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Impegno politico, amore per Israele, lotta senza tregua al fascismo: questa era Carla Di Veroli

Emanuele Fiano spiega a Riflessi qual è l’eredita politica e spirituale lasciata da Carla Di Veroli, che non  ha mai indietreggiato nella sua lotta contro ogni discriminazione

Onorevole Fiano, da quanti anni conosceva Carla Di Veroli?

Da quando eravamo ragazzi. Facevamo parte di un’unica famiglia: quella dei figli dei sopravvissuti alla Shoah. Poi ci ha unito anche il comune impegno politico.

Può ricordare per i nostri lettori su cosa era fondato l’impegno politico di Carla Di Veroli?

Emanuele Fiano è deputato PD

Lei ha attinto la forza del suo impegno dalla radice comunista di Settimia Spizzichino (sua zia, n.d.r.), perché ha sempre militato in quell’area politica, anche quando poi ha cambiato nome. Solo quest’anno non si è iscritta al PD. Nel partito romano conosceva tutti. Quando, durante la giunta Marino, ha ricevuto l’incarico di preservare la memoria, ha organizzato tantissime iniziative e viaggi; teneva insieme la sua anima di sinistra, l’amore per Israele, e l’odio sconfinato per il fascismo. Anche in questo eravamo simili.

Che persona era?

Era davvero un’ape terribile, come avete scritto voi su Riflessi. Non perdonava nulla ai suoi nemici, ma si arrabbiava anche molto con la sinistra, e anche con me, quale dirigente del partito democratico, più volte oggetto dei suo strali. Carla puntava e colpiva con mira eccellente ogni volta che notava contraddizioni nel PD verso Israele. Non perdonava il lassismo verso episodi di antisemitismo a sinistra, e poi c’era una cosa per cui soffriva molto.

Di che si tratta?

Della vicenda della mancata presenza della Comunità ebraica di Roma alle manifestazioni unitarie del 25 aprile, a causa dei provocatori Propal; lei condivideva la scelta di staccarsi dal corteo romano dell’Anpi, ma non se ne dava pace. Io stesso mi ricordo della gravità della cosa, quando ne parlai con Carla Nespolo (ex presidente Anpi, n.d.r.), spiegandole quanto a Roma fosse grave la situazione, perché emarginare i nipoti e i figli dei sopravvissuti nel corteo che ricorda la liberazione dai nazisti e dai fascisti, esecutori della razzia del ghetto del 16 ottobre del 1943, è un fatto gravissimo, prodotto dai filopalestinesi che non vogliono che la stella di David sia esposta. Posso immaginare il dolore di Carla per questo, da ebrea militante. Guardava quasi con invidia a Milano, dove invece il partito e la città hanno sempre difeso la presenza della brigata ebraica nel corteo che sfila per il 25 aprile.

Qual è il testamento politico che Carla Di Veroli lascia in eredità?

Carla Di Veroli il giorno dell’inaugurazione del ponte intitolato a Settimia Spizzicihino

Direi che si fonda su tre punti. Il primo è che le persone che, ebree come lei, si impegnano contro ogni forma di antisemitismo, anche dentro la propria comunità politica, a rischio di essere isolati, al contrario non devono essere lasciati soli. Io penso che lei abbia sofferto per questo, e per questo non aveva rinnovato la tessera PD. La battaglia di Carla dentro la propria parte politica non accettava errori, contraddizioni, ideologie. Le assicuro che è questa una battaglia difficile, per un militante di sinistra non è stato facile convincere il partito degli errori commessi nei confronti dello Stato di Israele. Il secondo suo insegnamento è lo stesso di Liliana Segre: mai essere indifferenti. Carla non si occupava solo di ebrei, ma di molte altre discriminazioni, come quelle sessuali e razziali, e io credo che questo sia oggi un insegnamento morale ebraico fondamentale. Infine, Carla ci insegna che su certi valori non c’è possibilità di compromesso. Non le bastava che qualcuno le desse ragione, o minimizzasse: se c’era un errore da correggere e denunciare, lei lo perseguiva. L’ultima volta che l’ho sentita, il 10 agosto, ci siamo scritti fino a mezzanotte e mezza, per via di un episodio preciso. La sorella di una candidata a Roma in una lista civica per il Comune, di religione musulmana, aveva postato un video in cui mostrava le suole delle sue scarpe con l’immagine della bandiera di Israele. Noi già avevamo duramente denunciato l’episodio, obbligando alla rimozione del video, ma a lei non bastava.  “Vabbè, mo’ io a questo gli meno” mi scrisse parlando di chi aveva fatto la lista. Questa era Carla.

Lei ha fatto esperienza della solitudine che Carla ha vissuto nel partito?

Settimia Spizzichino (1921-2000) era la zia di Carla Di Veroli

Delle volte sì, sebbene più nella sinistra in generale che nel PD. Ricordo che diversi anni fa, ad una manifestazione promossa dal Tavolo della pace, in cui partecipavano movimenti che in precedenza avevano incendiato la bandiera di Israele, assieme a Furio Colombo e a Peppino Calderola scrivemmo una lettera pubblicata dal Corriere della sera, con cui spiegavamo i motivi per i quali non potevamo partecipare a quella manifestazione. Lei ne fu contenta. Oggi per fortuna le cose sono cambiate, e nel mio partito senza eccezioni la dirigenza non ha dubbi nel sostenere la difesa del diritto all’esistenza dello Stato d’Israele.

Lei è stato raggiunto dalla notizia della morte di Carla Di Veroli mentre si trova a Buchenwald.

L’ingresso del lager di Buchenwald

Sì. Mi trovo qui in forma privata, è la mia prima volta. Come ho scritto, ha per me un significato molto commovente arrivarci a poche ore dalla notizia della scomparsa di Carla. Sa, lei era molto legata a Settimia Spizzichino, sua zia. Io ho conosciuto Settimia assieme a mio padre (Nedo Fiano, n.d.r.), una donna straordinaria, anche lei militante di sinistra. Mi ricordo un racconto terribile di Settimia, quando venne prelevata da Birkenau per andare ad Aushwitz, per essere sottoposta ad esperimenti. Si vide in uno specchio, si rese conto che era lei e per lo spavento svenne. Anche di questo episodio ne parlavo con Carla, perché ci fa pensare a cosa fosse diventata quell’epoca, e come si vivesse nei campi, a che punto fosse arrivata la disumanizzazione dei nostri genitori. Carla l’aveva capito, e per questo la sua missione e la sua militanza era così tenace e coraggiosa.

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