Occorre più coraggio, più fermezza e più studio

Rav Alberto Somekh, per anni rabbino capo a Torino, è una delle personalità più schiette del rabbinato. A lui abbiamo chiesto un parere sui problemi dell’ebraismo italiano.

Le 21 comunità ebraiche italiane appartengono, pur con storie diverse, a un’unica tradizione, cui si è aggiunta quella degli ebrei libici, egiziani, persiani. A suo avviso noi ebrei italiani che contributo possiamo oggi dare all’ebraismo europeo e mondiale?

antichi manoscritti ebraici italiani

Il fenomeno immigratorio nell’Italia ebraica non è una novità. Si pensi soltanto al Ghetto di Venezia nel Seicento, dove le diverse “scole” rivelavano la presenza di ‘edot con provenienze molto distanti fra loro. Questa pluralità è certamente una fonte di grande ricchezza. Forse proprio per questa identità composita l’Ebraismo italiano si caratterizza più di altri per un’impostazione che rifugge dagli estremi in materia di osservanza religiosa e per una maggiore attenzione al mondo “reale”: l’ideale non è costituito da un impegno rivolto ai sacri testi fine a se stesso, ma a una costante integrazione degli insegnamenti che si apprendono da questi nella concretezza della vita in tutte le sue sfaccettature. Questo comporta una particolare responsabilità. Il rischio di cadere in facili compromessi è infatti molto elevato. Dei punti fermi devono rimanere. Nelle ultime generazioni l’equilibrio si è perso e in Italia sembra prevalere decisamente l’impegno verso finalità diverse da quelle tradizionali. Non è rimasta in Italia alcuna tradizione di studio delle fonti e ciò ha fatto sì che anche la pratica e il vissuto ebraici si siano pressoché azzerati nella coscienza della stragrande maggioranza degli ebrei italiani. Molte Sinagoghe sono vuote. Se vogliono continuare a vivere, non è sufficiente contare solo su quei pochi benemeriti che ci vanno per garantire il minian. La Comunità Ebraica ha bisogno di persone che credano profondamente negli ideali da essa rappresentati anche nella vita privata.

A proposito di ebraismo mondiale, è evidente che tutti noi guardiamo sempre con attenzione a quel che accade in Israele, dove il confronto tra ebraismo religioso e laico è costante. Come giudica la recente sentenza della Corte suprema di riconoscere, ai fini civili, la conversione fatta dalle congregazioni reform e conservative israeliane? A suo avviso potrebbe avere effetti anche su di noi?

La Corte suprema israeliana

Su questo argomento ho già scritto. Alla base di questa decisione vi è il tentativo di legittimare in Israele un’autorità rabbinica diversa da quella ufficiale. Ciò è molto problematico. La sconfitta è di tutti. Il Rabbinato dovrebbe interrogarsi sulle possibili cause di questa evidente perdita di popolarità, ma nello stesso tempo il popolo ebraico, in Israele e nella Diaspora, dovrebbe domandarsi seriamente come affrontare il proprio futuro. La scelta della Riforma è autodistruttrice. Non si può pensare di essere accettati in una Comunità pretendendo di cambiare regole secolari per i propri comodi, soprattutto se queste definiscono la nostra identità. Trovo tutto ciò è vile e disonesto.

Lei è stato indicato tra i rabbanim più severi in tema di ghiur. È davvero così? Ci può spiegare il suo punto di vista?

La cultura ebraica è endogamica: si basa cioè su relazioni matrimoniali coltivate all’interno del gruppo. Ciò pone problemi molto seri in un mondo senza frontiere, ma è la sfida della nostra epoca. Il matrimonio misto è la fine di tutto. Non si può rivendicare una assoluta libertà delle proprie scelte matrimoniali e pretendere di avere figli ebrei a ogni costo, scaricando sul Rabbinato la responsabilità di garantire la continuità formale delle nostre Comunità. Ripeto: ciò è vile e disonesto. La soluzione è data ed è il ghiyur ka-halakhah in cui il candidato/a si assume un impegno serio e concreto ad osservare le Mitzwot secondo la tradizione di Israel.

In generale, in Italia scontiamo alcune difficoltà, come il calo delle nascite e l’allontanamento dei giovani dalla comunità. A suo avviso come si potrebbe invertire questo trend? Secondo lei il rabbinato ha la possibilità e la responsabilità, per incidere in questa dinamica?

una riunione del consiglio Ucei

Le Comunità italiane possono contare su Rabbini validi e preparati. ll problema è oggi costituito dal resto. In particolare abbiamo bisogno di Consiglieri di Comunità coraggiosi che comprendano le istanze della tradizione e le facciano proprie sfidando, ove necessario, la stessa popolarità elettorale. La memoria della Shoah è importante, ma non crea Comunità. Lo stesso dicasi del cosiddetto tiqqun ‘olam e dell’ebraismo inteso come semplice storia: paradossalmente la fine di una Comunità sarebbe parte anch’essa della sua storia, ma la Comunità non esisterebbe più!

Ha dei suggerimenti da dare al prossimo consiglio Ucei, che sarà rinnovato ad ottobre?

Respingere il movimento riformato, che anticiperebbe la nostra fine. Sostenere il Rabbinato sforzandosi di rispettarne le scelte, anziché imporgli scelte altrui.

Questa è la nona tappa del nostro viaggio nel rabbinato italiano.

Per leggere le altre tappe del viaggio: Rav Arbib, rav Della Rocca, rav Momigliano (qui e qui), Rav Spagnoletto, Rav Dayan (qui e qui), Rav Di Porto, rav Piperno, rav Sermoneta

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