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Israele deve difendere il suo miracolo dal pericolo interno

Lucio Caracciolo esamina per Riflessi la situazione geopolitica che interessa Israele, mentre le fratture interne rischiano di minacciarne la sicurezza

Dottor Caracciolo, è possibile intravedere la soluzione della crisi israeliana nel breve periodo?

Lucio Caracciolo è direttore della rivista di geopoltica Limes, e della “Scuola di Limes”

La mia impressione è che questa crisi sia troppo profonda per poter essere affrontata e risolta attraverso dei semplici compromessi politici di breve periodo.

Cerchiamo almeno di comprenderne le origini. Secondo lei la crisi dipende da fattori personali (la situazione giudiziaria di Netanyahu), costituzionali (la legge elettorale proporzionale che frammenta il fronte politico), o invece Israele soffre di una crisi strutturale?

Certamente nella vicenda influiscono anche le vicende personali e gli opportunismi di qualcuno, ma la questione fondamentale è quella che mise in evidenza il presidente Rivlin nel suo famoso, drammatico discorso sulle quattro tribù di Israele. Era il 2015.

Il discorso sulle 4 tribù di Israele: gli ebrei sionisti-laici, i religiosi, gli ultraortodossi, gli arabi.

Rueven Rivlin è stato presidente di Israele dal 2014 al 2021

Rivlin drammatizzò molto il rischio della totale frattura tra queste componenti, che a mio avviso non è stato sufficientemente recepito né dall’opinione pubblica né dall’élite israeliana. La sua era un’analisi appassionata e realistica. Il problema non sono tanto le tribù quanto il fatto che i rispettivi, separati sistemi di educazione minano dall’interno la coesione sociale e la legittimità delle istituzioni. Israele è un paese organizzato su quattro sistemi educativi separati e alternativi fra loro, per cui contiene in sé la radice che mina la coesione sociale e l’unità dello Stato. La parte araba per definizione non potrà mai essere sionista, quella ultrareligiosa (haredi) vive a parte e non considera legittimo lo Stato nato nel 1948 perché attende il Messia. E tutto questo a prescindere dalle altre differenze, culturali e religiose, che sussistono fra tutti i gruppi che abitano Israele. Ma, ripeto, una cosa sono le diversità intrinseche a qualsiasi società, altra è che lo Stato stesso le strutturi e alimenti secondo una logica verticale. Di qui i quattro pilastri separati che tendono a intaccare la solidità del tetto comune.

Davvero il futuro dello Stato può essere a rischio?

Ben Gurion firma la dichiarazione di indipendenza, il 14 maggio 1948

Israele è nato dalla necessità di salvare gli ebrei sopravvissuti allo sterminio nazista e dar loro una casa relativamente sicura. In questo senso è un miracolo storico. I miracoli a volte durano molto, molto meno se messi in pericolo dall’interno. Il problema è alla base: qualsiasi paese con quattro sistemi educativi tende a scomporsi. Questo è il rischio che oggi Israele immagino voglia scongiurare. Non mi pare ci stia riuscendo.

Come riuscirci?

Noto che sta montando in Israele un dibattito che vedrebbe la soluzione in uno Stato federale, o addirittura cantonale. A me pare che trasformare Israele in una Svizzera mediorientale sia operazione pericolosa, perché significherebbe codificare l’impossibilità della convivenza tra le tante anime che compongono lo Stato ebraico.

L’andamento demografico, che vede una prevalenza degli ebrei religiosi su quelli laici, può avere un impatto determinante sul lungo periodo?

È chiaro che la crescita veloce della componente ultraortodossa pone nel medio-lungo periodo una questione geopolitica. Ma qui credo sia meglio ascoltare gli specialisti, come Sergio Della Pergola, e fondare i ragionamenti sui dati.

la firma degli accordi di Abramo

Vorrei ora provare ad allargare un po’ lo sguardo. La volontà di Netanyahu di rimodellare il sistema costituzionale israeliano con un forte accentramento dei poteri presso l’esecutivo e un irrigidimento netto nei confronti della popolazione araba può mettere a rischio gli accordi di Abramo?

Gli accordi di Abramo sono a rischio non solo e non tanto per la crisi attuale che sta attraversando Israele, quanto per il contesto internazionale che viviamo. La crisi dell’egemonia Usa nel mondo induce tutti gli attori, non solo nella regione, a praticare quello che gli americani chiamano hedging: insomma mettere i piedi in più staffe. I sistemi di alleanza classici non funzionano più. Conseguentemente anche gli accordi di Abramo non possono considerarsi solidi. Le vicende degli ultimi mesi – pensi ad esempio alla convergenza, nata sotto la mediazione cinese, tra Iran e Arabia, provocata dall’aspirazione reciproca di manipolare l’altro – è un chiaro segnale che non è pensabile affidarsi oggi ad alleanze organiche. Né Israele può pensare di tornare al modello degli anni Cinquanta, quando l’alleanza delle periferie con Turchia, Iran ed Etiopia era utile per arginare la minaccia dei paesi arabi.

militari iraniani

A proposito di paesi arabi: la crisi che attraversa Israele potrebbe indurre qualcuno di loro a ritenere possibile attaccare lo Stato ebraico? La stessa tentazione potrebbe avere l’Iran?

Certamente la crisi in corso rischia di indebolire Israele. Qualcuno potrebbe domandarsi fino a che punto Gerusalemme potrebbe difendersi in caso di attacco. Non a caso, i vertici militari nelle scorse settimane hanno segnalato il rischio che una disputa interna così accesa e prolungata possa produrre effetti negativi sull’addestramento delle Forze armate e soprattutto sul loro morale. Io sono convinto che questi problemi, pur effettivi, verrebbero provvisoriamente messi da parte in caso di attacco esterno.

lo scorso 10 marzo la Cina ha promosso il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, interrotte dal 2016

Quali sono i principali pericoli esterni in questo momento per Israele?

La presenza di organizzazioni terroristiche attive, sorrette soprattutto dall’Iran, è certamente un problema, anche se nessuna di queste ha la forza militare sufficiente per liquidare lo Stato ebraico. Quanto a Teheran, non credo che vorrà davvero rischiare una guerra con Israele, perché sa che al suo termine non esisterebbe più l’Iran come noi lo conosciamo oggi.

Turchia, Iran, Arabia Saudita, Israele: chi sarà il player regionale che prevarrà nel medio periodo?

il porto di Haifa

Tutta l’area del Medio Oriente è influenzata da una questione principale: il fatto che gli Stati Uniti si stiano sempre più disimpegnando per rivolgere altrove le loro attenzioni. Oggi nel mondo nessun alleato o amico di Washington può sentirsi davvero protetto dalla guida americana. Basti pensare a paesi come la Polonia e Taiwan. Certo, Israele ha un rapporto speciale con gli Stati Uniti. È una risorsa fondamentale, ma per la crisi americana si svela meno rassicurante di prima. Certo, Israele può difendersi anche da solo, ma il fatto che gli americani abbiano fatto due o tre passi indietro nella regione rende per Israele tutto più difficile. Non una notizia rassicurante. Riguardo agli altri soggetti, io non credo che la Turchia sia un pericolo per Israele, con cui ha tuttora relazioni importanti. Quanto all’Arabia Saudita, abbiamo visto in Yemen le sue capacità militari, non molto elevate, e credo che comunque non abbia alcuna voglia di sfidare Israele. Il problema alla fine rimane sempre l’Iran, che però sta attraversando una lunga fase critica. Tuttavia l’Iran è l’unica potenza capace, se lo volesse, di infliggere seri danni ad Israele. Ma a costo di pagarli con la propria distruzione.

Nel 2022 anche il premier israeliano Bennett ha tentato una mediazione nel conflitto tra Russia e Ucraina

Anche la Cina negli ultimi tempi è molto attiva nell’area del Medio Oriente.

La Cina ha interesse alla stabilità dell’area perché il suo approccio nello scenario internazionale parte dalla dimensione economica, commerciale e tecnologica. Per questo nel recente passato ha avviato rapporti interessanti con Israele, da ultimo frustrati dalla decisione americana di impedire lo stabilirsi di eccessivi vincoli tra Pechino e Gerusalemme. Oltretutto, data l’alta specializzazione tecnologica delle sue industrie Israele è considerato un partner strategico per gli Usa – e un obiettivo per la Cina a caccia di nuove tecnologie.

Dal Medio Oriente vorrei passare ora in Europa: come si posiziona Israele rispetto alla guerra tra Russia e Ucraina?

il numero in edicola di Limes, dedicato all’autunno dell’impero americano

Per Israele l’Ucraina non è certo una priorità. Inoltre i tentativi di mediazione, tra cui quello di Bennett nel marzo 2022, non hanno finora portato alcun risultato. Aggiungo che l’influenza di Mosca in Israele è talmente palpabile, a causa dei tanti immigrati russi, che immaginare una netta presa di posizione di Israele contro la Russia non è possibile.

La controffensiva annunciata dall’Ucraina sarà determinante per le sorti del conflitto?

Non sarà certo lo sbarco in Normandia. Piuttosto, dovremo attenderci qualcosa di simile a cento punture di spillo, culminanti in qualcosa di clamoroso soprattutto dal punto di vista mediatico. Se tutto funzionerà al meglio. Difficile che Kiev possa rovesciare completamente le sorti della guerra. A meno di collasso del fronte interno russo.

La crisi israeliana, unico paese autenticamente democratico nell’area, è un campanello d’allarme anche per le democrazie occidentali?

da giorni si annuncia una controffensiva ucraina sul fronte orientale

Esistono punti di contatto fra Israele e le altre democrazie del mondo. Le crisi che stanno attraversando le democrazie di alcuni paesi occidentali sono evidenti. Ma la realtà di Israele è talmente eccezionale che non può essere paragonata alle altre democrazie occidentali.

Veniamo infine all’Italia. Come valuta la politica estera mostrata finora dal governo Meloni?

La scelta effettuata finora dalla signora Meloni è stata quella di rimanere allineata agli americani, nei limiti in cui è possibile farlo visto che gli americani hanno difficoltà ad allinearsi a sé stessi. Per il resto, noto un accenno di molto relativo protagonismo in Europa, sfruttando i rapporti con i partiti e i movimenti analoghi al proprio, soprattutto nei paesi dell’Europa centrale e orientale, barcamenandosi alla bell’e meglio con francesi e tedeschi.

Come giudica la posizione tenuta da Francia e Germania nei confronti dell’Italia?

Giorgia Meloni riceve Vlodomir Zelenskj lo scorso 13 maggio

Mi sembra che le radici ideologiche di Giorgia Meloni siano tenute bene in considerazione sia dai francesi che dai tedeschi. I quali ne fanno uno strumento di latente delegittimazione del governo di Roma. Il motto degli europei è ciascuno per sé nessuno per tutti.

Lucio Caracciolo terrà una lectio magistalis questa mattina (ore 11.15) al liceo Parini di Milano (collegamento in streaming sul canale You tube di Repubblica)

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2 risposte

  1. Ma quella assurda mappa in copertina è un parto di Limes o di Riflessi?
    Così, giusto per sapere a chi togliere il saluto.

    Claudio Della Seta

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