Quello che Israele insegna all’occidente

Dopo quasi tre mesi di manifestazioni il governo Netanyahu ha congelato la riforma della giustizia. Riflessi ha chiesto a Fabio Nicolucci una valutazione su quel che sta accadendo nel paese

Fabio Nicolucci è un analista geopolitico esperto dell’area mediorientale. Editorialista e collaboratore, tra gli altri, dell’ISPI e della NATO Defence College Foundation, è stato officer nella missione di sicurezza in Mali, impegnata al sostegno della lotta al jihadismo, dal 2019 al 2022 per conto del governo italiano. Riflessi lo ha incontrato alla vigilia del convegno organizzato dalla NATO DCF che si terrà oggi sulle strategie energetiche nel Mediterraneo.

Cosa stanno imparando le democrazie occidentali da queste 13 settimane di proteste e di partecipazione in Israele?

Fabio Nicolucci

La mia analisi è questa: siamo di fronte a un game changer, cioè a un fatto che cambia la prospettiva di un intero paese. Le manifestazioni cui abbiamo assistito sono state di una portata impressionante. Cito solo due fatti: circa un israeliano su 9, compresi i lattanti e gli anziani, è sceso in piazza a manifestare; è come se in Italia avessero manifestato circa sei milioni di persone, una cosa mai accaduta nella nostra storia. Il secondo elemento è che per la prima volta abbiamo visto entrare in sciopero i centri commerciali del paese, grazie a un accordo fra il più potente dei sindacati, Histadrut, e i proprietari. Tutto questo a mio avviso significa che dobbiamo pensare a un cambiamento non di breve periodo nella storia del paese.

Eppure in queste settimane Israele è sembrato più volte in bilico tra l’essere una democrazia occidentale e il diventare uno stato mediorientale: che direzione ha preso secondo te?

qui e sotto: immagini delle proteste che per settimane hanno coinvolto centinaia di migliaia di cittadini israeliani

Il rischio di una deriva mediorientale, come la chiami tu, c’è sempre. La narrativa della destra a cui abbiamo assistito in queste settimane, da parte di Netanyahu e dei suoi alleati, è stata quella di affermare che la riforma della giustizia provocasse appena pochi aggiustamenti, e che in fondo la democrazia non è fatta del rispetto di regole formali, ma dipende da chi la incarna, ossia da chi è il leader. Si tratta di una visione molto lontana dai canoni occidentali, che esprime il punto di vista di un rais, in effetti molto mediorientale. Quello di Netanyahu e però un medio orientalismo di destra: i suoi partigiani sognano una destra teocratica, che però si è dimostrata minoranza nel paese, al punto che il tentativo di alcuni estremisti di provocare la folla negli ultimi giorni è fallito proprio perché i numeri a favore delle proteste erano enormi e quelli dei provocatori estremamente contenuti.

Le manifestazioni di queste settimane saranno in grado di rompere certi pregiudizi sulla realtà israeliana?

Le proteste di queste settimane dimostrano ancora una volta che la sinistra europea deve smettere di rappresentare Israele in maniera macchiettistica, come un paese che praticherebbe l’apartheid, in cui la destra è prevalente. La visione di un paese repressivo è stata smentita dai fatti. Israele è un grande popolo è una grande democrazia. Anche la destra, tuttavia, deve imparare qualcosa da queste settimane. Deve imparare che aver vinto le elezioni non giustifica poi il tentativo di cambiare le regole fondamentali di un paese. Dobbiamo ricordare che in Israele la destra ha ottenuto la maggioranza dei seggi non perché è realmente maggioranza nel paese, ma per la grande abilità politica di Netanyahu, di riuscire a coalizzare tante formazioni di ultradestra che altrimenti non sarebbero entrate in Parlamento. Se guardiamo ai numeri, oltre il 51% di chi ha votato a novembre ha scelto partiti di sinistra. La vittoria elettorale quindi non è mai una delega in bianco. I leader hanno la responsabilità di interpretare il consenso ricevuto e di indirizzarlo per mantenerlo. Al contrario, Netanyahu non è riuscito a consolidare la sua maggioranza, come dimostrano tutti i sondaggi di questi giorni.

Come esce Netanyahu da questo primo round?

Il governo guidato da Netanyhau

Io credo che siamo di fronte non a un primo round, ma alla fine di un ciclo politico. Netanyahu ha perso il contatto con la realtà, ha perso il suo tocco. Dopo vent’anni di potere, stiamo assistendo agli ultimi atti della sua leadership, non a un nuovo inizio. Non ci dimentichiamo che sono 5 elezioni che Netanyahu non vince. Siccome ha compreso di non riuscire più a ottenere i voti per rinnovare il suo progetto politico ed è terrorizzato dall’essere giudicato per i reati per i quali è imputato, ha deciso di consegnarsi mani e piedi all’estrema destra, prima coalizzando partiti che altrimenti non sarebbero entrati nella Knesset, e poi piegandosi ai loro ricatti. Netanyahu è un laico, non un religioso, ma ha deciso di stringere un patto con la destra teocratica israeliana, che ora sta pagando.

Possiamo descrivere meglio questa coalizione che governa da novembre?

Ben Gvir, uno dei ministri più radicali del governo Netanyahu

Netanyahu si è messo alla testa di una coalizione dai colori trumpisti. Ha sollecitato il voto popolare descrivendosi come il leader di una destra “underdog” e discriminata dalla sinistra liberal e ashkenazita. Si è trattato di una grande illusione politica perché questa narrazione è falsa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il Likud è prevalentemente composto da ashkenaziti. Netanyahu ha realizzato, per così dire, una truffa ideologica ai danni dei mizrachi. A tale bluff si è aggiunta l’islamofobia, alimentata soprattutto da motivi ideologici.

Stai dicendo che l’Iran non è un pericolo per Israele?

proteste sociali in Iran

Come affermano molti ex capi di Stato maggiore o responsabili del Mossad, l’Iran è un pericolo, ma non il pericolo principale per Israele. In questo momento il regime iraniano è impegnato a sopravvivere alle proteste interne, e a competere nell’area del Golfo, specialmente nei confronti dell’Arabia Saudita. Eppure Netanyahu ha cercato di dipingerlo come il nemico principale. A mio avviso i reali pericoli sono altri: è il terrorismo palestinese alimentato dall’assenza di una prospettiva politica, è Hezbollah, è l’Isis. Certo, all’Iran non dispiacerebbe infliggere dei colpi a Israele, ma lo considero solo come uno dei tanti pericoli dell’area.

Possiamo descrivere da un punto di vista sociale il fronte che si è opposto al governo di Netanyahu?

l'Histadrut è il principale sindacato israelianoL’errore di Netanyahu è stato quello di avere barattato il destino di Israele e il sionismo con i suoi interessi personali. Il sionismo sostiene la supremazia del popolo sulla terra: il popolo non si può mai dividere. Netanyahu invece ha provocato una profonda spaccatura nel paese.  Non si è invece reso conto che in Israele è nata una nuova generazione, che rifiuta il modello religioso di questo governo. Netanyahu può ancora vantare un discreto seguito quando batte il tasto della sicurezza di Israele, ma in queste settimane è andato oltre, mostrando la volontà di toccare il delicatissimo informale equilibrio su cui si regge il paese.

Di che parli?

Come sai, Israele non ha una costituzione, ma è nato da un patto non scritto fra i padri fondatori, laici e laburisti, con i religiosi, che ancora oggi rappresentano solo una minoranza del paese. Quando il governo ha mostrato di voler alterare questo equilibrio, è scesa in piazza la maggioranza del paese che invece lo difende. A mio avviso non abbiamo assistito ha uno scontro fra destra e sinistra, ma fra chi vuole mantenere la laicità di Israele, e chi sogna un paese teocratico. Non a caso abbiamo visto scendere in piazza, oltre a tantissime categorie di lavoratori, anche l’Israele hi-tech, l’Israele della start-up Nation. I giovani che sono scesi a manifestare hanno compreso, al di là delle tecnicalità della riforma, che era a rischio la laicità del paese.

Skyline Tel Aviv
Israele è definita “Sturt up nation”

Possiamo ricordare su quali punti si è segnata la rottura?

Ne indico tre: il primo è la perdita di autonomia della Corte Suprema d’Israele, e a cascata dell’intero potere giudiziario, il che avrebbe segnato la fine del principio di separazione dei poteri. Il secondo elemento è stato il tentativo di spacchettare l’autorità unica nella gestione dei territori occupati, creando di fatto una milizia dei coloni. L’ultimo aspetto è l’intrusione di religiosi nella vita civile del paese, con la volontà di incidere nella vita quotidiana di milioni di israeliani, ad esempio impedendo l’ingresso di cibo lievitato negli ospedali durante pesach, o imponendo il rispetto dello shabbat, o ancora aumentando i limiti all’utilizzo della cucina non kosher. Quando gli israeliani hanno compreso che si stava disegnando uno stato in cui non avrebbero voluto vivere, è scoppiata la protesta.

Cosa succederà ora?

Nicolucci è esperto di medio oriente

Il fronte opposto a Netanyahu ha assegnato una vittoria, ma è ancora presto per comprendere quali saranno gli ulteriori sviluppi. I sondaggi danno Netanyahu e i partiti che lo sostengono in minoranza nel paese.

Come valuti le posizioni assunte dall’ebraismo della diaspora nei confronti di quel che sta avvenendo in Israele?

In realtà, quando parliamo di ebrei della diaspora, dobbiamo riferirci essenzialmente al mondo americano. In Europa gli ebrei hanno dimostrato di non riuscire davvero a incidere nel dibattito interno a Israele. Men che meno una parte dell’ebraismo italiano, quella che ha scelto di appiattirsi completamente su questo governo, dimostrandosi così incapace d’imporsi in sintonia con gli umori del paese. Al contrario, devo dire che la posizione della presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, è stata registrata con molto interesse in Israele, proprio perché ha espresso il turbamento che molti stavano vivendo di fronte al tentativo di forzare l’equilibrio della democrazia israeliana.

la recente visita di Netanyahu a Roma

Se guardiamo alla Francia di questi giorni, vediamo che fortissime sono le proteste sociali. L’Italia, al contrario, registra la più bassa affluenza alle urne dalla storia della Repubblica. E ancora ci ricordiamo ai tentativi di forzare grandi democrazie come negli Stati Uniti e in Brasile. Secondo te a che punto è lo stato di salute della democrazia occidentali?

È vero che le democrazie occidentali sono in difficoltà, e che non sono affatto aiutate dalla guerra in Ucraina, perché una guerra, in genere, aiuta sempre le destre. Detto questo, non dimentico che il trumpismo è stato sconfitto dal voto tre anni fa, è che le manifestazioni di Israele di queste settimane possono darci un segno di ottimismo. Io credo che la civiltà occidentale in cui ci riconosciamo potrà ancora contare si prenderà atto dei propri limiti.

Cosa intendi?

Nicolucci e Fiamma Nierestein a confronto

Viviamo sempre più in un mondo multipolare, in cui ciascuno deve trovare la propria posizione. L’Europa e l’occidente non possono più avere la pretesa di dettare la strada al resto del mondo. Dovremmo essere consapevoli della nostra cultura, e della nostra storia, senza più essere imperialisti. Dovremmo essere orgogliosi di quello che abbiamo costruito, ma anche consapevoli che dalla nostra cultura è nato il colonialismo e la Shoah. Dobbiamo cioè trovare il nostro posto nel mondo. Se saremo in grado di farlo, allora potremo costruire ancora un futuro migliore per noi e per gli altri. La vera sfida dell’occidente, oggi, è la lotta fra chi vuole alterare le regole della democrazia, e chi invece vuole difenderle e conservarle.

proteste in Francia contro la riforma delle pensioni

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2 risposte

  1. È confortante che in Israele abbiano apprezzato l’intervento della presidente Ucei Noemi Di Segni al Tempio Spagnolo. Ma anche i presidenti di 19 delle 21 comunità ebraiche italiane.

  2. Una intervista molto positiva, ampia, chiara, articolata ed illuminante: domande intelligenti e concrete, risposte impeccabili, idonee a comprendere quel che è accaduto e ad individuare quel che dovrebbe accadere adesso e che è bene che accada.
    Testo essenziale per una lettura degli eventi sociali e politici in Israele, ma anche nell’Ebraismo della diaspora e segnatamente in quello italiano, in relazione al quale sarebbe stato bello se l’intervistatore avesse chiesto all’intervistato per quali ragioni in Italia si sia “…scelto di appiattirsi completamente su questo governo…”: questi sono i passaggi storici qualificanti, dove ognuno disvela veramente cosa sia la propria Fede, quali siano i propri interessi motivanti palesi e reconditi e sino a quale punto voglia lottare da Ebreo per l’Ebraismo.

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