Guerra Israele-Hamas: e l’Europa?
Da 20 giorni il medio oriente è tornato a essere al centro dell’attenzione geopolitica mondiale; eppure l’Unione europea rischia di restare ai margini di una crisi che la riguarda da vicino, come ci spiega Renato Coen
Renato, che aria si respira nelle istituzioni comunitarie nelle ultime due settimane, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre a Israele, la reazione dello Stato ebraico e, da ultimo, l’uccisione di due turisti svedesi a Bruxelles da parte di un immigrato radicalizzato?
C’è ovviamente un’allerta maggiore, anche se non immediatamente percepibile nella vita quotidiana. Tuttavia occorre ricordare che solo questa settimana sono state decine gli allarmi terroristici registrati in Francia, Belgio e Germania, come non si vedeva da tempo. Versailles è stata sgombrata, come il Louvre, lo stesso è accaduto più volte per i principali aeroporti francesi. È il segno innegabile che c’è stato un innalzamento del livello d’allarme. Inoltre va ricordato anche che da qualche giorno sono stati ripristinati i controlli ai confini della Slovenia, effettuati da Italia e Austria. E pochi giorni fa si sono riuniti i ministri degli interni dell’Unione europea, per discutere il tema della sicurezza, che si è aggiunto all’agenda di lavoro oltre alla questione relativa alla migrazione. Ricordo infatti che l’attentatore di Bruxelles era sbarcato in Italia proveniente dalla Tunisia, e che si era radicalizzato successivamente al suo ingresso nell’Unione europea.
Pochi giorni fa il Parlamento europeo ha votato una mozione di sostegno a Israele, registrando 500 adesioni e 21 astensioni. Ci aiuti a interpretare la volontà dei deputati europei?
Per comprendere i sentimenti che animano le istituzioni comunitarie in questo momento occorre fare riferimento non soltanto al Parlamento, ma anche al Consiglio e alla Commissione. Dall’insieme delle istituzioni comunitarie infatti emerge una spaccatura rilevante, che si spiega in buona parte con la fibrillazione che aumenta mano a mano che ci si avvicina alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, il prossimo giugno. E per questo che, ad esempio, Ursula Van der Leyen, presidente della Commissione europea, si è schierata da subito in maniera netta dalla parte di Israele, sia attraverso sue dichiarazioni, sia andando in visita da Netanyahu. Le sue prese di posizioni, tuttavia, sono apparse poco equilibrate, cosicché hanno causato le critiche di alcuni parlamentari e, seppure sottotraccia, di alcuni commissari europei, nonché di alcuni governi.
Cosa le viene rimproverato?
Secondo i suoi critici, la Van der Leyen è stata troppo tiepida nell’invitare Israele a una reazione proporzionata e al rispetto dei diritti umani. Ad esempio, Joseph Borrell, socialista spagnolo, Alto rappresentante per la politica estera europea, ha da subito tenuto una posizione più attenta alla necessità di tutelare la popolazione civile palestinese, ma a sua volta anche lui è stato criticato, in quanto ritenuto non sufficientemente perentorio nel condannare la strage di Hamas del 7 ottobre. Inoltre dobbiamo tener conto che il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, rivale da sempre della Van der Leyen, cerca di tenersi in una posizione più equilibrata fra lei e Borrell. Infine, per quanto riguarda il Parlamento europeo, esso è da sempre fisiologicamente diviso fra i popolari, i socialisti, la destra e l’estrema sinistra. In questo contesto la mozione votata pochi giorni fa ha cercato di mettere insieme le varie anime e sensibilità presenti. Si tratta infatti di una votazione simbolica, come tutte le mozioni, che rappresenta le diverse posizioni politiche fra i partiti di centro e di destra, più filo israeliani, e quelli di sinistra, attenti maggiormente alla causa palestinese. La novità, semmai, è che questa volta diversi governi hanno manifestato il loro disappunto per la posizione della Van der Leyen, in quanto a loro avviso le sue dichiarazioni nel conflitto israelo-palestinese rischiano di essere contraddittorie rispetto alla posizione europea nei confronti della popolazione ucraina.
Quali sono stati i paesi più critici con la presidente della commissione europea?
Direi la Danimarca, l’Austria e la Spagna, anche se si tratta di voci di corridoio raccolte off Records, senza che si siano mai tradotte in una posizione ufficiale. Mentre Germania, Austria e Francia si sono mostrate più nettamente solidali con Israele. Tieni conto anche che la Commissione europea al suo interno ha mostrato poca coerenza, come ha dimostrato il 9 ottobre il commissario ungherese all’allargamento dell’Unione, il quale ha dichiarato che sarebbero stati interrotti tutti i finanziamenti diretti verso la Striscia di Gaza, e che meno di 48 ore è stato smentito dal governo francese e tedesco, oltre che dallo stesso Borrell. Alla fine la commissione ha dovuto retrocedere, specificando solo che ci saranno maggiori controlli nei destinatari degli aiuti.
Questa differente posizione fra all’interno delle istituzioni comunitarie si giustifica sulla base dei diversi orientamenti politici fra i vari partiti o riflette invece un approccio delle varie nazioni nella questione israelo-palestinese?
Direi che entrambi i fattori hanno il loro peso, è che le differenti posizioni espresse derivano da diversi orientamenti, sia politici che culturali. Storicamente la sinistra tende a essere sempre più critica verso Israele e così a, ad esempio, si spiega perché la Spagna, nella crisi attuale, è quella che ha mostrato minore adesione alle posizioni di Israele. D’altra parte, occorre tener conto che quando un parlamentare europeo si esprime, guarda anche all’interesse nazionale del suo paese nonché al suo collocamento internazionale. Direi comunque che da quanto evidenziato in questi giorni emerge come, purtroppo, l’Europa giochi un ruolo minore in questa crisi, soprattutto per i diretti interessati.
Cosa intendi?
La dimostrazione di tanta debolezza si capisce guardando a Gerusalemme. Il governo israeliano mostra di stare attento alle dichiarazioni che provengono dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dei paesi arabi, addirittura dall’Iran e dalla Russia, ma molto meno dalle grandi capitali europee.
Come viene valutata l’azione del governo Meloni nella crisi mediorientale e più in generale nelle relazioni internazionali?
La posizione del governo italiano sulla guerra in corso tra Israele e Hamas è stata molto netta fin dall’inizio a favore di Israele. In generale, sulla politica estera il governo Meloni si è subito accreditato presso la comunità internazionale sostenendo L’Ucraina, questo nonostante che la Meloni governi con degli alleati come la Lega e, finché è stato in vita, Berlusconi, come sappiamo con esplicite simpatie filorusse. In questo la Meloni è stata brava, perché si è posizionata in modo netto, ottenendo così crediti di affidabilità presso le autorità di Bruxelles e di Washington. Anche le dichiarazioni rese nella conferenza di pace del Cairo di sabato scorso confermano che agli occhi dell’occidente l’Italia è un alleato affidabile, tant’è che gli USA coinvolgono regolarmente il governo italiano nel quintetto che esamina l’evoluzione della crisi mediorientale. In ambito più europeo, la Meloni e la Van der Leyen sembrano, soprattutto nei mesi scorsi, aver concordato una sorta di sostegno reciproco: la presidente della commissione europea per ottenere i voti in vista di una auspicata rielezione nel prossimo Parlamento europeo, e la presidente del consiglio italiana per non rimanere più isolata In Europa.
Con la crisi scoppiata in Medio Oriente l’Ucraina rischia di ricevere meno attenzioni anche meno aiuti?
L’attenzione per la guerra tra Russia e Ucraina certamente è diminuita nell’opinione pubblica internazionale, anche se, c’è da dire, gli aiuti militari da parte delle nazioni europee continuano ad arrivare. Certo Zelenskj è preoccupato, teme che possa diminuire il sostegno al suo paese. La prova è stata data la scorsa settimana, quando ha incontrato i ministri della difesa europei per perorare la causa ucraina.
Quanto incide sull’azione dell’Unione europea la prossimità delle prossime elezioni per il rinnovamento del Parlamento europeo?
Certamente il prossimo voto indebolisce l’Europa, prova ne è il fatto che la Van der Leyen è accusata più o meno esplicitamente di seguire i propri obiettivi politici piuttosto che preoccuparsi di assicurare una unità di azione da parte delle istituzioni europee. Cosicché sembra più distratta, meno attenta a seguire i vari dossier aperti. D’altra parte, le preoccupazioni della Van der Leyen sono proprie di tutti i parlamentari europei. Detto questo, c’è anche da aggiungere che la maggiore o minore attenzione che i vari parlamentari europei mostrano nei confronti della situazione internazionale, perché pensano più alla loro rielezione, dipende anche dal sistema elettorale applicato nei vari paesi.
Perché?
Prendi la Germania, lì si vota senza esprimere le preferenze, questo fa sì che il sistema elettorale sia meno personalizzato, e che dunque i vari parlamentari tedeschi confidino di potersi ricandidare in base a quello che hanno fatto negli anni precedenti. Al contrario, nei paesi come l’Italia, dove il voto per il Parlamento europeo è basato sul sistema delle preferenze, già da ora si registra una loro sempre maggiore assenza da Strasburgo, perché passano sempre più tempo nel loro collegio elettorale alla ricerca del consenso. Anche le scelte e le posizioni espresse sulle varie questioni, dunque, non possono non essere influenzate dalla strategia elettorale impiegata per essere rieletti.
A tuo avviso questa crisi in medio oriente potrà orientare l’opinione pubblica europea al momento del voto?
Sinceramente non credo. All’elettorato, cioè ai cittadini europei, interessano altri temi, stando anche ai sondaggi effettuati. Penso all’inflazione, al caro energia, al problema dell’immigrazione.
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