Poche settimane fa e venuto a mancare Nedo Fiano, prezioso ed autorevole testimone dell’abisso della Shoah, che con la sua incrollabile energia ha contribuito ad accrescere ed arricchire la coscienza di tanti giovani.

E così rimaniamo sempre più soli nel trasmettere la Memoria della Shoah nella società.

Ma in cosa deve tradursi questo compito di trasmissione e testimonianza? Nedo Fiano, in una sua intervista del 2001, ha detto che se Auschwitz fosse solo un’occasione di tormento, la sua commemorazione sarebbe senza effetto, ed esortava tutti a considerare Auschwitz come un segnale, un insegnamento, un mezzo di prevenzione, per far sì che tutta la società consideri la libertà come un bene comune da difendere e che nessuno può delegare questo impegno.

In quell’intervista, con una incredibile coincidenza con quanto stiamo vivendo oggi, ha inoltre definito Auschwitz un vaccino, perché destinato a provocare una reazione di crescita del senso di responsabilità e di impegno nelle persone, come dovere individuale, perché la Libertà è come la Salute, che se ne conosce il valore solo quando la si perde. Noi ebrei di oggi figli e nipoti di quella generazione che ha vissuto il tempo delle persecuzioni, delle deportazioni e dello sterminio e che ha affrontato le sfide della ricostruzione del dopoguerra, della rinascita delle comunità in Europa e l’emozione della nascita dello Stato di Israele  siamo abituati al conforto della famiglia e alla presenza di uno Stato che è sempre pronto a difendere le popolazioni ebraiche in difficoltà, dovunque esse siano.

A maggior ragione, abbiamo il dovere di assumerci questa responsabilità, consapevoli che la Shoah è una linea di demarcazione, un evento storico che stabilisce un prima e un dopo. Come insegna un altro grande studioso e testimone, Elie Wiesel, la linea ebraica per garantire il futuro della trasmissione della Memoria della Shoah è tracciata dalla nostra tradizione. Ogni anno, da millenni, con l’Haggadah di Pesach ricordiamo l’uscita dall’Egitto come se ognuno di noi fosse stato lì, continuando a raccontare lo stesso racconto di generazione in generazione. Ognuno di noi, quindi, non deve prendere il testimone, ma deve farsi testimone e raccontare la storia dei nostri sopravvissuti come se fosse la propria. A volte per chi non ha vissuto quell’orrore è difficile partecipare completamente al dolore, e questo è ancor più vero per i ragazzi. Ed è per questo che l’impegno dei sopravvissuti in tutti questi anni si è concentrato sulle testimonianze nelle scuole, che sono il fulcro della formazione e dell’educazione civica delle nuove generazioni di cittadini.

Come ci ha raccontato Edith Bruck nell’intervista che troverete all’interno, continuare a raccontare quello che è accaduto alle nuove generazioni è stato, per molti testimoni, il motivo per dare senso alla loro sopravvivenza, ed è questo obbligo di testimonianza che oggi tutti noi ci dobbiamo assumere.

È per questo che da 20 anni l’UCEI svolge con il Ministero dell’Istruzione un progetto con le scuole, coinvolgendo complessivamente milioni di persone, tra studenti ed insegnanti. È infatti attraverso il racconto e lo studio della Shoah che è possibile trasmettere, specie ai giovani, gli strumenti necessari per intercettare, nella vita odierna, i segnali di pericolo, le diverse espressioni di razzismo, antisemitismo, pregiudizio e in genere ogni stereotipo negativo.

Dare il giusto valore alle diversità, rispettare le sensibilità diverse e le minoranze, stimolare l’impegno per la difesa dei diritti umani, accrescere il senso di responsabilità individuale, istituzionale e politica, contrastare l’indifferenza. È questo, probabilmente, il miglior antidoto per evitare che il passato possa ripresentarsi. In vista del prossimo 27 gennaio, ecco insomma un altro numero molto denso di Riflessi. Buona lettura

Una risposta

  1. ho letto e apprezzato, domani parlerò al liceo classico Maffei di Verona ela sua riflessione mi sarà utile grazie.

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