprire a turno le proprie case e invitare altre famiglie per Shabbat,potrebbe essere un’idea per rimanere coesi e trasmettere ai figli il calore ebraico.
I lumi accesi il Kiddush le Hallot a tavola potrebbero fare il resto per una ripartenza.
Faccio parte della comunità di Firenze dove sono nata, e capisco perfettamente lo sconforto del carissimo Sig. Colorni del quale condivido ciò che ha scritto. Le piccole comunità stanno perdendo la loro storia plurisecolare di usi e tradizioni ma pare che non ci sia interesse affinché ciò non avvenga. Ho la sensazione che dovremo rassegnarci dopo anni di SOS rimasti perlopiu inascoltati
A Emanuele Colorni un abbraccio solidale.