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Studiare il passato è il migliore antidoto contro il ritorno del pensiero (e della pratica) fascista

La Repubblica offre ai lettori l’opera di Michele Sarfatti che aiuta a conoscere il complesso delle leggi antiebraiche. Ma perché tornare a studiare il passato di 85 anni fa? Ne abbiamo parlato con l’autore

Professore Sarfatti, La Repubblica da domani, 20 gennaio, ripropone ai lettori un suo libro (Le leggi antiebraiche spiegata agli italiani oggi), diventato quasi “un classico” della letteratura scientifica sulla persecuzione degli ebrei realizzata dal fascismo. La prima domanda è questa: perché “leggi antiebraiche” e non, semplicemente, “leggi razziste”?

Michele Sarfatti (foto: Giliola Chiste)

Io le chiamo “antiebraiche”, per un motivo complesso, che posso così sintetizzare: non furono solo razziali, perché il temine “razziale” ha un significato quasi neutro, oggettivo. Nelle lingue neolatine abbiamo gli -ismi o gli –isti, che esprimono un’ideologia. Il fascismo certo fu razzista, ma non solo contro gli ebrei: anche contro i neri, o le altre minoranze, ad esempio. E infatti il regime fece due comparti normativi quasi autonomi: la legislazione contro gli ebrei e quella contro i neri. Nel 1938, però, furono presi di mira solo gli ebrei: salvo un articolo, infatti, quelle del 1938 furono norme pensate e applicate solo contro gli ebrei. Per questo le chiamo antiebraiche.

Perché ripubblicare un testo che si riferisce a un periodo della nostra storia lontano ormai 85 anni fa?

Mussolini annuncia le leggi razziali a Trieste, estate del 1938

Ricordare ha senso. Io oggi certo non vedo, nell’immediato, i pericoli di una svolta autoritaria per il nostro paese; ma so che il grembo dentro cui è maturato il progetto antisemita realizzato nel 1938 è sempre attivo. Ripeto, non sto dicendo che c’è un pericolo immediato, ma bisogna conoscere cosa accadde allora per comprendere i pericoli che sono sempre insiti, nel presente e nel futuro.

La persecuzione operò solo per via amministrativa?

Ci fu persecuzione sia da parte del legislatore che da parte della pubblica amministrazione. Non ci fu un direttore del catasto, ad esempio, che esitò a licenziare un dipendente ebreo, né un preside, né un rettore che si oppose a che gli insegnanti e gli studenti ebrei fossero allontanati. Le leggi antiebraiche furono pensate e costruite con intelligenza, va detto, e poi furono applicate.

Senza eccezioni?

L’applicazione in genere avvenne con il massimo zelo, salvo quel piccolo grado riservato alle eccezioni, un modo di fare italiano per cui alcune cose, solo però per gli amici, venivano lenite.

A che punto è la ricerca dei responsabili?

Siamo indietro. Manca la volontà di dedicarsi a capire chi è stato che ha agito contro, perché in questo paese si preferisce moltissimo studiare chi ha agito a favore, contestando o soccorrendo o lenendo, ma c’è una grande difficoltà, che diventa non volontà, di studiare chi ha agito contro.

Ci sono, in generale, ancora dei punti da chiarire?

Una seduta della Camera dei fasci e delle corporazioni

Le faccio un esempio. Le principali norme antiebraiche del 1938 furono emanate sotto forma di decreto-legge, che come sa, allora come oggi, ha bisogno della conversione in legge. Ebbene, noi sappiamo che in senato ci furono 9 o 10 voti contrari, su 164 votanti e 170 aventi diritto. Per cui ne ricaviamo che qualcuno non partecipò al voto, ma non sappiamo chi si oppose alle leggi antiebraiche. Eppure potrebbe essere fatto uno studio empirico, sulla base, ad esempio, di diari e corrispondenze, comportamenti pubblici. Si potrebbe cercare di risalire a chi può essere stato a votare contro. Invece il tema non è studiato, ma servirebbe a capire da dove veniamo.

Imparare da dove veniamo, lei dice. Che rapporto c’è tra memoria e democrazia?

Sono sempre in difficoltà con la parola “memoria”. Preferisco le parole “storia”, “conoscenza”, “consapevolezza”. È vero che una società vive di memoria civile, ma io credo che sui grandi eventi noi dobbiamo avere una conoscenza, e in base a ciò essere consapevoli di ciò che abbiamo ereditato e ricavarne una regola di comportamento per il futuro. Nella storia d’Italia sono successe tante cose, ma la persecuzione antiebraica è una di quelle rare volte in cui il nostro paese ha deciso di perseguitare una parte dei propri cittadini, non per la loro attività, ma in quanto tali. Dovremmo saperlo, conoscerlo, capire come mai siamo arrivati a quel punto.

Se la memoria non è buona, né perfetta o aggiustata, che ne è della democrazia?

E’ di pochi giorni fa l’assoluzione per l’accusa di istigazione all’odio razziale della donna che ha indossato questa maglietta

La democrazia oggi non è deteriorata, ma la probabilità che corra dei pericoli, come le dicevo all’inizio, si è molto infittita e accresciuta. Lo si vede dal fatto che nelle ultime elezioni la maggioranza degli italiani non ha rifiutato sdegnosamente la presenza di candidati ambigui sul fascismo, per non dire di peggio. Vuol dire che è saltato un criterio, è cambiata l’Italia; una volta non sarebbe stato possibile.

Chi ci governa oggi ha la memoria buona?

Giorgia Meloni non ha mai preso le distanze da Giorgio Almirante, il quale, a sua volta, ha sempre rivendicato la sua continuità politica con il fascismo ed è stato redattore de “La rivista della razza”

Non vedo una chiara garanzia nella condanna, da sole, delle leggi antiebraiche. Piuttosto, tali affermazioni sono l’effetto dello scarso studio passato del passato, direi della perdita di consapevolezza del passato. Dovremmo invece sapere che noi, come Italia, come “sistema paese” –  formula che oggi piace molto – abbiamo avuto campo di internamento per ebrei libici a Giado con un tasso di mortalità altissimo; che ad Arbe c’è stato un campo di internamento per sloveni cattolici con un tasso di mortalità altissimo. E che siamo andati a invadere l’URSS causando un alto tasso di mortalità altissimo tra i cittadini russi e ucraini. Ancora prima, dal 1922, noi come “sistema Italia” abbiamo avuto un governo fascista che ha fatto leggi liberticide della democrazia, e che bastonava gli antifascisti. Chi tace questo è perché è d’accordo con quel che è avvenuto. Chi non è d’accordo infatti non ha problemi a considerare questo passato come uno sfacelo. Mussolini fin dal 1919 ha avviato questo sfacelo. In democrazia si può dire quello che si vuole, ma se uno non condanna tutto ciò, è perché l’approva.

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