Il nostro compito è resistere, ora e sempre
Fortunato Arbib, presidente della comunità di Ferrara, racconta a Riflessi i tanti progetti in campo nella sua comunità, a dispetto dei numeri e delle difficoltà quotidiane
Presidente Arbib, da quanto tempo guida la comunità di Ferrara?
Sono stato eletto circa 30 mesi fa.
Però intuisco dal suo cognome che lei non è di origine ferrarese.
In realtà di Ferrara era mia madre. Io sono nato a Tripoli, vivo qui dal 1969. Ora che sono in pensione mi dedico alla mia comunità, in precedenza mi sono occupato di progettazione e manutenzione nell’ambito ospedaliero.
Quanti sono gli ebrei ferraresi?
Gli iscritti sono circa 80, ma tenga conto che, come molte altre piccola comunità, è possibile usufruire della doppia iscrizione. In effetti, le famiglie ferraresi che negli anni si sono trasferite a Milano, a Torino, o altrove, essenzialmente per motivi di lavoro, sono rimaste iscritte alla comunità di origine. Le ragioni possono essere diverse, sicuramente le città più grandi offrono maggiori opportunità di lavoro. Gli ebrei ferraresi residenti sono circa 40. Di questi, gli adolescenti si contano su una mano.
Che carattere hanno gli ebrei ferraresi?
Direi che sono come i ferraresi, molto chiusi e riservati, contrariamente ad esempio ai bolognesi. Io non sono ferrarese, ma ritengo che questa sia una caratteristica di tutta la provincia. Anche l’età avanzata non aiuta la vita sociale: l’età media supera i 70 anni. Ultimamente però si è iscritta a Ferrara una giovane coppia.
Come ha sopportato la pandemia la sua comunità?
Ai tempi della diffusione del Covid il tempio è stato aperto solo il sabato mattina; oggi si sono riprese le normali attività religiose e culturali con accesso con green pass e sempre previa prenotazione. Il minian c’è se ci si organizza, direi che si raggiunge un paio di volte al mese, salvo le festività, dove siamo stati in grado di avere miniam sempre. Il sisma del 2012, inoltre, ha danneggiato lo stabile che ospita le tre sinagoghe e la sede della comunità: il progetto di restauro è stato ultimato, ora mancano alcuni lavori di completamento. Gli interventi, in considerazione dell’importanza storica del fabbricato, ci ha visto molto impegnati, ma siamo soddisfatti del risultato raggiunto per la qualità del restauro eseguito.
Su che linee di azioni sta concentrando la sua attività?
Abbiamo diversi progetti: la riapertura del museo, come detto ancora chiuso per i lavori di consolidamento, e la riapertura in senso generale della comunità: riprendere quindi le visite guidate alle sinagoghe e soddisfare la continua richiesta di visitare e accedere ai luoghi ebraici della città. La Ferrara ebraica è infatti una città nella città, il ghetto di Ferrara è in pieno centro cittadino. L’idea è realizzare, in piena collaborazione con il Meis, un percorso che tocchi la comunità, le sinagoghe, il museo, il ghetto, il cimitero di via Vigne. Per realizzare ciò è indispensabile reperire risorse pubbliche e private, e in questo senso mi sono e mi sto attivando. Uno degli obiettivi a breve termine e terminare il restauro del tempio Fanese, ora ci siamo concentrati sul restauro dell’Aron, ma vorremo intervenire sui decori parietali e sulle finestrature del matroneo scoperte recentemente e per caso, chiuse in tempi sconosciuti con muratura e intonaco. Vorremmo poi terminare i lavori di adeguamento normativo per permettere la riapertura del museo della comunità. Ancora, abbiamo un progetto a lungo termine che riguarda le ristrutturazioni di alcuni fabbricati storici di proprietà della comunità all’interno del ghetto; per tale ragione abbiamo iniziato a discutere, costituendo un gruppo di lavoro, formato da architetti, umanisti, storici, di un piano di rigenerazione del centro urbano previsto dalle norme regionali. A tale proposito la comunità ha sottoscritto una convenzione con la Facoltà di Architettura di Ferrara e degli accordi con la Tel Aviv University.
Dal punto di vista patrimoniale, la comunità dispone di beni propri?
La comunità vive di affitti riscossi dagli immobili locati. Abbiamo diversi appartamenti, ma la maggior parte in cattivo stato di manutenzione. I canoni sono bassi e non ci permettono di disporre di grandi entrate, se non per coprire le spese di manutenzione; stiamo valutando la possibilità di alienare alcune proprietà per permetterci alcuni interventi straordinari sul patrimonio storico culturale.
Com’è il rapporto con il comune?
Buono. La giunta è a guida della Lega, ultimamente la comunità ha sottoscritto una convenzione che permette al Comune di Ferrara di provvedere con risorse pubbliche allo sfalcio dell’erba nel nostro cimitero: in considerazione della vastità della superfice, per noi è un grande aiuto. Inoltre il Comune di Ferrara ha espresso per mezzo del proprio Sindaco Alan Fabbri la volontà di donare una Hannukkià nuova, realizzata per noi. Direi che c’è molta attenzione.
Come vede il futuro della sua comunità?
Non sono assolutamente pessimista. Siamo di fronte a una situazione oggettiva: la comunità è piccola perché la città lo è. Ciò non toglie che la presenza ebraica in città si percepisce. Il ghetto di Ferrara è una cosa viva, nelle lapidi storiche affisse sui muri delle abitazioni, nell’architettura, in via Vittoria, invia Vigna tagliata, all’inizio di via Mazzini dove sono ancora presenti sulle murature le vecchie cerniere che sostenevano il cancello di chiusura del ghetto. Tutto ciò non è solo una presenza museale, ma è una presenza viva, che pulsa, e che richiede di essere rappresentata e compresa. Il nostro compito è esserci, vitali, presenti, aperti all’esterno, accoglienti. Non ho dubbi che così resteremo, e non ci estingueremo.
Com’è il rapporto con l’Ucei, e quali priorità le piacerebbe che il nuovo consiglio si desse?
I rapporti con l’Ucei sono ottimi; certo, un maggiore sostegno sarebbe sempre utile. Come le ho detto, gli ultimi due anni sono stati davvero difficili, per il Covid e per le spese che abbiamo dovuto sostenere. Quanto alle priorità, mi piacerebbe che si instaurasse un rapporto non formale, un vero sostegno per le necessità e i problemi delle piccole comunità; insomma spero un po’ più di vicinanza.
Questa è la sedicesima tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane.
In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato, Trieste, Napoli (qui e qui), Firenze, Livorno, Verona, Padova, Modena, Bologna, Parma, Merano, Genova e Mantova
Una risposta
A Ferrara c’è stata storia di ebrei…
mi associo pertanto a quanto scritto da Piero Bonfiglioli : “ è sempre bello che si parli di Ferrara…! “