Una comunità in bilico ma tenace
Lydia Schapirer è da sei anni Presidente della comunità ebraica di Napoli; a lei abbiamo chiesto di parlarci del mondo ebraico napoletano.
Gentile presidente, è vero che anche la storia della sua famiglia si inserisce in quella tutta particolare degli ebrei di Napoli?
Sì. Mio padre era nato a Istanbul, e la sua famiglia risiedeva a Vienna. Mia madre invece abitava a Salonicco, che al tempo era una comunità molto importante, tanto che all’inizio del Novecento era chiamata infatti “la piccola Gerusalemme”. Nel 1917, a seguito di un incendio che distrusse il centro storico della città, la sua famiglia si trasferì a Napoli assieme a molte altre. Mia madre aveva solo tre mesi. I miei genitori si incontrarono dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando mio padre arrivò a Napoli per lavoro. Di fatto, in casa mia si parlava in ladino, anch’io da bambina lo comprendevo. Oggi dei discendenti di quelle famiglie che arrivarono a Napoli sono rimaste pochissime tracce. La nostra comunità è molto anziana, le famiglie scompaiono.
Di che numeri parliamo?
Gli iscritti, tenendo conto di tutto il meridione, si aggirano pochissimo al disopra dei duecento. Di questi, a Napoli i ragazzi sotto i 20 anni saranno 7, forse 8; una decina se si tiene conto di tutto il sud. È molto difficile coinvolgerli, di fatto non si presentano alle attività comunitarie. Per questo è per noi fondamentale l’aiuto che può arrivarci da fuori. Alla metà di giugno, per esempio, sono venuti a Napoli dei ragazzi della Comunità di Roma dell’Hashomer Hatzair, che ha organizzato una visita al Bosco di Capodimonte. C’erano 5 ragazzi romani, che hanno coinvolto 5 ragazzi della nostra comunità. È stata una giornata molto bella per noi.
Quali sono i problemi della sua comunità?
Quello demografico è chiaramente il più grave. Le faccio questo esempio: quest’anno con molta gioia abbiamo festeggiato 2 bar e 2 bat mitzvà; la metà di loro però sta per lasciarci, perché il loro genitori andranno a lavorare altrove. E il nostro ultimo matrimonio è stato celebrato 5 anni fa. C’è poi un problema economico, perché la nostra comunità non dispone di un patrimonio immobiliare in grado di fronteggiare le spese necessarie a rendersi finanziariamente autonoma. Il nostro bilancio è coperto al 50% dalle tasse comunitarie, in discesa visto il calo demografico, e il 50% dai proventi dell’8 per mille, per noi davvero molto importante. Non è un bilancio che dà tranquillità, il Covid inoltre ha peggiorato la situazione, in quanto avevamo numerose scolaresche venivano a visitare la nostra comunità e comunque erano fonte di reddito. Anche i turisti israeliani venivano in comunità, ma ora non si vede più nessuno.
Come state affrontando le difficoltà legate alla ripresa successiva al Covid?
Prima dell’epidemia riuscivamo ad aver minian ogni shabbat, spesso anche il venerdì sera. Oggi è molto più difficile, e non sempre ci riusciamo. Le persone sono anziane, e non sono più abituate a uscire. Ci mancano poi i ragazzi israeliani che studiavano a Salerno, e che venivano a Napoli di shabbat. Mi auguro che presto si possa tornare a fare una vita simile alla precedente.
L’UCEI presto si rinnoverà. Che richieste sente di fare al nuovo consiglio?
L’UCEI ci è stata sempre vicina. Io mi auguro che anche in futuro l’UCEI si renda conto che qui al Sud c’è un presidio che non può essere abbandonato, e che anzi va rafforzato.
Cosa intende?
Per motivi storici, ci sono molte persone che nel Meridione d’Italia guardano all’ebraismo con sincero nteresse e vicinanza. È per questo che anni fa l’UCEI ha avviato il progetto Meridione. La scelta del rabbinato italiano, di non consentire il ghiur a chi non può agevolmente raggiungere un tempio, ha di fatto interrotto il percorso di avvicinamento di molte persone. Se però si abbandonerà del tutto la possibilità di coinvolgere questo potenziale bacino, il rischio è che ci si rivolga a figure che non rappresentano l’ebraismo ufficiale, generando confusione anche verso le istituzioni locali. È un pericolo da non sottovalutare. Il Sud è sempre stato un territorio di enormi potenzialità, Non possiamo trascurarlo o ignorarlo. Penso a chi si improvvisa sedicente rappresentante degli ebrei meridionali, a chi organizza tour turistici senza legittimazione, etc..
Come potrebbe sostenersi l’ebraismo napoletano?
I mezzi per reiventarsi potrebbero esserci. Non dimentichi l’attrattiva turistica di Napoli, della costiera amalfitana, le isole del nostro golfo. Si potrebbe pensare a una filiera kasher, o a formare giovani per le certificazioni, per organizzare tour sui percorsi ebraici; si potrebbero proporre matrimoni, bar e bat miztvà da celebrare nel territorio, ma anche in Calabria e in Puglia. Si potrebbe così creare un indotto interessante. Un ebraismo che riesce a dare un reddito ai suo iscritti è certamente più forte.
Come vede il futuro dell’ebraismo napoletano?
Siamo un presidio che non può scomparire. Il nostro Maskil, Ariel Finzi, fa molto per unire la comunità, riuscendo a organizzare lezioni via zoom, con oltre 20 persone. In generale, i margini ci sono, mi auguro ad esempio un giorno di poter aprire un ristorante kasher. Nel sud ci sono persone che vorrebbero avvicinarsi, ma le regole sono rigide. Questo è il punto interrogativo del nostro futuro. Siamo una comunità fortemente in bilico.
Ieri abbiamo iniziato il viaggio a Napoli incontrando il consigliere Sandro Temin.
Questa è la quinta tappa del viaggio nelle comunità ebraiche italiane. In precedenza siamo stati a Torino, Venezia, Casale Monferrato e Trieste