Cerca
Close this search box.

Portiamo la luce del Rebbe nel mondo

Rav Ronnie Canarutto racconta a Riflessi la sua esperienza, e cosa anima il mondo Lubavitch

Caro Rav Ronnie, cominciamo da te. Da quanti anni sei a Roma? Ci parli un po’ della tua famiglia di origine?

Sono un ebreo italiano, da ameno 800 anni! La mia famiglia è originaria della Puglia, e poi col tempo è risalita verso nord. I miei nonni erano di Bologna, poi durante la Shoah fuggirono in Svizzera. Mio padre e mia madre, nati negli anni ’50 e ’60, si trasferirono infine a Milano, dove sono nato. La mia famiglia è sempre stata religiosa, ma non Chabad; però, potendo scegliere, i miei mi mandarono in una scuola chabad più religiosa, per evitare i rischi di assimilazione. Inoltre sono nipote di rav Laras z’l’, e insomma posso dire ormai di conoscere bene la realtà italiana.

Come si “diventa” un rav Lubavitch?
Per me tutto è iniziato a scuola, perché a scuola ho potuto cogliere l’amore che Chabad da per l’ebraismo. È lì che ho preso la prima “impronta” Chabad. Poi a 13 anni ho fatto un campeggio, e lì ho compreso che c’era una parte più nascosta dell’ebraismo, che non è folclore ma qualcosa di profondamente divino. Devo però dire che un’influenza l’ha avuta anche la mia famiglia. Mia nonna, Soliani Rabello, appassionata di Eshel, ci ha sempre abituato a vedere sotto la superfice, e a vivere l’ebraismo in modo più profondo e praticante. E poi mia sorella Gheula in quegli anni era già andata dal Rebbe, riportando la sua incisiva impronta e l’atmosfera Chabad. Quanto a me, a 14 anni sono arrivato in Israele, ed ero già abbastanza motivato. Mia madre, che non è Chabad, sperava diventassi un avvocato. Arrivammo allora a un compromesso: avrei fatto la maturità in una scuola israeliana, in una yeshiva di bene akivà, però dopo sarei andato in una yeshivà chabad. E così è successo. Al liceo ero vestito già come un chabad. Era il 1993, e cominciai a fare lezioni di Torà, poi a portare il pensiero chabad tra i miei compagni che non lo erano. Fatto quel percorso, andai a tzefat (Safed), 2 anni, in un ambiente molto suggestivo e spirituale. Sono stati anni indimenticabili per me, di profonda ispirazione. Da lì ho cambiato mondo: sono stato dai Lubavitch a New York, in Yeshivà, in piena Manhattan. Dopo un anno sono arrivato a Manchester a insegnare in yeshivà, e da lì sono tornato a Milano dove ho preso la Semichà presso un rav Lubavitch nel 2001.

uno scorcio di Safed

Ci parli in poche parole del pensiero Lubavitch?
Innanzitutto devi sapere che Chabad deriva dall’acronimo delle parole Chochmah, Binah, Daat [saggezza, riflessione, conoscenza, n.d.r.], tre forme di conoscenza e di avvicinamento a D. I Lubavitch sono una delle tante chassidut presenti nel mondo religioso ebraico, caratterizzata da una priorità: mentre le altre, molte delle quali oggi scomparse, sono proiettate sulla valorizzazione del sentimento religioso, il movimento Chabad è più attento alla riflessione e alla filosofia, si insegna la Torà in modo molto più profondo, ogni fatto raccontato è studiato in termini metaforici, alla scoperta de suoi significati più profondi. Si comprende così che nella Torà non ci sono elementi superflui, e che tutto ha un significato, per cui la Torà aiuta a diventare persone migliori. Il pensiero Chabad non è infatti solo teorico, ma lo studio è costantemente rivolto a migliorare noi stessi e gli altri. Per questo ritengo che alcuni pregiudizi, per cui noi Lubavitch saremmo meno preparati di altri rabbini, vanno sfatati. Nelle nostre yeshivot si studia molto, si imparano trattati a memoria, si studia lo Shulkan aruck, nel movimento ci sono maestri di enorme sapienza. È però vero, come ti dicevo, che per il movimento Chabad mette al centro le persone. Abbiamo una grande sensibilità e interesse per il prossimo. Naturalmente, dal di fuori può sembrare che siamo un po’ tutti uguali, ma ti assicuro che non è così. A Tsfat e a Manhattan ci sono Lubavitch, ma sono due mondi diversi. Io credo che l’amore della Torà vada vissuto con tranquillità senza rigidità, e allo stesso tempo con la massima attenzione ai minimi dettagli.

Che ruolo ha la figura del Rebbe?

il Rebbe di Lubavitch

È fondamentale, sempre. Dopo la Shoah, il Rebbe è stata la persona scelta da D. per dare sollievo e orgoglio a un popolo che aveva sofferto più di ogni altro. Gli ha ridato fierezza. Quando incontrò Elie Wiesel, per esempio, che non voleva avere figli, lo spronò, spiegandogli che se non avesse avuto figli avrebbe fatto il gioco del nazismo.  Noi Lubavitch ancora oggi portiamo nel mondo questo messaggio: dobbiamo dare amore e orgoglio agli ebrei, essere un punto d’appoggio per ogni ebreo nel mondo, dovunque si trovi.

Come sei finito a Roma?
A Milano, con rav Shekevitz z’l’ organizzammo uno shabbaton Lubavitch per ragazzi romani, e lì scoprii il mondo dell’ebraismo romano. Scoprimmo gente calorosa, speciale, così venni invitato assieme ad altri a fare shabbat a Roma. A quel tempo dei Lubavitch c’era solo rav Hazan, gli chiesi se era interessato ad aiutarlo e lui fu felice dell’idea e mi invitò, e così cominciai a fare lezioni ai giovani, anche a futuri rabbanim, come rav Sessa, rav Di Porto. Cominciai a viale Marconi, poi mi trasferii a via Garfagnana. Eravamo come dei pionieri, perché in quel periodo – il 2004, il 2005 – erano in pochi a fare lezione. Nel frattempo mi ero sposato, e così andai a Parigi. Decisi di studiare al Kolel 1 anno, ogni giorno dal pieno centro dove abitavamo io e mia moglie – in soli 15 metri quadri! – andavo in periferia a studiare. Dopo l’arrivo del primo figlio, Benyamin, rav Hazan mi chiamò per chiedermi se ero interessato a occuparmi di un tempio, e alla fine emerse la possibilità di andare a via Garfagnana, e così fu. Quando infine venne aperto il tempio di via Tripolitania, verso il 2010, mi trasferii lì, dove sono tuttora.

uno Shabbaton Lubavitch negli USA

Mi colpisce molto la forte e pacata fermezza con cui te, ma anche i tuoi figli, vivete la vostra identità di ebrei osservanti. Tutto è naturale, eppure siete (siamo) circondati da un mondo altro, in cui la tentazione dell’assimilazione può essere un pericolo concreto, specie per i più giovani. Come si “resiste” tra identità e diversità, tra “dentro” e “fuori”?
Vedi, è la chassidut a darti la base, ti permette di percepire Qadosh Baruch Hu in ogni gesto, in ogni cosa, ne percepisci la presenza sempre attorno a te. Dunque D. parla in ogni momento e in ogni luogo all’ebreo, per cui dappertutto ti senti a tuo agio, sia al tempio davanti al sefer che in un semplice Bar davanti a un caffè…  È il Rebbe con i suoi insegnamenti che dà questa forza di mantenere una spiritualità elevata, per cui tutto il creato dipende da D. nelle sue varie forme. Pertanto se io vedo un ebreo vedo la sua neshamah, per cui non mi importa se sul braccio ha i tefillin o i tatuaggi. Per questo il mondo Chabad è in armonia con il mondo laico, mentre altre forme di ebraismo religioso sono spesso in contrapposizione. L’idea Lubavitch è che ogni ebreo è mio fratello. Se c’è amore vero lo si percepisce, e ringrazio il Rebbe e i suoi insegnamenti che mi hanno fatto capire questo.

Mi dai la tua impressione dell’ebraismo romano e italiano?

una sede Lubavitch a New York

Non mi permetto di giudicare gli altri, anche perché ogni individuo è un mondo a sé; detto questo, sicuramente si può sempre migliorare. Spesso il sostegno che serve alle persone non è solo economico, ma occorre saper dare anche un sostegno emotivo, una vicinanza, che non sempre le strutture istituzionali riescono a dare, in questo senso delle carenze ci sono. Occorre allora voler lavorare e migliorare insieme. Mi permetto di dire che a volte c’è una chiusura troppo forte verso il movimento Chabad, da parte della gestione centrale. A volte inoltre riconosco che ci sono stati errori da entrambi le parti, anche noi dobbiamo saper migliorare. L’esempio della collaborazione tra Chabad e la comunità di Milano potrebbe esser un esempio da seguire. Con la Deputazione, ad esempio, si sono fatte in passato cose insieme. Credo che sarebbe bello cominciare a organizzare eventi comuni, per far vedere che gli obiettivi – imparare ad amare la Torà – sono gli stessi. Perché un rav chabad non può lavorare in comunità? Il mondo è più ampio di quello che c’è in comunità. Per fortuna le cose stanno migliorando, perché la comunità di oggi non è quella di 30 anni fa, i Chabad hanno una presenza maggiore, anche a scuola. Anche noi dobbiamo comprendere il mondo romano.

accensione della Hanukkà Lubavitch in piazza

A tuo parere, quali sono le priorità che ebraismo italiano deve affrontare?
Il rischio maggiore è l’assimilazione, per cui occorre organizzare eventi e occasioni d’incontro per i giovani, per dargli l’opportunità di conoscere la realtà ebraica. 5 anni fa ad esempio organizzai un incontro in Sardegna con 50 persone, e ne uscirono 3 matrimoni. Oggi mancano eventi aggregativi, dove i giovani e non giovanissimi si incontrano. Naturalmente, occorre investire e trovare risorse per rafforzare l’ebraismo di domani. Mi permetto di concludere con quello che il Rebbe ha detto diversi anni fa. Il Mashiach sta per rivelarsi e sta per arrivare il tempo tanto atteso in cui regnerà pace e benessere nel mondo. I segni scritti alla fine del trattato di Sanhedrin della generazione del mashiach si stanno avverando proprio sotto i nostri occhi… dobbiamo solo aprirli bene e vedere che tutto è per il bene e che la redenzione futura è vicina come non mai!

Questa è la sedicesima tappa del nostro viaggio nel rabbinato italiano.

Per leggere le altre tappe del viaggio: Rav Arbib, Rav Della Rocca, Rav Momigliano (qui e qui), Rav Spagnoletto, Rav Dayan (qui e qui), Rav Di Porto, Rav G. Piperno, Rav Sermoneta, Rav Somekh, Rav Hazan, Rav Punturello e Rav Caro, Rav U. Piperno,  Rav Lazar e Rav Finzi

3 risposte

  1. Rav Ronni
    Un rabbino che ci illumina con il cuore e con la Tora’ nel piccolo tempio ..Or Yehuda, in via Tripolitania, 52.
    Ha una visione passionale e profonda dell ebraismo. Un vero rabbino pieno di BH e di cultura. Un esempio solido in un mondo laico fin troppo ” liquido”.
    Hazak ve Baruch

  2. Rav ronni e uno dei nostri punti di riferimento e sempre stato disponibile spesso lo visto immettersi personalmente in situazioni complicate pur di aiutare le persone spesso anche “scottandosi”pur di migliorare la vita altrui,se devo dare la mia definizione la darei in questa magniera:un vero rav ,un vero amico,un vero hassid

Rispondi a Daniele Fargion Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter