Che odore ha il fumo delle bombe?

Il conflitto Israele-Hamas visto da una vittima del terrorismo palestinese

 

Roma 9 ottobre 1982. Attentato alla Sinagoga di Roma da parte di un commando palestinese. Un’automobile colpita dalle scheggie dell’esplosione.

Quando, un paio di giorni dopo l’attentato del 9 ottobre 1982, una rappresentante dell’Ambasciata di Israele a Roma venne in ospedale per visitare noi feriti, le dissi: “Israele deve proteggerci!”

Lei mi guardò negli occhi, con un atteggiamento deciso, tutto israeliano, e mi rispose: “No, siete voi che dovete proteggere Israele!”

Al momento quella risposta mi parve quantomeno inopportuna. Ero lì, con la testa fasciata, ferite in tutto il corpo; mio marito aveva subito una gravissima menomazione e lottava in terapia intensiva tra la vita e la morte, perché e come avrei dovuto e potuto proteggere Israele?

La frase però mi è risuonata nella mente in tutti questi lunghissimi anni, come un monito, ma solo dal 7 ottobre di quest’anno finalmente (e purtroppo) ne ho avuto la spiegazione.

***

uno dei tanti cortei antisemiti di questi giorni in Europa

Tira una brutta aria nel mondo, somiglia a quella che si respirava nel 1982 dopo Sabra e Chatila, ma è molto, molto più mefitica. Gli slogan scanditi nei cortei Propal sono a dir poco agghiaccianti, appena lo fai notare scende la nube nera dell’antisemitismo, che qualcuno si ostina ancora a chiamare antisionismo. La profanazione delle pietre d’inciampo è un inconcepibile atto di negazionismo, che non trova spiegazioni se non in un ignorante e radicato odio antiebraico.

Non oso pensare cosa potrebbe succedere se non ci fosse Israele e i suoi pochi ma buoni amici in tutto il mondo. Ed ecco spiegato perché è nostro dovere di ebrei della Diaspora essere dalla parte di Israele, tutti, anche chi critica gli aspetti politici attuali.

il 7 ottobre 2023 i terroristi di Hamas hanno attaccato esclusivamente obiettivi civili

Mentre sui media e nei commenti sui social si scatena quella che occorre chiamare con il suo nome, pornografia della morte, con dettagli espliciti e filmati “vedo-non vedo”, da archiviare rigorosamente appena l’audience si abbasserà, io guardo con distacco.

La mia esperienza di vita mi permette di assistere alla tragedia che quotidianamente ci opprime dal 7 ottobre non come se fosse un film dell’orrore, quando lo spettatore si protegge dicendo che sono solo immagini in uno schermo, lontane e “a me non può accadere”.

Io quell’orrore l’ho vissuto. Lo porto dentro ed esplode nelle mie paure di ogni giorno.

Dal 7 ottobre circa 240 ostaggi sono a Gaza

Non so quanti di coloro che mi stanno leggendo hanno avuto l’esperienza di scappare con mille schegge come coltelli piantate nelle gambe, una neonata in braccio, il crepitìo di una mitragliatrice alle spalle, il boato di una bomba che ti esplode davanti. Sapete che odore ha il fumo che si sprigiona? Io sì.

Ma c’è altro che non sapete, che non riuscite a immaginare.

Il dopo.

Se ne preoccupa, giustamente, Angelica Edna Calò Livne (leggi qui il suo intervento su tempi.it).

Come sarà il dopo del colonnello IDF Ori Magidish, ostaggio rilasciato da Hamas? I medici che l’hanno visitata hanno detto che è in condizioni discrete, ma tra un mese, tra un anno, tra quaranta?

Angelica Edna Calò Livne

Ogni vittima di terrorismo porta il fardello di “sopravvivere al fatto di essere vivi”, come ha detto giustamente lo psicologo-psicoterapeuta Fabrizio Mignacca .

Ciascuno lo fa a modo suo, chi chiudendosi in un rassegnato silenzio, chi mettendosi in prima fila, per esorcizzare il dolore sotto i riflettori, chi mostrando segni d’insofferenza per essere costantemente ignorato, trascurato, perfino banalizzato. Sono tutte reazioni a loro modo comprensibili, quando la narrazione tende a esplorare più l’azione dei terroristi che la vita dei superstiti.

Come si legge nell’incipit di “Curare il trauma” di Herman: “La reazione naturale dell’uomo di fronte a un evento atroce è quello di bandirlo dalla propria coscienza. Alcune violazioni dell’ordine sociale sono infatti così terribili da non poter essere espresse ad alta voce: è questo il significato della parola “indicibile”.

Chi vede il terrore indicibile dagli schermi della tv o dello smartphone ha un serbatoio molto piccolo di memoria: c’è posto per un nome, forse due, per qualche numero approssimativo, per ricordi vaghi che il successivo evento tragico rende ancora più vaghi.

Superstiti e gente comune: due mondi che continuano a non incontrarsi, eppure dovrebbero.

L’unicità dell’esperienza di ciascuna di noi vittime del terrorismo, merita di essere ascoltata, accolta, compresa non in quello che successe allora, ormai parte dei libri di storia, ma per quello che è stato di noi, dopo.

Un passo difficile, ma una prospettiva utile e illuminante.

Parlare con noi vi aiuterà a comprendere.

Molto più di tanti talk show.

Leggi anche:

punto di non ritorno (Sergio Della Pergola)

Vogliono cancellarci (Angelica Edna Calò Livne)

primo giorno di guerra (Ronny Fellus)

Una luce per Israele (Claudio Cerasa)

Le ore più buie (editoriale Riflessi)

Vi racconto il mio 7 ottobre (Yonathan Diller)

Israele, la democrazia, l’Islam (Davide Assael)

Intolleranza e occidente (Federico Rampini)

E l’Europa? (Renato Coen)

Israele difende sé stesso (Emanuele Fiano)

Antisemitismo e democrazia (Gadi Luzzatto Voghera)

Non perdiano la speranza (Anna Momigliano)

Contro il terrorismo, la politica (Fabio Nicolucci)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Condividi:

L'ultimo numero di Riflessi

In primo piano

Iscriviti alla newsletter