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Francia antisemitismo

Analizzando il discorso sui social si nota che le persone che si schierano unilateralmente con la narrativa anti israeliana, utilizzano sempre le stesse parole, la stessa sintassi, la stessa frase, in maniera estremamente compatta, si può dire, e questo avviene non solo in Italia ma anche se andiamo per esempio su qualche conversazione social in inglese da qualche altra parte. Azzarderei che ci sia un manuale e un vocabolario dell’attacco a Israele. Le parole sono troppo simili: “stop al genocidio, paese terrorista, pulizia etnica”. Non devo ricordargliele perché le conosce anche lei. 

La demonizzazione del sionismo e la  delegittimazione morale dell’esistenza di Israele sono il risultato  di una costruzione politica maturata sullo sfondo del conflitto che ha opposto il Blocco atlantico al Patto di Varsavia. È figlio della guerra fredda ed è in  questa prospettiva che andrebbe rivisitato per smontarne i meccanismi. Sullo sfondo della guerra fredda che ha opposto i due grande blocchi nel dopoguerra, il conflitto arabo israeliano ha assunto nell’immaginario collettivo una valenza  più ampia trascinando con sé le antinomie che hanno fatto da sfondo: colonialismo e anticolonialismo, democrazia e dittatura, imperialismo e antimperialismo, occidente e oriente. Il processo è avvenuto per fasi che ho cercato altrove di ricostruire in un libro del 2010 e in alcuni saggi degli ani successivi. 

   La demonizzazione è il risultato di una convergenza e di un’alleanza in chiave anti occidentale fra l’Unione Sovietica, il panarabismo e i movimenti del Terzo mondo. Il regime sovietico era stato nel 1948 tra principali sostenitori della nascita di Israele. La nascita di Israele accelerò la fine del dominio britannico nella regione. Fu una delle ragioni per cui  nel dibattito sul futuro della Regione, Marshall si era opposto all’idea di uno Stato ebraico. Temeva che l’Unione sovietica ne approfittasse mettendo a repentaglio gli interessi occidentali nella Regione. 

 La nascita di Israele fu l’esito di un processo storico complesso e contraddittorio. Un progetto politico unico nel suo genere che prese corpo alla fine dell’Ottocento. Nello stesso anno in cui si costituiva a Basilea nel 1897 il movimento sionista, nei territori di residenza coatta dell’Impero zarista nasceva il Bund. Il sionismo aspirava a creare una patria per gli ebrei nella terra in cui prese corpo millenni la civiltà ebraica, con l’obiettivo di porre fine alle persecuzioni antiebraiche. All’interno del movimento sionista c’era una sinistra, per lungo tempo maggioritaria, e c’era una destra. C’erano laici e religiosi. Il Bund  rivendicava  invece l’autonomia culturale e nazionale per gli ebrei nei territori in cui vivevano.  Nel congresso in cui fu costituito il  Partito socialdemocratico russo, il Bund fu per questa posizione espulso. Con toni veementi Plechanov, uno dei massimi esponenti del marxismo russo, definì sprezzantemente i bundisti come sionisti “col mal di mare”. Dopo l’espulsione dei delegati del Bund toccò ai menscevichi. Le modalità con cui fu condotto il congresso e il modo in cui si concluse conteneva in nuce le derive totalitaria cui sarebbe andata incontro la storia dell’Unione sovietica con la conquista del potere da parte dei bolscevichi.  

Sionisti e bundisti si combatterono, ritrovandosi uniti nel momento della tragedia più grande. Nei ghetti che bruciavano insieme ai corpi delle persone. lottarono con le altre forze insieme alle altre forze della resistenza ebraica  per una morte diversa.  

Il sionismo riuscì a realizzare il suo sogno quando l’ebraismo europeo era stato già largamente sterminato. A dare linfa al nascente Stato ebraico, che aveva largamente perduto le sue basi nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale,  furono le masse ebraiche in fuga dal mondo arabo. Perseguitate e derubate dei loro averi,  trasformarono l’esilio più amaro in un nuovo canto dell’esodo. Grazie al loro arrivo e a quello di centinaia di migliaia di sopravvissuti che languivano nei campi di raccolta in Europa, e che nessuno voleva, il Paese ce la fece a superare la sfida più grande. Dopo una tremenda guerra in cui perse l’uno per cento della popolazione, in dieci anni Israele triplicò la sua popolazione ebraica, passando da oltre 650 mila circa ad un milione e 800 mila circa. Per fare un paragone, sarebbe come se l’Italia passasse in un decennio da 60 milioni a 180 milioni, di cui 120 milioni largamente privi di risorse economiche.  

 Il silenzio che per decenni ha circondato la storia delle persecuzioni subite dagli  ebrei nel mondo arabo, ha contribuito  a fissare nell’immaginario arabo ed europeo una falsa narrazione della storia della Regione e dei processi di decolonizzazione. Rimuovendo le persecuzioni arrecate a minoranze indifese che avevano contribuito in modo enorme allo sviluppo della società arabe in ogni campo,  tacendo sulle proprie responsabilità nella trasformazione di un contenzioso politico  le classi dirigenti del mondo arabo hanno evitato di confrontarsi con le cause profonde che hanno fatto da sfondo al fallimento dei processi di decolonizzazione e con i gravi lutti in cui è a tutt’oggi è avviluppata.    

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