Il mio impegno per le nuove generazioni
Livia Ottolenghi, accademica da sempre impegnata nel mondo ebraico, ci racconta perché è importante investire nel futuro dell’ebraismo italiano: i giovani
Cominciamo dalla fine. Recentemente hai ottenuto un prestigioso incarico dal ministro della Salute. Di cosa si tratta?
Si tratta effettivamente di un prestigioso incarico, quello di Chief Dental Officer, di rappresentanza internazionale nell’odontoiatria pubblica e prevede riunioni a livello europeo e internazionale per armonizzare le politiche che riguardano l’odontoiatria nei diversi Paesi. Questo incarico è inserito in un mio percorso, perché mi sono sempre occupata di queste tematiche sia per la didattica che nella vita professionale.
Sei docente universitaria, quindi ti trovi a contatto diretto con i giovani. Come vedi il loro rapporto con i temi dell’impegno politico, della lotta alle intolleranze e al razzismo?
Come per tutti i docenti, di qualunque disciplina, l’università è un punto di osservazione privilegiato. Negli anni ho potuto osservare corsi e ricorsi delle tendenze delle varie generazioni riguardo all’impegno nelle tematiche pubbliche, e questo si capisce anche dallo stile adottato nel ruolo di rappresentanti che i giovani adottano.
Oggi i giovani sono più sensibili verso la cosa pubblica, rispetto a qualche anno fa, sento una maggiore sensibilità. Sul tema delle intolleranze (ma preferisco dire, in positivo, tema della valorizzazione delle differenze e del diverso), la responsabilità è degli educatori e delle famiglie, nel parlarne e nell’applicare regole di rispetto reciproco. Ci sono politiche in questo senso e devo dire che in Sapienza non c’è mai stato spazio per intolleranze, veti o boicottaggi. Si preferisce il dialogo, anche grazie all’apporto del grande lavoro che tanti fanno riguardo a queste tematiche.
Puoi parlarci di qualche progetto in particolare?
C’è un progetto a cui collaboro e che per me è molto importante, si chiama “Medicina e Shoah”. È nato dalla consapevolezza che la moderna bioetica parte dal Processo di Norimberga, che ha portato alla luce gli orrori nazisti nei campi di concentramento. Promosso già dal 2010 da un gruppo interno alle facoltà mediche, oggi coinvolge tutte le facoltà. A novembre 2021 se ne è parlato in un convegno molto partecipato.
Anche per me è stato un arricchimento. Per esempio, ho potuto approfondire la bioetica, la Storia della Medicina, la Storia, ma in particolare ho imparato molto sulla storia e sulle condizioni dei Rom e Sinti, anche loro inclusi nel disegno di sterminio nazista: condizioni sconosciute ai più e fonte di grande sofferenza. Ho anche imparato a usare termini giusti.
Sei anche figlia, nipote, nuora e moglie di consiglieri della Comunità e di figure apicali delle nostre istituzioni e tu da sempre sei impegnata nella loro gestione. Ritieni che l’attaccamento alle nostre istituzioni sia qualcosa che si impara in famiglia attraverso l’esempio dei nostri genitori?
Sì, assolutamente. Non ho dubbi sulla responsabilità e sull’esempio della famiglia in questo. Io ho respirato lavoro ed impegno per la Comunità da sempre. Piuttosto faticoso…
Qual sono secondo te i punti chiave su cui si dovrebbe concentrare l’attenzione e l’azione dell’ebraismo italiano?
Ci sono vari aspetti. Il primo secondo me è far conoscere meglio l’ebraismo e gli ebrei, perché è attraverso la conoscenza che si diminuisce l’ostilità. La cultura in senso lato, le manifestazioni, le informazioni sono essenziali, così come la collaborazione con il ministero della Pubblica Istruzione per dare ai bambini informazioni corrette.
Il messaggio da trasmettere è che noi ebrei non siamo un corpo estraneo ma che abbiamo contribuito alla storia del Paese.
Poi occorre la sorveglianza e il monitoraggio dell’antisemitismo a tutti i livelli, dalle manifestazioni antiebraiche a quelle antisemite e anche comunicare il fenomeno. Devo dire che l’ebraismo italiano lo fa, e anche bene: c’è collaborazione a tutti i livelli con lo Stato.
Altro elemento è essere una voce contro le intolleranze, tutte. Noi sappiamo riconoscere bene l’intolleranza e possiamo essere una voce autorevole contro ogni forma di razzismo, contro i pregiudizi verso i diversi: le nostre “antenne” possono riconoscerle meglio, anche al nostro interno, e ci si può lavorare.
Venendo invece alle nostre istituzioni, vivendole da anni dall’interno, come sono cambiate in questi anni? In cosa potrebbero migliorare?
È un discorso complesso. Ho vissuto la mia esperienza all’interno delle cose pubbliche ebraiche in molti modi, e oggi vedo in particolare due importanti criticità. Manca un clima di fiducia che porti a un lavoro comune e alla valorizzazione della singola persona, delle sue competenze e capacità e del suo impegno, indipendentemente dalla parte politica. Così, persone che potrebbero e vorrebbero dare tanto sono messe in condizione di non agire.
Poi, come donna ebrea. La situazione nell’ebraismo italiano è paradossale. Da un punto di vista politico il ruolo delle donne è molto valorizzato, basti pensare alla presidenza dell’UCEI, della CER e di varie comunità. Ma c’è anche un altro aspetto che mi fa soffrire un po’, perché l’ebraismo italiano non riesce ad acquisire dall’ortodossia internazionale un maggior coinvolgimento delle donne. In altre comunità ortodosse che ho conosciuto direttamente le donne sono più coinvolte da un punto di vista religioso e penso che anche per questo che in Italia sono più attente alla rappresentanza politica. Bisogna investire nelle nuove generazioni, aiutando i giovani affinché siano più liberi di noi dalle parti contrapposte.
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