Cerca
Close this search box.

Rosh ha-shanà, bilance e bilanci

Rosh Ha-Shanà, l’inizio dell’anno, richiama l’idea di una una scelta, la necessità di uno sforzo e una continua ricerca di equilibrio, tra forze interiori e forze esteriori, tra bene e male

la Bodleian Library

In un machzor ashkenazita di Rosh ha-shanà della prima metà del XIV secolo [folio 207v], custodito nella Bodleian Library di Oxford, troviamo una curiosa immagine: una mano che sbuca da fuori pagina (dal Cielo) regge una bilancia con due piatti, a uno dei quali – quello più leggero, si spera sia quello delle nostre trasgressioni – si è aggrappata una creatura dalle sembianze di diavoletto, che si dà da fare per cambiare il verdetto ossia il maggior peso del piatto delle buone azioni. Il valore didattico dell’immagine è evidente e immediato: il capodanno ebraico è detto anche Yom ha-din, giorno del giudizio, in cui l’agire umano è soppesato come su una bilancia. La liturgia ebraica dice, in maniera un po’ enigmatica, che in questo giorno HaQadoah Barukh Hu “giudica chi vivrà e chi morirà, chi avrà pace e chi sarà nei tormenti”.

Ai più credenti, o ai credenti più tradizionali, quest’idea teologica, di una divinità che siede a giudicare e decidere sui destini umani, ispira certamente sentimenti di timore e stimola all’osservanza dei comandamenti; ai meno religiosi o ai diversamente religiosi, di cui la storia ebraica è piena, l’immagine può nondimeno ispirare un eticissimo senso del valore delle nostre decisioni, che possono essere più o meno valide e sensate, giuste e buone, soprattutto responsabili, e come tali vanno ‘pesate’, calibrate, valutate.  L’immagine-simbolo della bilancia può essere teologica, certo, ma regge molto bene anche per chi religioso non è.

Il giudaismo tradizionale chiama questo calcolo/valutazione del nostro agire, centrale durante la festa di Rosh ha-shanà, con il termine cheshbon ha-nefesh, che possiamo tradurre sia come ‘rendiconto delle responsabilità personali’ sia come ‘esame introspettivo di coscienza’ (che la psicoanalisi sia nata da una tradizione ebraica secolarizzata non sorprende).

Rosh ha-shanà è anche rosh chodesh, ovvero il capo-mese del mese ebraico di Tishrì, e segna un doppio inizio: del primo mese dell’anno e del nuovo anno. Il raddoppio, in diaspora, è marcato anche dal fatto che la festa si estende su due giorni. In questo giorno, è noto, si celebra la ‘nascita del mondo’: che ciò stia sotto il segno del ‘doppio’ o del due è già un segno che ‘essere al mondo’ comporta sempre scegliere, fare discernimento, separare; la stessa creazione, in Bereshit/Genesi, si dà come opera di separazione: la luce dalle tenebre, le acque superiori da quelle inferiri, la terra dall’acqua, specie da specie…

In Shemot/Esodo, dove si narra la nascita del popolo di Israele, si daranno nuove separazioni: dagli egiziani, dalle acque, dall’idolatria. La dualità è intrinseca al mondo, che simbolicamente nel gan eden aveva al centro l’albero della doppia conoscenza, il bene e il male. Tutta questa dualità è espressa già nella semiotica zodiacale, che in epoca antica la cultura ebraica condivideva con molta parte del mondo circostante. Per questo il mese di Tishrì era simbolizzato dal mazal della bilancia (infatti cade sempre, grazie all’introduzione degli anni embolistici, tra settembre e ottobre).

Proprio la bilancia che compare nel machzor oxfordense: essa ricorda a chi prega come la vita – biologica e psichica, ma anche spirituale – richieda un continuo sforzo e una continua ricerca di equilibrio, un vero e proprio bilanciamento tra forze interiori e forze esteriori, tra bene e male, cercando di caricare e far pesare il piatto dei meriti e delle buone azioni più del piatto delle (inevitabili) negligenze e trasgressioni. È una lezione semplice solo in apparenza, quella di Rosh ha-shanà come Yom ha-din; per questo i suoi altri due nomi sono: Yom teru’à e Yom ha-zikkaron, giorno del suono e giorno della memoria, affinché si sappia che occorre sempre bilanciare la severità con la misericordia, la chiusura con l’apertura, il quotidiano con l’eterno.

 

Una risposta

  1. Bel articolo, molto ben spiegato. Pero, c’e un piccolo errore: Rosh Hashana non estende due giorni solo Nella diaspora; e l’unica festa che si festeggia ugualmente da due giorni sia in Israele, sia fuori Israele.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter

Riflessi Menorah