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La guerra a Gaza tra escalation o nuovi equilibri

Marta Ottaviani esamina i possibili sviluppi del conflitto a Gaza che rischia di estendersi a tutto il medio oriente, tra interessi contrapposti e grandi potenze

Dottoressa Ottaviani, l’escalation del conflitto cominciato il 7 ottobre e ora arrivato al primo attacco diretto dell’Iran contro lo Stato ebraico segna una nuova fase della guerra in medio oriente? 

Marta Ottaviani, giornalista, esperta di Turchia e dell’est Europa

Sicuramente l’escalation iniziata con l’attacco dell’Iran ha dato il via a una nuova fase di questo conflitto. Al momento non se ne possono prevedere le conseguenze: dipenderà molto dalla reazione israeliana, ma si possono evidenziare due aspetti molto interessanti. Il primo è che Israele è stato comunque sostenuto da paesi arabi nella terribile notte tra il 13 e il 14 aprile, e che inevitabilmente quella dell’Iran potrebbe essere considerata una mossa controproducente, perché va a spezzare quell’unità del mondo islamico che si era vista all’indomani della reazione di Israele agli attacchi del 7 ottobre. Il secondo aspetto è che sostanzialmente si torna al polo contrapposto tra sunniti e sciiti, pur con qualche eccezione, e questo direi che per Israele è un dato assolutamente positivo.

La risposta israeliana alla base militare di Isfahan di questa notte è stata “calibrata” e in fondo “attesa” dall’Iran, o rischia ora di provocare quell’escalation che tutti vorrebbero evitare?

Il centro per la lavorazione dell’uranio a Isfahan, luogo dell’attacco israeliano

Sono passate solo poche ore da questo attacco. Israele non ha ancora commentato ufficialmente, ma lo hanno fatto gli americani: è un particolare importante, perché ci suggerisce che l’America fosse assolutamente informata. Dai dettagli in mio possesso fino a questo penso che sia stato un attacco che Israele dovesse fare in risposta a quello ricevuto; però non è stato un attacco devastante, ma, come ho detto, una reazione, sicuramente non paragonabile all’attacco dell’Iran. Per questo non credo ci sarà un’escalation: se l’Iran fosse furbo si prenderebbe questo graffio da parte di Israele e si ritirerebbe in buon ordine, perché è chiaro che quello che Israele ha messo in atto è solo un surrogato d’attacco. Dunque non mi aspetto un’escalation; anzi adesso potrebbe partire una de-escalation

Cerchiamo di capire chi opera sullo scacchiere della crisi. La Cina e la Russia sostengono l’attacco della Repubblica islamica?

è in corso a Capri il G7 dei ministri degli esteri

L’Iran ha detto che, se attaccata, attaccherà di nuovo Israele con armi che non ha mai usato prima; poi è stato specificato che si tratterà di missili supersonici russi. Direi che disgraziatamente questa è la miglior conferma del fatto che in questa crisi regionale si muovono attori che hanno tutto l’interesse a mantenere destabilizzato il Medio Oriente: la Russia per prima. Ricordo però che ormai la Russia è uno “Stato fantoccio” della Cina; non per nulla gli Stati Uniti e l’occidente stanno parlando con Pechino per far cessare la situazione in Medio Oriente, e non con Mosca: hanno capito che chi tira le fila di tutto il discorso è appunto Pechino. L’Iran è legato a un doppio filo con la Russia: gli sta fornendo droni per attaccare l’Ucraina, mentre la Russia ha in piedi con l’Iran molti accordi di collaborazione energetica, commerciale, militare; pare addirittura che sia stata instaurata una fabbrica che costruisce i droni iraniani in Russia. Non dimentichiamo che Iran e Russia sono insieme anche sulla questione siriana e hanno una chiara visione su come debba essere affrontata: tenendo al potere il presidente Bashar al Assad. Quindi: sicuramente si Cina e Russia sono dietro la Repubblica islamica.

nell’attacco dell’Iran a Israele del 13 aprile la Repubblica islamica ha impiegato oltre 300, tra droni e razzi

Qual è invece la posizione dei paesi del Golfo, a cominciare dall’Arabia Saudita?

Come ho detto ritengo che la posizione dei paesi del Golfo in questo momento sia la più interessante, soprattutto quella dell’Arabia Saudita. Mi pare chiaro infatti che, nonostante il tentativo diplomatico di ricomposizione di qualche tempo fa portato avanti dai cinesi fra Arabia Saudita e Iran, Riad non abbia intenzione di farsi trascinare in un grande conflitto regionale, che poi avrebbe ovviamente anche delle ripercussioni a livello mondiale. Vi è poi da ricordare che uno dei paesi dove sono più attivi i proxy dell’Iran è lo Yemen, dove c’è una situazione molto complessa, e che per l’Arabia Saudita rappresenta un grosso problema. Quindi chiaramente l’Arabia Saudita mai vorrebbe sostenere un Iran che ha mire espansioniste. In secondo luogo ritengo che Riad abbia capito finalmente una cosa: se si vuole un Medio Oriente prospero e pacifico per tutti bisogna parlare anche con Israele, tener conto delle sue necessità, che sono soprattutto il suo diritto ad esistere e la sua sicurezza. Infine, non dimentichiamo che Israele è un partner assolutamente vantaggioso: primeggia in ricerca, ci sono progetti energetici in comune, si possono stringere legami commerciali interessanti. Quindi ritengo che non solo l’Arabia Saudita, ma anche il resto del mondo islamico, almeno sunnita, sa che collaborare con Israele può portare dei gran vantaggi.

il 10 marzo 2023 la Cina ha promosso il ripristino delle relazioni diplomatiche tra Iran e Arabia Saudita, interrotte dal 2016

Israele ha respinto l’attacco iraniano anche grazie alla piena collaborazione di Usa, Gran Bretagna, Francia e Giordania. Oggi il suo isolamento diplomatico, emerso con la risoluzione Onu di marzo, si è attenuato?

Sì, ritengo che l’isolamento diplomatico di Israele oggi sia minore. Credo però che questa sia una situazione che il premier Netanyahu dovrebbe utilizzare con sapienza, ossia comportandosi in maniera diversa da come ha fatto subito dopo il 7 ottobre.

A proposito: come giudica la reazione militare dello Stato ebraico alla violenza di Hamas del 7 ottobre?

Pur essendo totalmente in disaccordo con quello che sta succedendo sulla Striscia di Gaza oggi, va detto che Netanyahu non aveva molte altre alternative; anche perché la comunità internazionale sostanzialmente si è sempre disinteressata dei “warning” lanciati da Israele sul pericolo di Hamas. Adesso però, dopo l’attacco iraniano, la situazione è diversa.

un’immagine di Rafah

Israele non dovrebbe reagire?

L’attacco iraniano è stato effettivo, non certo “scenografico”, come hanno detto alcuni. Oggi Israele è meno isolata diplomaticamente, ma deve far buon gioco di questo minor isolamento, e il buon gioco parte proprio dal non avere una reazione spropositata con l’Iran e agire di concerto con quelli che potrebbero diventare i suoi nuovi alleati. C’è la possibilità di mettere ai margini l’organizzazione terroristica Hamas e provare a istaurare un dialogo con l’ANP. Non bisogna dimenticare che quello che sta succedendo nuoce per primi ai palestinesi, soprattutto quelli sulla striscia di Gaza. Penalizzati proprio da chi dice di voler difendere i loro interessi: Hamas, l’Iran, Hezbollah e tutti quelli che infiammano il Medio Oriente anziché cercare una riconciliazione.

l’ayatollah Khemenei

Qual è il ruolo giocato dalla Turchia in questa guerra?

La Turchia fino a questo momento è “rimasta al palo”, perché Erdogan, che voleva avere un ruolo importante nella mediazione, si è visto scavalcato dall’Egitto e dal Qatar, due grandi player regionali. L’Egitto ha una tradizione diplomatica di influenza sulla regione sicuramente molto più vasta della Turchia; il Qatar è una delle grandi potenze economiche vere dell’area. Per cui è chiaro che la Turchia è passata in secondo piano e si sono ridimensionate le mire egemoniche di Erdogan.

Perché Erdogan ha sposato da anni una linea così fortemente antiisraeliana?

I toni che il presidente turco ha utilizzato nei confronti di Israele e nei confronti del premier Netanyahu non sono nuovi. È infatti almeno dal 2009 che la politica estera della Turchia è diventata profondamente antisionista e che in alcuni discorsi del presidente Erdogan, o di altri politici del suo partito, ci sono stati messaggi che potevano facilmente infiammare e favorire sentimenti antisemiti del paese. Non ci dobbiamo dimenticare che Erdogan è il prodotto dei “Fratelli musulmani” e che il suo padre politico, Necmettin Erbakan, era un fortissimo oppositore di Israele. Direi che questi sono i risultati.

il presidente turco Erdogan

La guerra in Ucraina e quella a Gaza sono del tutto separate, o è possibile trovare un collegamento?  

Come ho già avuto modo di dire altre volte, la guerra in Ucraina e la guerra di Gaza sono sicuramente due guerre diverse, ma sono anche collegate da un fil rouge, perché c’è qualcuno che a Pechino usa una cordata di paesi a composizione variabile per cambiare l’ordine mondiale e far perdere terreno agli Stati Uniti e all’occidente. Si vorrebbe cioè sostituire il mondo che abbiamo ora con un mondo multipolare, dove nazioni che nei confronti dell’occidente hanno motivi di risentimento o comunque ambiscono ad affermarsi sul piano internazionale vogliono la loro parte. Ora, che una potenza che si affaccia sulla scena internazionale aspiri alla “sua fetta di torta” è comprensibile; ma che lo faccia a scapito però della pace, della prosperità e della vita di milioni di civili questo non è accettabile. Dunque è

l’ultimo libro di Marta Ottaviani, “Brigate russe” (Bompiani)

molto importante capire che ci sono paesi che usano le varie crisi regionali per demolire progressivamente l’ordine mondiale attuale e sostituirne uno a trazione cinese.

L’Europa è destinata a svolgere un ruolo marginale in medio oriente?

La speranza è che la crisi in Ucraina, che comunque ha visto finora l’Europa reagire molto bene, possa ispirare a proseguire un cammino verso una politica estera e di difesa comune, e che il Mediterraneo resti “casa nostra” e casa dell’Europa. Ciò richiede un maggiore impegno europeo: non possiamo lasciare le decisioni che ci riguardano in mano solo ad altri paesi. Dobbiamo intervenire con una voce sola.

È possibile immaginare nel corso del 2024 una soluzione delle due crisi internazionali, quella ucraina e quella mediorientale?

È una domanda da un milione di dollari. Direi, per quanto riguarda la crisi di Gaza, che essa potrà terminare quando le richieste e le preoccupazioni di Israele saranno tenute in conto; finché non succederà questo, non ci potrà essere pace in Medio Oriente.

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