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No, non ci sono andato. Ho capito che per lei era veramente proprio una cosa insopportabile e ricordo molto bene appunto delle scene in cui lei rifiutava i film, non so, aveva proprio una forma di totale rifiuto. Sai sono tutti temi, ricordi, pezzi, frammenti, che io non avevo mai messo insieme, erano sempre rimasti pezzetti. A un certo punto nel momento in cui ho avuto modo di scrivere questo libro ho capito che erano elementi costitutivi di questo arazzo, di questo mosaico.

E anche il fatto di non rivelarsi, cioè il fatto di essere un po’ nascosti. Che poi vi ha salvati. Potevate essere denunciati, anche se non si è fatto neanche in tempo ad andarvi a cercare.

Poi hanno avuto anche strane fortune. La storia, che era vera, che racconto nel libro, del cugino che era stato denunciato. Mio nonno paterno, che non era ebreo, lo difende in tribunale.

Qualcuno aveva capito e lo aveva denunciato.

E lui lo difende dicendo che il nome [nel libro Levino] veniva dal latino. Una difesa assolutamente fantasiosa.

Ma il cognome nel libro, Attali, è quello vero?

No, l’ho inventato, suonava bene alle mie orecchie.

Nel libro c’è questo episodio, che mi ha molto commosso, mi ha commosso il fatto che tu l’abbia inserito, di una famiglia ebraica romana, che è poi la mia famiglia. Che impressione ti ha fatto questa famiglia, che tu hai conosciuto negli anni Novanta. Mi vergogno un po’ a fare una domanda su di me!

Beh, appunto, come sai, noi eravamo molto amici, è stato un periodo in cui ci siamo frequentati.

Sì, ci vedevamo spesso.

Molto.

Tramite Micahel [un amico comune].

L’ho sentito di recente. Appunto noi eravamo molto amici, ci vedevamo spesso, io veramente avevo una grandissima simpatia nei confronti di tua madre, perché era una persona con una grande ricchezza e anche una grande semplicità. Me la ricordo come una persona molto donativa. Poi non lo so perché, non è che mi facesse regali magnifici, però sentivo questa sua donatività, la sentivo in una maniera molto elementare. E poi quella cosa che appunto ho vissuto a casa tua, evidentemente è stato un fatto molto importante per me.

Io l’ho sentito.

Lì c’era appunto un nucleo familiare evidente, dentro cui entravo grazie a te, un’amica, tu entri nella famiglia dell’amica, che in qualche modo è anche la tua famiglia. Aver partecipato a quella serata, a quel rito pasquale, è stato molto interessante per me. È stata la prima volta che io partecipavo a un rito.

È incredibile, perché poi conoscevi tutti questi ebrei.

Però non era mai successo. D’altra parte io non ho mai partecipato a un rito cattolico, perché non avendo una famiglia connotata dal punto di vista religioso, io non ho mai vissuto alcun rito come la Quaresima, cena di magro di Natale, il pranzo di Pasqua.

In realtà sei entrato in una dimensione molto intima. Di solito si invita la famiglia [per Pesach], oppure degli amici [ebrei]. A noi invece piaceva, mi ricordo, l’abbiamo fatto forse due-tre volte, di invitare una persona amica che si inseriva. Io mi ricordo, me lo ricordo ancora, appunto, perché ho sentito che intanto bisognava tutelare il tuo imbarazzo, senza volerlo tutti abbiamo cercato di essere più delicati possibile perché tu stesso eri fortemente scosso.

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