Torino per Israele
L’attacco del 7 ottobre ha colpito anche l’ebraismo italiano. Le diverse comunità hanno subito reagito, mostrando la loro solidarietà. Dopo Roma, vediamo cosa è successo a Torino
Il 7 ottobre ha sconvolto tutti. Ci ha resi angosciati e insicuri, ci ha costretti a confrontarci con la superficialità e l’incomprensione di colleghi e conoscenti, ci ha fatti sentire fragili e impotenti, anche di fronte a una sconcertante ondata di antisemitismo più o meno esplicito. In questo contesto è davvero un sollievo poterci confrontare all’interno delle Comunità e delle organizzazioni ebraiche con persone che condividono la nostra angoscia e che, come noi, hanno amici e parenti in Israele, alcuni dei quali sotto le armi. Un contesto in cui le differenze ideologiche, tra laici e religiosi o di altro genere sembrano passare in secondo piano.
Anche la Comunità Ebraica di Torino dopo il 7 ottobre si è ritrovata insieme in più occasioni. Martedì 10 ottobre gli ebrei torinesi si sono riuniti al tempio per commemorare le vittime del massacro e pregare per la guarigione dei feriti e per la liberazione degli ostaggi. A questa prima manifestazione pubblica hanno partecipato, invitate da noi, diverse autorità, tra cui il sindaco di Torino Stefano Lo Russo. Due giorni dopo la Comunità ebraica ha aderito a una fiaccolata per Israele organizzata dall’Associazione Adelaide Aglietta a cui hanno portato il saluto rappresentanti di partiti politici e organizzazioni, nonché (presenza significativa e gradita) esponenti della comunità ucraina e di quella iraniana.
In seguito i singoli ebrei torinesi, la Comunità e le organizzazioni ebraiche si sono mossi su diversi fronti: raccolte fondi per organizzazioni quali il Magen David Adom e per i kibbutzim colpiti dai terroristi, incontri di approfondimento, serate e altre iniziative volte a far sentire il nostro sostegno agli israeliani presenti a Torino, lezioni sulla storia di Israele rivolte ad allievi e insegnanti della scuola ebraica, una serata dedicata alla raccolta fondi con il coreografo di fama internazionale Michael Getman. Altre iniziative sono programmate nelle prossime settimane.
Particolarmente emozionante è stata, il 5 novembre, la cerimonia internazionale di commemorazione delle vittime del 7 ottobre nel trentesimo giorno dalla loro scomparsa promossa delle principali organizzazioni mondiali ebraiche (KKL, Keren Hayesod, Agenzia Ebraica-Sohnut e WZO, Organizzazione Sionistica Mondiale). Migliaia di ebrei in tutto il mondo collegati insieme per recitare il Kaddish per le vittime e pregare per la guarigione dei feriti e per la salvezza degli ostaggi, e anche per ascoltare canti e testimonianze. La sala del nostro Centro sociale si è dunque trovata unita virtualmente con Gerusalemme e con tante altre sale in ogni parte del mondo, 128 comunità in 31 Paesi; intonare l’Hatikvà tutti insieme in un unico coro da un continente all’altro è stata un’esperienza fortissima, difficile da dimenticare.
Non tutte le iniziative progettate o suggerite per sostenere Israele e per tener desta l’attenzione dell’opinione pubblica sul dramma ostaggi si sono dimostrate concretamente praticabili: talvolta sono emersi problemi di sicurezza, o di altro genere (per esempio leggi e regolamenti circa l’occupazione del suolo pubblico o l’affissione di manifesti) che hanno impedito di portare avanti molte idee che sulla carta sembravano decisamente valide. Non tutto ciò che è possibile in una Comunità di grandi dimensioni come Roma e Milano si rivela altrettanto possibile nelle Comunità medie e piccole. Da questo punto di vista la comunicazione delle Comunità tra di loro e con l’Ucei si rivela importantissima, e a mio parere dovrebbe essere rilanciata.
Non sono mancati in queste settimane i contatti delle Comunità tra di loro e con l’Ucei, ma, mi pare, solo tra Presidenti o responsabili di settori specifici. In una situazione grave come questa si è sentita più che mai la mancanza di un mezzo di comunicazione come era stato Pagine ebraiche fino all’anno scorso, quando forniva informazioni puntuali su ciò che avveniva in tutte le Comunità offrendo un quadro ampio e dettagliato dell’Italia ebraica e permettendo agli ebrei delle Comunità medie e piccole non solo di sapere ciò che si faceva in altre città ma anche di avere la soddisfazione di far conoscere a tutta l’Italia ebraica le proprie iniziative e attività. A volte la mancanza di conoscenza rischia di alimentare spiacevoli pregiudizi: per esempio al termine della cerimonia internazionale del 5 novembre Eyal Avneri, shaliach del Keren Hayesod Italia portando il suo saluto ha raccontato candidamente che qualcuno Roma e Milano gli aveva sconsigliato di venire a Torino perché tanto gli ebrei torinesi sono contro Israele. I pregiudizi sono sempre duri a morire (noi ebrei ne sappiamo qualcosa), ma certo le difficoltà a far girare le comunicazioni da una Comunità all’altra non aiutano a superarli. Tra parentesi, mi è stato detto che gli altri Presidenti di medie e piccole Comunità non erano al corrente della cerimonia internazionale del 5 novembre e che quindi la Comunità di Torino è stata l’unica a partecipare. Se è così significa che una riflessione sull’informazione all’interno dell’Italia ebraica è davvero necessaria e urgente, a maggior ragione nel momento buio che stiamo vivendo.
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