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Il centro europeo dell’ebraismo, inaugurato pochi anni fa a Parigi

Intanto sono contenta che la grande maggioranza delle nostre comunità sia guidata da rabbini italiani e che esista una scuola rabbinica italiana capace di formare nuove generazioni di rabbini con la nostra cultura. Il collegamento stretto con il rabbinato israeliano è secondo me frutto di due fenomeni: uno storico collegamento tra l’ebraismo italiano e quello della Terra d’Israele – ci sono sempre stati scambi e viaggi nelle due direzioni – e poi l’effetto della globalizzazione. Quando una comunità piccola entra in contatto con il mondo intero, e ad esempio i nostri ragazzi viaggiano, e incontrano altri ebraismi, si pone un problema di riconoscimento e legittimazione. Questo fa sì che il rabbinato italiano cerchi di garantire degli standard più internazionali, per permetterci di viaggiare e avere contatti con tutto l’ebraismo mondiale. Io perciò ho letto questa tendenza come una conseguenza del mondo globale. Si è cercato di dare all’ebraismo italiano degli istrumenti per agire alla pari ed essere riconosciuti.

Non rischiamo così però di vedere appannare quei tratti distintivi dell’ebraismo italiano che dicevamo prima?

rav Steinsaltz (1937-2020)

Io credo sia importante ricordarsi che l’ebraismo italiano ha una sua autorevolezza riconosciuta tale nel mondo, anche se poggiata su piccoli numeri. Abbiamo sempre espresso una nostra identità. Ad esempio, in Israele si studiano i testi dei chakamim italiani. Ho avuto la grande fortuna di essere vicina al Rav Adin Steinsaltz zzl, il quale aveva una grandissima considerazione dell’ebraismo italiano, che nasceva dal fatto che l’ebraismo italiano ha dato la luce a tante correnti e pensieri importanti. Per certi versi, nel mondo ebraico si pensa che l’ebraismo di Roma non potrà mai estinguersi, non solo per le sue antiche radici, e per il fatto che è nato dalla distruzione della Gerusalemme ebraica e dunque ha portato con sé tanta di quella Gerusalemme immaginaria, ma perché ha un ruolo storico nella città capitale mondiale del cattolicesimo. Certo, per mantenere questa autorevolezza è importante che gli ebrei italiani – intendo di tutta Italia, mentre a Roma a volte non si considera quanto sia importante il resto dell’ebraismo italiano, anche come contribuito alla nostra storia e cultura – si ricordino sempre chi sono, pur confrontandosi sempre con il resto del mondo ebraico, non solo con quello israeliano.

A cosa pensi?

il quartiere ebraico di Amsterdam

È importante avere contatti con l’ebraismo francese, olandese, tedesco, spagnolo, con tutto l’ebraismo d’oltralpe. Credo che alla fine, nel mondo, ci sarà l’ebraismo di Israele, quello delle due Americhe e quello dell’Europa. L’Italia ebraica potrebbe avere un ruolo da giocare non solo nei confronti dello Stato di Israele, ma anche rafforzando il proprio sguardo verso l’Europa.

Torniamo al tema della giornata: i dialoghi. Questo è anche l’anno dantesco. Ci sono legami tra gli ebrei italiani e Dante?

un’opera di Immanuel Romano (1261-1328), contemporaneo di Dante

Certo. Come direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura a Tel Aviv mi sono occupata molto di Dante. La Commedia è stata tradotta in ebraico prima ancora che nascesse lo Stato di Israele, e Dante è tuttora studiato e letto, non solo nelle università. Sicuramente la sua poesia influenza noi ebrei a vari livelli. Dante ha parlato di un mondo universale e con una lingua universale, e come sempre, gli ebrei sono attenti a questo tipo di comunicazione. La Commedia è un’opera universale, e gli ebrei colgono sempre per primi questi messaggi. L’ebraismo stesso contiene messaggi universali, per cui sono mondi, quello di Dante e quello ebraico, che si sono parlati e si parlano. Dante ha scritto del bene e del male, dell’amore, del successo e della decadenza; è chiaro che sono temi che coinvolgono l’intera umanità. E poi Dante ha messo al centro l’uomo, e anche l’ebraismo ha al centro l’uomo – naturalmente in dialogo con Dio –, come emerge già nel libro della Genesi che abbiamo ricominciato a leggere: le acque di sopra e le acque di sotto, Adamo ed Eva creati per stare nelle acque terrene ma obbedire e tendere verso quelle celesti. C’è un mondo superiore che possiamo tentare di capire, di questo in fondo parla anche Dante. Dante in Israele è noto e studiato con molte traduzioni, ma ci sono stati ebrei che hanno studiato Dante nei secoli precedenti, a partire dal nostro poeta dantesco, Immanuel Romano.

E nel dialogo tra noi ebrei italiani e il resto del paese? Cosa sanno gli italiani dell’ebraismo?

E’ la domanda che mi sono posta dirigendo il MEIS, specie quando all’inizio bisognava concepirne e costruirne il percorso museale. Per oltre un anno ho chiesto ad interlocutori non ebrei perché dovesse essere rilevante costruire un museo nazionale dell’ebraismo italiano. Le risposte sono state diverse. Alcuni mi hanno risposto che non sapevano nulla della cultura ebraica: chi sono gli ebrei? Altri mi hanno detto di percepire che nell’ebraismo ci sono valori che, se capiti e studiati, possono essere rilevanti e dare benefici per la vita di tutti. Ho capito allora che era importante raccontare e far parlare la cultura ebraica, la nostra cultura. Ho cercato così di fare del MEIS un luogo significativo per tanti, e oggi è un museo frequentato soprattutto da non ebrei. Se si parla solo di Shoah si creano equivoci: occorre sempre partire dalla vita ebraica, dalla cultura e dai valori. Nella Shoah stessa c’è stata tanta vita ebraica, soppressa ma anche resistente. Per questo siamo ancora qui.

A proposito, vedi il rischio di una concorrenza tra il MEIS e il Museo della Shoah di Roma?

un rendering del Museo della Shoà da realizzare a Villa Torlonia (progetto: Luca Zevi)

Assolutamente no, perché hanno due vocazioni diverse. Il MEIS parla della Shoah, in quanto capitolo della lunga storia dell’ebraismo italiano che esso racconta; il Museo della Shoah di Roma tratterà della Shoah in generale, come un capitolo della storia dell’umanità, come l’Holocaust Museum di Washington. Non vedo perciò contrapposizione tra Ferrara e Roma, come non ne vedo con il Memoriale di Milano, che un luogo testimone della sua stessa storia.  Anzi, spero che queste tre istituzioni saranno alleate e creeranno una rete didattica. Sono persuasa che la Shoah vada raccontata parlando anche della vita.

Cioè?

Gli ebrei hanno sempre cercato di reagire secondo i loro valori. E anche dopo la Shoah, la vita è ripresa grazie ai valori e ai principi dell’ebraismo, che vanno conosciuti. Ecco perché è importante costruire un museo dell’ebraismo oltre a un museo della Shoah.  Il governo italiano ha fortemente voluto il MEIS perché racconta una parte della storia italiana, della cultura italiana e della vita italiana, anche oggi.  C’è una grande richiesta di conoscere la cultura ebraica.

Perché, secondo te?

Innanzitutto, come ho detto, perché dentro l’ebraismo ci sono valori che sono universali e che possono essere rilevanti anche ad affrontare alcune tematiche attuali: l’incertezza, la migrazione. E poi perché l’ebraismo è una cultura che si basa sulle domande ed è abituata a stare nell’incertezza, l’appartenenza a culture multiple, solo per citarne alcune. Sapere come gli ebrei vivono e salvaguardano la loro cultura attraverso i secoli è una lezione per tutti.

Un’ultima domanda. Tu sei stata per anni giornalista in medio oriente e ora vi sei tornata da privata cittadina. Che ti sembra dell’aria che si respira oggi in Israele?

Il vecchio tracciato di un’antica ferrovia a Gerusalemme, oggi

Sono stata giornalista in Israele per trent’anni. Oggi non faccio più quel lavoro, però da semplice osservatrice posso rispondere che mi pare ci sia una buona atmosfera, in cui se non altro si cerca di dialogare tra ebrei e arabi israeliani, si cerca un linguaggio nuovo, non di contrasto. Vivo a Gerusalemme, vicino al parco della ferrovia, che attraversa anche quartieri arabi, e per la prima volta vedo mescolarsi musulmani ebrei e cristiani sullo stesso percorso. È una bella sensazione vedere che arabi ed ebrei vivono negli stessi luoghi e frequentano perfino gli stesi caffè. M sembra che l’atmosfera sia positiva, che i toni siano meno acuti e aggressivi. Quello che viviamo è un tempo sperimentale, per via della pandemia, in tutto il mondo. Chissà che frutti porterà. Al momento percepisco meno avversità tra le parti, come tra chi cerchi di fare dei passi per un dialogo.

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