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Del 9 ottobre ricordo ancora tutto

Sandro di Castro testimonia a Riflessi l’attentato del 9  ottobre al Tempio maggiore, e la sua reazione: cercare la verità e gridarla a chi non ha tutelato gli ebrei italiani

Sandro, ti ricordi il clima di quei giorni, precedenti all’attentato?

Sandro Di Castro, nel 1982 era chazan al Tempio

Certamente! Ricordo bene l’episodio della deposizione della bara davanti al Tempio Maggiore, durante una manifestazione organizzata dai Sindacati e la successiva visita dei loro rappresentanti apicali per chiedere al Prof. Toaff scusa per quanto accaduto. Ricordo la campagna stampa e mediatica iniziata con la strage di Sabra e Chatila che fu un crescendo di antisemitismo. Ricordo l’intervento del Presidente Pertini durante il suo saluto agli italiani, di fine anno, molto duro nei confronti di Israele e pro-palestinese.

E di quella mattina? Come ti preparasti?

Ricordo perfettamente anche quello. Ero stato male tutta la notte e la mattina avevo deciso di non andare al Tempio. Poi, però, cambiai idea. All’epoca non c’era ancora il Tempio dei Giovani ed io ero volontario al Tempio Maggiore. Non volli mancare alla funzione della festa….

Dov’eri quando i terroristi palestinesi entrarono in azione?

Alla fine della funzione ero uscito e mi trovavo vicino a Nereo Musante, quando ho sentito la voce di Emanuele Pacifici che diceva:” chi è che tira i sa…” e subito dopo ho sentito le esplosioni e le raffiche di mitra. Tutto è durato circa 50/60 secondi, ma sembravano interminabili, un’eternità. A me ha colpito la prima bomba e, ferito, sono riuscito a coprirmi dietro un muretto. All’inizio c’è stato qualche istante di silenzio e poi ho sentito le urla, i pianti ed i lamenti dei feriti. Ricordo una strana persona che non conoscevo, con gli occhiali, barba e capelli lunghi, che subito ha iniziato a fotografare.

Che ferite hai riportato?

Non ho sentito dolore, ma lo spostamento d’aria mi ha rotto tre costole e poi ho visto il mio vestito azzurro che diveniva marrone/bordeaux, ad iniziare dalle gambe dove erano arrivate le schegge delle bombe. Per due o tre volte hanno tentato di prendermi per portarmi in ospedale, ma io ho rifiutato. Ero steso in terra, ma pensavo che qualcuno avesse più bisogno di me. Poi è venuto Massimino Di Veroli, mi ha preso in braccio e con altri mi ha portato all’Ospedale Fatebenefratelli.

Cosa è successo dopo?

Il Pronto Soccorso sembrava una tonnara, un macello, il sangue era ovunque. Ricordo che ero steso su una brandina quando è passato un medico, mi ha auscultato con lo stetoscopio e poi urlando ha chiesto l’ossigeno; poco dopo mi hanno portato in terapia intensiva, perché avevo il polmone bucato da quattro schegge ed usciva aria. Non ho mai perso conoscenza. Sono stato sedato ed ogni due ore mi facevano una lastra ai polmoni per sapere se fosse necessario intervenire chirurgicamente. Fortunatamente, non fu necessario. Ricordo ancora il piccolo Stefano morente ed il medico che diceva di occuparsi del fratello Gadi e di portarlo con l’elicottero al San Camillo, perché per lui ormai non c’era più niente da fare. Ricordo benissimo quando avvisarono Yossi della perdita del figlio e lui dalla rabbia, con un pugno, spaccò un vetro, aggiungendo altro sangue.

E la tua situazione?

Mio padre mi venne a trovare all’interno del reparto tutto bardato con la mascherina e so che quando tornò da mia madre le disse che per me non c’erano molte speranze, anche se io avevo cercato di rassicurarlo. Poi arrivò anche il Prof. Toaff con la moglie ed il Segretario della CER Tullio Perlmutter, loro piangevano ed io cercavo di rassicurarli che sarei tornato a fare il chazan. In terapia intensiva eravamo protetti, non c’erano telefonini ed io chiesi di poter avere una radio e dei giornali. Mi dissero che la mamma del piccolo Stefano ancora non era stata avvertita di quanto accaduto ma poi entrò una suora che gridò:” Chi è la mamma del bambino che è morto?” E così fu avvisata anche lei e naturalmente puoi immaginare tutto il suo sconforto e dolore.

(foto: Ansa)

Vicino a me oltre, a Daniela Gaj, c’era anche Nessim Hazan ed Emanuele Pacifici. Ricordo che Nessim non riusciva a parlare e l’infermiera continuava a parlargli ed a fargli domande fino a che non è riuscita ad avere una risposta. In quel periodo ricordo che avrebbero dovuto inaugurare un nuovo padiglione dell’ospedale e vista l’emergenza iniziarono subito ad allestirlo anche con l’aiuto dei malati ricoverati. Ci fu una grande solidarietà da parte di tutti. Il personale fu eccezionale, ma avevamo tutti bisogno di molta assistenza psicologica, oltre che medica.

Cos’altro ti ricordi della tua degenza?

Il giorno del funerale, il Prof Emanueli ci disse che il Presidente Pertini voleva venire a trovarci. Emanuele Pacifici non parlava perché aveva subito un intervento di tracheotomia, ma con le mani fece ampi gesti di disapprovazione. Nessim invece urlò la sua contrarietà. Io dissi di farlo venire perché gliene avrei voluto dire quattro. Lui non venne. Dopo quattro giorni fui trasferito al reparto e dopo tre giorni uscii ed andai subito al Tempio a fare l’Agomel. Quando tornai a casa ebbi due mesi molto duri perché per le ferite alle gambe non riuscivo a camminare da solo.

Come è cambiata la tua vita?

A dir la verità, non è cambiata molto. Nei primi tempi sognavo spesso l’attentato che, però, si concludeva con epiloghi diversi, magari con reazioni. Sicuramente mi ha reso più sensibile alle emozioni.

Dopo l’attentato, nei mesi e negli anni successivi, ti sei sentito difeso dallo Stato italiano?

Non in particolar modo. Le complicità apparvero presto sempre più evidenti. Il Presidente Cossiga ci ha poi spiegato quale era stato il lodo Moro. Ricordo che durante un viaggio in Tunisia incontrai Craxi che poi ci invitò a pranzo. Durante l’incontro si cominciò a parlare di politica ed io gli dissi che ero stato ferito da emissari del suo amico Arafat e fu per me una grande soddisfazione. Vorrei distinguere tra Potere politico e Forze dell’ordine. Queste ultime sempre molto vicine e collaborative.

Sandro Pertini, presidente della repubblica nel 1982, e Bettino Craxi, segretario del PSI

Ricordo che la Grecia arrestò uno dei terroristi ma non fu mai estradato in Italia. Perché? Fu richiesto con la dovuta convinzione? Perché fu subito liberato? Credo che l’accordo con i gruppi terroristici palestinesi fosse vero ed infatti non era un mistero che la politica DC era di non avere problemi in Italia. Tale politica, però, non pagò perché in Italia in quel periodo ci furono diversi attentati.

Oggi, a 39 anni di distanza, ripensi all’attentato?

Sì, ci penso e mi indigno quando ascolto ricostruzioni fantasiose. Ricordo che una volta anche al Beth Michael qualcuno sosteneva che i terroristi in realtà non avrebbero voluto una strage perché avevano sparato in alto e questa è una sonora bugia. La cercavano eccome e senza le macchine dietro alle quali qualcuno si è riparato sarebbe stata una strage ancor maggiore. Le foto che si trovano anche su internet ne sono una prova evidente.

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Una risposta

  1. Una testimonianza importante da parte di Sandro che suggerisce riflessioni su una tragedia che ancora esige chiarimenti. G

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