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Francia antisemitismo

Non c’è mai un fondo al peggio. Come ha insegnato Hilberg in un processo degenerativo dei fondamenti su cui poggia la convivenza civile, ogni stadio prepara quello successivo. Il processo può essere però fermato se chi prende le decisioni, mantiene  la consapevolezza della vera posta in gioco. 

 Non tutte le persone hanno la sua preparazione e la sua competenza, molti di noi rispondono sui social di istinto, anche dicendo parolacce, anche sbagliando. Ci può dare due o tre consigli su come affrontare e come respingere queste accuse contro Israele che comunque ci colpiscono e ci fanno male?

In  tempi bui che confondono il giudizio – scriveva Freud in una lettera a Thomas Mann del 1935 – le parole del poeta sono azioni”. Quei tempi per fortuna sono alle spalle, ma l’ammonimento resta sempre valido. Deve essere sempre e comunque la nostra bussola. In televisione non parliamo solo al pubblico di chi la pensa come noi. Coloro che ascoltano vivono talora nell’altra sponda del Mediterraneo. Ogni cosa che dice arriva anche a loro ed è anche a loro che bisogna fare arrivare un messaggio diverso e opposto alle rappresentazioni false  sul conflitto mediorientale, alla cultura dell’odio in cui  è avviluppato.   

La battaglia sui social non può essere del tutto abbandonata, ma bisogna tenere conto che si tratta di una relazione completamente asimmetrica in cui a dominare è un pensiero binario che rifiuta la complessità

In una  plenaria dell’IHRA, il problema si pose per  l’uso spregiudicato che  molti siti antisemiti fanno del termine  Olocausto.  Digitando il termine Olocausto su Google, i siti antisemiti molto più frequentati rischiavano i apparire per primi a chi per la prima volta voleva informarsi sul tema. Internet è utilizzabile creativamente da chi sa già che cosa sa cercando e che cosa vuole studiare. In un incontro con i ragazzi dei primi anni del liceo, feci con loro un piccolo esperimento didattico. Scegliemmo insieme una serie di parole chiave (antisemitismo, razzismo, pregiudizio, olocausto, sionismo, etc.) e feci poi loro cercare in rete utilizzando tre telefonini che avevo portato con me appositamente. 

Digitando le parole chiave scelte, sullo schermo comparivano in prima battuta informazioni diverse. Fu l’occasione per una conversazione su come si fa ricerca  sui media. Le nostre ricerche sono condizionate da quello che abbiamo cercato prima e da come lo abbiamo cercato. Il discorso non vale solo per i media, ma per ogni ambito della vita sociale e culturale. Ciò che è emerso alla luce delle scoperte della psicologia sociale e del profondo, è che a livelli profondi la nostra mente è condizionata dai pregiudizi di partenza. I messaggi e le informazioni sono mediati dalle nostre convinzioni precedenti. 

Il motivo per cui larghe fasce della popolazione occidentale hanno reagito con un diniego agli stupri e alle violenze di Hamas, è perché nel corso dei decenni una falsa narrativa che identifica Israele con il nazismo ha fatto molta strada. Il processo di umanizzazione passa per la restituzione alla persone o ad un gruppo che è stato demonizzato, la sua realtà quotidiana, il modo in cui vive, le paure in cui versa, i pericoli con cui deve quotidianamente convivere. Alle televisioni dovremmo saper chiedere un cambiamento di attitudine in tal senso. Il messaggio che dobbiamo fare arrivare è che da questa capacità discendono molte altre conseguenze per la vita sociale e per lo sviluppo della cultura della convivenza. Bisognerebbe tornare a leggere le pagine accorate di Karl Popper sulla responsabilità etica e morale della comunicazione e della televisione.      

Nei suoi interventi per l’adozione della definizione IHRA, ha più volte  richiamato la necessità di un approccio bipartisan. Che cosa intende? 

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