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Per i primi secondi ricordo un silenzio irreale. Tutti eravamo ancora sotto shock per le esplosioni. Poi ricordo davanti a me un tappeto di persone a terra. Qualcuno cominciava ad alzarsi barcollando, molti si lamentavano. Arrivarono i primi soccorsi dal Portico d’Ottavia, persone anche armate, ebrei che avevano l’attività in zona, e infine l’arrivo dei carabinieri.

E a quel punto?

Un militare mi vede con la pistola in mano e me la blocca, poi mi punta l’arma alla testa, io gli grido che sono del posto, ho il porto d’armi. Mi qualifico, allora quello mi prende e mi porta al comando verso via Cavour, dove aiuto a fare l’identikit sia dei due uomini nordici che dei terroristi palestinesi.

Immagini dell’attentato al Tempio (copyright: Stefano Montesi)

Quando fosti rilasciato?

Dopo alcune ore. Ovviamente tornai subito in piazza. Trovai migliaia di persone. Guardai la macchina che mi aveva protetto. Era crivellata di colpi, in quanto erano state usate bombe a frammentazione. Puoi capire che mi vennero i brividi. Per fare uscire mio figlio e mia nipote da casa, i miei genitori gli coprirono gli occhi, per non fargli vedere il portone completamente imbrattato di sangue.

Che aria si respirava?

C’era un furore che coinvolgeva tutti. Alla sera uscirono i Sefarim dal Tempio. Poi venne il sindaco, Ugo Vetere. Devi sapere che pochi giorni prima il Comune aveva ricevuto Arafat. Mia madre (Fortunata Di Segni, n.d.r.), gli si avvicinò e gli diede una sberla. Arrigo Levi, che gli era a fianco fece un gesto come per coprirsi, mia madre gli disse ” tu sei Kasher”. C’era una tensione enorme!

Che idea ti sei fatta della dinamica dell’attentato?

La mia idea è che gli attentatori erano solo gli esecutori. Di solito queste persone sono aiutate da basisti, che perlustrano la zona nei giorni precedenti e poi danno tutte le informazioni a chi deve realizzare l’azione, li aiutano ad entrare e soprattutto ad eclissarsi.

E di quei due uomini del Nord?

un’immagine successiva all’attentato

Dopo alcune settimane fui convocato nella sede centrale della polizia. Andai e trovai il magistrato che conduceva le indagini. Mi mostrò delle fotografie da un album, con sopra la sigla del controspionaggio tedesco. Si trattava di estremisti di destra e sinistra, credo fossero tutti tedeschi, ma nessuno di quelli corrispondeva ai volti che avevo visto io. Evidente che stavano seguendo anche quella traccia, fu l’unico incontro, non fui più convocato.

E il giorno del funerale di Gay Taché?

Bisogna fare un passo indietro. Come ti ho detto, le ore che seguirono l’attentato furono vissute con momenti di rabbia da parte delle migliaia di ebrei accorsi da tutta la città. Una rabbia che covava da giugno, dall’inizio della Guerra in Libano contro l’OLP, con tutto ciò che ne era conseguito. Una demonizzazione di Israele che spesso sfociava in vero antisemitismo. Molti politici e giornalisti accorsi furono duramente contestati, solo Pannella e Spadolini furono accolti con benevolenza. Anche il Presidente Pertini fece le spese di questa ostilità. Aveva manifestato delle critiche all’operato di Israele poco lusinghiere, ma era anche sinceramente addolorato per quanto accaduto ed espresse il desiderio di partecipare ai funerali del piccolo Taché.

Sandro Pertini con Giovanni Spadolini, Presidente del consiglio nel 1982

Rav Toaff, temendo situazioni spiacevoli, ma non prima di aver manifestato a Pertini la contrarietà per le sue prese di posizioni, convocò un’assemblea pubblica al Tempio Maggiore. Disse che aveva dato il suo consenso alla partecipazione del Presidente, ma se ci fossero state contestazioni, il giorno dopo avrebbe dato le dimissioni da Capo Rabbino. Il carisma, la personalità di Rav Toaff erano enormi e infatti il giorno del funerale, presente una folla enorme, calò un silenzio irreale, regnavano solo lacrime e dolore. Da quel momento la Comunità Ebraica di Roma predispose un servizio di sorveglianza professionale sotto la guida di Gianni Zarfati, da molti anni uno stretto collaboratore di mio padre Moretto, e le forze dell’ordine istituirono postazioni fisse attorno tutte le istituzioni ebraiche.

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4 risposte

  1. In quei momenti mi trovavo al Tempio di via Balbo con il Prof. Toaff, fummo avvisati dell’ attentato pregai il Professore di prendere un’ autovetta per arrivare velocemente a via Catalana ma si rifiutò. Lo scortati e volammo fino al luogo dell’attentato, anch’io ero regolarmente armato, e dopo gli eventi citati da Alberto Di Consiglio, chi era in possesso del porto d’armi scortati i Rabbino. Arrivammo di corsa e trovammo una situazione terribile. Ci fu concessa una stanza all’ospedale Fatebenefeatelli che divento la nostra sala operativa. Nel frattempo ricordo bene i primi politici ad arrivare furono il Ministro Darida, Spadolini e Pannella. Trascorremmo ore di vera angoscia.

  2. Purtroppo noi ebrei siamo sempre stati ” merce” di scambio.
    Il clima di terrore che si respirava in quei giorni era ,si dovuto alla guerra del Kippur, ma anche al malcontento che in quegli anni si viveva.
    Occorreva quindi qualcosa che distraesse l’opinione pubblica delle nefandezze dello stato. Con cosa si poteva fare??
    Far entrare sul suolo italiano un gruppo di terroristi e colpire la ” merce” di scambio!!
    Dopodiché far gesti di solidarietà alla comunità Ebraica.
    Ancora oggi assistiamo a sottili lanci di disprezzo attraverso i media. Solo che oggi le comunità Ebraiche sono molto più attente, e non lasciano passare le notizie svariate.
    Vedi il recente tentativo del Papa di classificare un testo sacro come la Torà, come testo ” obsoleto”
    …pazzesco!!

  3. Nel corso della serata con cui abbiamo segnato a Gerusalemme i 30 anni dall’attentato al Tempio di Roma e ricordato la tragica morte di Stefano Michael Gaj Tachè z”l (l’audio della serata è qui: http://www.hevraitalia.org/attentato82.mp3), ho avuto modo di esporre come vittima e testimone la mia ricostruzione del terribile evento.

    Visto che ho presentato alcuni elementi sfuggiti alla maggior parte delle persone e che costituiscono ancora oggi interrogativi angoscianti, vorrei condividerli con voi.

    1) La totale assenza delle forze dell’ordine, vigili urbani inclusi, intorno al Tempio solo quella mattina è un fatto assodato. Meno noto che il presidente Cossiga abbia dichiarato a Menachem Ganz: “Se avessi saputo che le volanti della polizia erano state istruite ad andarsene quella mattina, nell’ambito di quell’accordo di cui mi hanno sempre negato l’esistenza, forse tutto sarebbe andato diversamente…”. Cioè non lo sapeva allora, lo ha saputo dopo. Chi ha dato l’ordine?
    2) Le bombe a mano. In nessuno delle centinaia di attentati in Europa o in Israele compiuti da terroristi palestinesi sono mai state utilizzate le bombe a mano. Il motivo è semplice: in campo aperto se l’attentatore non trova immediato riparo resta colpito anche lui. Lanciare rimanendo in posizione eretta è contro ogni regola, ma è ciò che è avvenuto nel nostro caso con una distanza tra terrorista e vittime di soli 10 o 15 metri. E allora? I terroristi hanno evidentemente utilizzato bombe a carica ridotta da esercitazione lanciandole non tra la gente ma il più lontano possibile nel giardino, in zone dove non c’era nessuno: davanti al portone principale o verso il Tempio Spagnolo e questo posso affermarlo avendole viste volare sopra la mia testa. In pratica senza fare danni. Le bombe che ho seguito con gli occhi e che ho disegnato per i disinteressati inquirenti, avevano un manico: è un accorgimento che consente di lanciarle del 50% più lontano. Due bombe hanno causato il peggio: una ha colpito, probabilmente per un lancio errato, la colonnina dove oggi c’è la lapide ed è caduta per terra (dove ha lasciato un foro) tra le gambe di Stefano e Gadi e di alcuni dei feriti più gravi. La seconda lanciata verso il Tempio Spagnolo, quindi molto distante, è esplosa a mezz’aria colpendo e la famiglia Hazan che attraversava la strada. Queste considerazioni mi hanno convinto che l’attentato doveva essere dimostrativo, senza provocare vittime. Un maledetto imprevisto lo ha trasformato in tragedia.
    3) I mitra. In tutti gli attentati in Europa di quell’anno i mitra sono stati utilizzati per finire senza pietà i feriti dell’esplosione di ordigni ad alto potenziale. Nel nostro caso i terroristi hanno sparato in aria solo per coprirsi la fuga. Due di essi erano appostati a protezione degli altri all’angolo tra via Catalana e Portico d’Ottavia, dove i feriti più leggeri ed i soccorritori improvvisati transitavano correndo per raggiungere l’ospedale, ma non hanno interferito. Ancora, non volevano uccidere, sarebbe stato facilissimo.
    4) Il fotografo di via Catalana. Si chiama Roberto Barberini, ancora lavora. Si occupava di cronaca nera, spesso si univa alle “volanti”: cosa ci faceva in ghetto di sabato mattina, posto sempre tranquillo, e vicino al Tempio dal quale la nostra sicurezza lo avrebbe certamente allontanato? Aveva captato l’ordine dato alle forze dell’ordine di non presentarsi? O, visto che la sua seconda specializzazione era ed è la fotografia dei politici in pose casual, e quindi li frequentava, aveva ricevuto una dritta? Abbiamo sei o sette foto scattate da lui ai feriti con poco contorno e pubblicate dalle riviste. È facile capire dallo stato dei feriti che si è mosso da Portico d’Ottavia (prima foto a Shulamit Orvieto) verso le “tre palme” (ultima foto di Max Shangar caricato in un auto). In queste foto si vede che le forze dell’ordine non erano ancora arrivate, i soccorritori sono tutti ebrei: quindi ha iniziato a scattare subito dopo la fuga dei terroristi. Ma quante foto ha scattato senza pubblicarle? Un professionista che si trova in una circostanza del genere scatta un rullino dopo l’altro. Dove sono le altre foto, in particolare quelle a tutto campo? Possiede foto dei terroristi in azione? Qualche giudice ha disposto una perquisizione a sorpresa del suo studio? Non credo. Infine, perché non ha documentato il “dopo”, il dispiegamento dei soccorsi, le ambulanze, la rabbia di tutti noi ed è sparito nel nulla?
    5) L’arrivo delle forze dell’ordine. Uscito dall’appartamento dove mi ero riparato ho assistito all’arrivo delle forze dell’ordine giunte quando tutti i feriti erano già stati evacuati, io sono salito sull’ultima ambulanza. Chi è arrivato? Di tutti i corpi possibili la Guardia di Finanza, in forze. Da dove, perché loro? Solo dopo sono arrivati poliziotti e carabinieri.
    6) L’ospedale Fatebenefratelli. Di sabato le sale operatorie sono chiuse e le équipe chirurgiche fanno il weekend. Quel sabato invece erano state convocate all’ospedale per attività di “aggiornamento”. Quando i feriti arrivarono era pronta una struttura formidabile. Un caso?
    7) Il fotografo di Lungotevere. Si chiama Massimo Capodanno. Sono sue le foto che ritraggono mio figlio Jonathan in braccio ad un vigile ed a una vigilessa nel breve momento in cui mi accomodavo nel posto di dietro di una 127 due porte della municipale e loro me lo passavano. Siamo quasi un’ora dopo l’attentato, avevo portato Jonathan al Fatebenefratelli ma visto il sovraccarico dei medici dopo un po’ ho deciso di spostarci al Bambino Gesù. Quali altre foto ha scattato prima? Possono aiutare la ricostruzione della tragedia?
    8) Il lodo Moro. Grazie alle rivelazioni del presidente Cossiga finalmente sappiamo per certo ciò che abbiamo sempre sospettato: “In cambio di una ‘mano libera’ in Italia i palestinesi hanno assicurato la sicurezza del nostro Stato e l’immunità di obiettivi italiani al di fuori del Paese da attentati terroristici fin tanto che tali obiettivi non collaborassero con il sionismo e con lo Stato d’Israele”. Cioè esclusi gli ebrei. Dopo le leggi razziali ed il 16 ottobre, il primo tradimento del regno fascista, ecco come ci ha traditi la repubblica democratica. L’attentato del 9 ottobre dell’82 non infrangeva il patto, era uno scellerato “diritto” dei palestinesi. (Il lodo Moro a giudizio di Cossiga è ancora vigente, anche con gli Hezbollah in Libano: i caschi blu chiudono gli occhi, migliaia di missili vengono schierati contro Israele, ma il contingente italiano è salvo!)
    9) Le indagini. Sono state una semplice formalità. Su imbeccata israeliana i Greci hanno fermato uno dei terroristi, l’Italia ha tentennato sull’estradizione e i greci lo hanno portato e liberato in Libia. L’Italia, ad oggi, non ha mai richiesto l’estradizione. Poi, sembra una presa in giro, lo ha condannato all’ergastolo, uccel di bosco.

    Mettendo insieme tutti questi fatti arrivo ad una sola conclusione. Altissimi livelli politici (il “grande vecchio” degli anni di piombo?) o i servizi segreti deviati di piazza Fontana, Bologna ecc. hanno approvato una azione palestinese. Un attentato vetrina per Arafat, forse un modo traumatizzante di fermare l’escalation antiebraica in corso nel paese per l’Italia. Hanno tolto le forze dell’ordine intorno al Tempio, forse predisposto i soccorsi ospedalieri e dato luce verde ad una condizione: niente morti. I palestinesi hanno accettato e si sono attenuti: il lancio troppo basso di una bomba ha mandato letteralmente tutto all’aria. Stefano Michael ha pagato con la vita.

    David Pacifici

  4. Non credo ci sia stato un complotto o un patto con i palestinesi. Come ricordavo in Europa era più di un anno che attacavano obbietivi ebraici che fossero Sinagogje,come a Vienna, o ristoranti a Parigi ed altre città. Roma fu l’ultima di quella serie. Mi hanno chiesto (non uso fb) se avessi potuto colpiene qualcuno. Credo di si, avevo una bifilare con 14 colpi, almeno uno lo avrei preso o meglio giustizziato. Non me lo sono mai perdonato.

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