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Le piccole comunità non sono dei musei

Tiziana Ferrari, presidente della comunità ebraica di Modena, spiega perchè serve una maggiore solidiarietà tra comunità ebraiche, e tra centro e periferia

Presidente Ferrari, da quanti anni guida la comunità di Modena?

Il tempio di Modena

Sono al mio secondo mandato, sono stata eletta presidente la prima volta nel 2014. In precedenza sono stata consigliere per alcuni anni, anche se non ininterrottamente. Anche se sono modenese doc, nata in pieno centro storico, per alcuni anni infatti ho vissuto all’estero. Adesso che sono in pensione – sono un’interprete professionista – ho deciso di dedicarmi di più alla mia comunità.

Quanti ebrei vivono a Modena?

Siamo circa 60. Siamo una comunità anziana, perché l’età media è attorno ai 65 anni. Abbiamo alcune famiglie di cinquantenni, e fortunatamente qualche bambino; direi, tendo conto anche dell’hinterland, che in comunità i ragazzini sono sei o sette. Purtroppo non ci sono ventenni.

Immagino che lei li conosca tutti, gli ebrei modenesi

Certamente. Anche perché siamo una comunità molto unita, e sia io che rav Goldstein ci diamo molto da fare per il bene di tutti.

Ci racconta qualcosa della sua comunità?

Scorcio dell’antico ghetto di Modena

È una comunità storica, con un tempio grande, molto bello, e un archivio storico che viene consultato di frequente anche perché racchiude la storia della comunità ebraiche che un tempo esistevano qua attorno. Durante l’ultima guerra, per nostra fortuna non abbiamo praticamente conosciuto la deportazione, per merito di Francesco Vecchione, capo di gabinetto della Questura, che informò per tempo delle retate in preparazione da parte dei nazifascisti. Gli unici che non si salvarono furono il rav, Levi, e sua moglie, arrestati in piazza Mazzini perché non credettero alle voci di un’imminente deportazione. Nei dintorni – a Reggio Emilia, a Ferrara, a Bologna, per esempio – invece le deportazioni ci furono.

E oggi, come si vive da ebrei a Modena?

Direi che la comunità di Modena è una strana creatura. Come le dicevo siamo una comunità molto unita. Se lei tiene contro dell’età media, e dei molti che ormai non possono più uscire di casa, forse si stupirà dal sapere che abbiamo sempre minian (anche d’estate, quando come si sa è più complicato). Questo perché gli ebrei modenesi hanno compreso che, se vogliamo restare una comunità viva, ciascuno deve darsi da fare e contribuire per come può. Prima del Covid, per esempio, erano le donne a farsi carico del kiddush, e per i moadim organizzavamo sempre pranzi per tutti, anche in sukkà. Speriamo così di riprendere presto le nostre tradizioni.

A proposito, da voi il Covid ha inciso?

Fortunatamente no. I nostri anziani purtroppo avvertono il peso dell’età, ma qui la malattia è stata arginata, e non abbiamo avuto nessun decesso per Covid.

Ci spiega che significa vivere in una piccola comunità?

Il tempio di Modena all’interno

Come le dicevo, diventa ancora più essenziale la solidarietà. La nostra è comunità molto unita, ci organizziamo al meglio. Tutti sanno che devono collaborare, se no si chiude. Tra di noi ci conosciamo tutti, non solo chi vive a Modena, ma anche qui singoli che stanno a Reggio Emilia, o a Carpi, o a Castelfranco. Un tempo eravamo di più, c’erano ebrei anche nella bassa modenese, oggi non più. Il rav ed io telefoniamo o andiamo a controllare chi non può uscire da casa. Siamo sempre a contatto con tutti. Per fortuna siamo tutti economicamente autosufficienti, ma in ogni caso la comunità di Modena non hai mai lasciato indietro nessuno. Anzi. In passato abbiamo aiutato alcune famiglie a inserirsi offrendo un nostro appartamento gratuitamente. Abbiamo infatti un patrimonio immobiliare, che però si è depauperato 3 anni fa, a seguito di una fuga di gas non dipendente da noi che ha danneggiato alcuni appartamenti, per i quali al momento non percepiamo più l’affitto. Tuttavia il nostro bilancio è in equilibrio.

E l’ebreo modenese, che tipo è?

Gli ebrei modenesi sono molto legati a Modena, intendo sia alla città che alla comunità. Per esempio, siamo molto orgogliosi del nostro minhag! Chi vuole officiare nel nostro tempio deve conoscerlo. Anche il rabbino Goldstein, che è ashkenazita, si è adattato in fretta…

Che priorità dovrebbe darsi secondo lei il prossimo consiglio Ucei?

piazza Mazzini a Modena

Io penso che tutto l’ebraismo italiano debba sforzarsi di essere più solidale. Noi lo siamo, ad esempio abbiamo ospitato un sofer russo e uno studente israeliano con le loro famiglie. Gli ebrei romani dovrebbero essere più disposti a decentrarsi, e a riconoscere che esistono anche le piccole comunità e che abbiano bisogno di aiuto, invece difficilmente si allontanano da Roma. Ecco, credo che ci vorrebbe più solidarietà da parte delle comunità più grandi, ma anche da parte dell’Ucei. Io in passato ho chiesto aiuto all’Unione per avere un rabbino dopo la scomparsa di rav Lattes, sono andata fino in Israele a cercarlo, e alla fine per fortuna è arrivato rav Goldstein, ma mi sono sentita un po’ sola. Mi sembra invece che l’Unione non si muova a sufficienza per una comunità che vuole continuare a vivere. Vorrei al contrario che l’Ucei aiutasse le piccole comunità a vivere, e invece ho impressione che gli interessiamo più come musei. Finché ci sarò io, le assicuro che a Modena non ci sarà un museo, ma una comunità.

Questa è la decima tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane.

In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato, Trieste, Napoli (qui e qui), Firenze, Livorno, Verona, e Padova

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