Difendiamo ogni giorno la nostra identità, ma ci serve aiuto

Manuela Russi, presidente della comunità di Ancona, racconta a Riflessi la realtà delle Marche, da sempre una terra di frontiera

Dottoressa Russi, da quanto è presidente della comunità di Ancona?

la città di Ancona

Dal 2018. Guido un consiglio formato da 7 consiglieri.

Di cosa si occupa lei?

Sono farmacista. Nel 2018, trovandomi nella possibilità di avere più tempo a disposizione, ho deciso di investirlo nella mia comunità.

Qual è il territorio coperto dalla comunità di Ancona?

Noi siamo competenti per tutte le Marche. Quindi non solo ad Ancona, ma anche a Senigallia, Pesaro, Urbino, e in generale ovunque ci siano ebrei nel nostro territorio.

Quanti sono gli ebrei che vivono nella Marche?

Non è facile dare una risposta esatta. Tenga conto, ad esempio, che ci sono ebrei di altre città che si trasferiscono nelle Marche e non tutti ce lo comunicano, o si iscrivono da noi. Detto questo, ritengo che gli ebrei nella Marche – per la maggioranza in provincia di Ancona –, sono tra i 100 e i 120 circa. Nelle elezioni del 2018, ad esempio, i votanti sono stati circa 60.

un’immagine del tempio di Ancona

Di questi, quanti sono i giovani?

Pochi, molto pochi. Direi che in città saranno una manciata, non di più.

E la realtà del resto del territorio?

A Pesaro non ci sono più ebrei, anche se amministriamo la sinagoga assieme al Comune. A Senigallia restano ancora alcune famiglie, a Urbino un paio. E poi, come le dicevo, ci sono ebrei sparsi nel territorio.

Che significa fare il presidente di una comunità di frontiera?

Significa impegnarsi ogni giorno per ogni cosa. Qui, come penso accada in tutte le piccole comunità, siamo tutti volontari, e facciamo quello che serve al momento. Non è facile, perché siamo pochi, e poi lavoriamo tutti; eppure cerchiamo di coprire i servizi nell’ambito comunitario e di organizzare attività culturali aperte anche all’esterno della comunità, per far conoscere e promuovere la nostra cultura e le nostre tradizioni.

Quali sono i rapporti con le istituzioni locali?

Generalmente buoni. Direi che la differenza non la fa lo schieramento politico, ma la sensibilità delle persone. Le faccio due esempi. Il primo è che abbiamo ancora difficoltà con il Comune, a guida centro sinistra, per la tutela del cimitero storico del Cardeto. Mentre in Regione, a guida del centro destra, è stata approvata questa estate una legge regionale per la promozione degli itinerari turistici ebraici, in un territorio profondamente legato all’ebraismo, visto che qui in passato le comunità erano davvero molte. Certo, non sempre è facile dialogare con tutti. Per esempio, per il restauro della sinagoga di Pesaro, davvero bellissima, abbiamo dovuto accettare le conclusioni della soprintendenza che decise di riportare a bianco la volta del tempio, quando per noi l’azzurro era il colore originario da preservare…come vede abbiamo impegni e responsabilità a tutto campo.

A proposito di sinagoghe: il tempio di Ancona è aperto regolarmente?

Dipende da cosa si intende. Ad Ancona abbiamo due templi, di rito italiano e sefardita. Di solito apriamo quello italiano, perché è riscaldato. Da alcuni anni siamo senza un rabbino presente, e questo è un grandissimo problema. Inoltre da questa estate è venuto meno anche la persona che da noi era un po’ l’anima del tempio e si occupava delle funzioni, e così tutto è diventato ancora più difficile. Al momento cerchiamo di aprire il tempio per Shabbat una volta al mese; mi piacerebbe arrivare almeno a due. Ovviamente siamo sempre aperti per i moadim. Lo scorso Kippur eravamo alcune decine.

Via Astagno, sede della comunità di Ancona

Ha fatto riferimento alla mancanza di un rav. Come si può risolvere il problema?

È davvero un problema estremamente grave per le piccole comunità. Un rav è infatti una figura di riferimento fondamentale, che deve avere la capacità di aggregare la comunità. Noi ci appoggiamo a rav Sciunnach, con cui mi sento spesso, e che è sempre molto disponibile; inoltre un suo collaboratore viene regolarmente da Milano in Ancona.

In questo scenario, il rischio di assimilazione si avverte?

L’assimilazione è, di fatto, una realtà. Qui abbiamo avuto molti casi di giovani che si sono sposati fuori dalla comunità, i cui figli poi si sono persi.

Ma i figli di coppie miste non chiedono la conversione dei loro figli?

il cimitero del Cardeto

Anche se la chiedono, come è noto non è così facile ottenerla; su questo però non voglio esprimere giudizi, perché il tema della conversione è molto difficile da affrontare, e credo che sia la rabbanut quella competente a esprimersi. Quello che posso dire è che in Ancona ci sono state alcune conversioni e anche ritorni all’ebraismo nei decenni passati, ma poi spesso i figli di questi convertiti hanno a loro volta avuto figli da donne non ebree.

L’Ucei potrebbe essere d’aiuto in questo?

In tema di assimilazione purtroppo non credo. Ma devo anche dire che vista da qui l’Ucei è molto lontana, e il rischio che temiamo è che si allontani ancora di più: dobbiamo anche studiare strategie che ci permettano di cavarcela da soli.

Cosa intende?

La comunità di Ancona ha un suo patrimonio immobiliare che però rende poco. Inoltre i nostri iscritti tendono a diminuire, purtroppo, per motivi anagrafici. Le piccole comunità dunque vivono soprattutto grazie al sostegno che ricevono dall’8 per mille tramite l’Ucei. Se, invece, come paventato, anche i contributi che arrivano dall’8 per mille dovessero diminuire, lei capisce che noi piccole comunità saremmo in enorme difficoltà. Ci servirebbe un sostegno per poter pagare uno stipendio a un rav, ad esempio. Oppure, idealmente, servirebbe un rav che arrivasse e svolgesse una sua professione, perché altrimenti noi non saremo mai in grado di poterlo mantenere.

E le comunità maggiori?

Premesso che ho rapporti più che cordiali anche con la comunità di Roma, tra la solidarietà espressa a parole e gli aiuti concreti, c’è molta differenza. Ma d’altra parte loro hanno problemi diversi dai nostri e sicuramente complessi da affrontare.

In definitiva, quali sono le priorità che secondo lei dovrebbe darsi l’Ucei?

Questa è una domanda a cui mi è difficile rispondere, ma vorrei solo ricordare che le piccole comunità sono un presidio importante per tutto l’ebraismo italiano, perché conserviamo e cerchiamo di tutelare, con forze estremamente limitate, una tradizione secolare che non deve essere dispersa.

Questa è la diciassettesima tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane.

In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato, Trieste, Napoli (qui e qui), Firenze, Livorno, Verona, Padova, Modena, Bologna, Parma, Merano, Genova, Mantova e Ferrara

 

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