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Lavoro di squadra, identità, partecipazione: ecco come migliorare la nostra comunità

Il 18 giugno la CER va al voto. Abbiamo  intervistato Silvia Mosseri, per anni attiva nella lista Binah

Silvia, tu sei sempre stata molto impegnata in ambito ebraico. Quali nuove opportunità vedi con il rinnovo del prossimo Consiglio della Comunità?

53 anni, moglie, madre, manager e, da poco, Standup Comedian: Silvia Mo’seri!

In vista delle prossime elezioni del Consiglio della nostra Comunità mi sono soffermata a riflettere su alcuni aspetti che mi stanno particolarmente a cuore: ovvero l’organizzazione aziendale e il lavoro di squadra in una ottica di identità ebraica e di partecipazione attiva. E’ noto a tutti che per massimizzare i risultati in una qualsiasi organizzazione bisogna cominciare migliorando il lavoro di squadra. Qualsiasi organizzazione deve infatti necessariamente puntare sull’interazione di tutte le sue componenti per non trovarsi ad un certo punto priva di una sua parte. E così ci insegna anche la tradizione ebraica con la mitzva del lulav che con cedro, salice e mortella forma il “mazzo delle 4 specie” o con la presenza delle 4 tipologie di figli o piuttosto delle 4 tipologie di domande poste al seder di Pesah. Come potremmo mai fare a meno di una delle 4 domande, anche della più irriverente? Potremmo mai rinunciare a una delle 4 specie senza inaridire il senso dell’unità?La grande sfida sta proprio nel poter stare tutti insieme, nel partecipare tutti, nel lavorare in sinergia. Il tema della partecipazione è quanto mai un tema sentito ai nostri giorni sia nella politica nazionale che di riflesso nella politica comunitaria.

Siamo tutti d’accordo che maggiore è il numero di iscritti che vanno a votare, maggiore è la rappresentatività espressa: basta questo per far sì che la Comunità riesca a condividere obiettivi comuni che tengano conto delle diverse istanze espresse?

la “piazza”, cuore storico dell’ebraismo romano

Se solo andiamo ad analizzare il numero degli aventi diritto al voto e il numero dei votanti non possiamo non porci una domanda. Perché questa scarsa partecipazione? Personalmente non credo sia un tema di ebrei lontani o di ebrei vicini né un tema di maggiore o minore osservanza all’ortodossia, né tantomeno un tema politico di destra o di sinistra. Penso sia invece un tema di calcolo e di valutazione che ognuno si pone: posso io contribuire in qualche modo alla vita comunitaria? Mi conviene partecipare in modo attivo? Se la partecipazione appare difficile o se addirittura la possibilità di contribuire sembra impossibile subentra la disaffezione e l’allontanamento. Vogliamo invertire questa tendenza all’allontanamento oggi denunciata dai numeri?  E come possiamo fare per invertire questa tendenza? Qualsiasi organizzazione deve ambire all’interazione di tutte le sue componenti attraverso la creazione di un vero spirito di squadra e attraverso una leadership il più ampiamente condivisa. Questi due obiettivi non hanno niente a che vedere con la democrazia e con la governabilità ma hanno lo scopo di portare tutti a meta, di non lasciare nessuno indietro e soprattutto di stimolare al massimo la partecipazione, l’apporto di contributi diversi, anche irriverenti, perché questo non lede l’identità del gruppo ma al contrario la rafforza. L’implementazione del lavoro di squadra impone che tutti abbiano la stessa possibilità di esprimersi, che nessuno venga lasciato indietro o messo al di fuori e che tutti trovino la possibilità di poter contribuire al meglio e per come possono. Facile a dirsi quanto difficile da realizzare. Però ci sono delle regole che possono facilitare questo processo: la prima regola sta nel condividere la visione di medio e lungo termine e di considerare ogni persona come un tassello fondamentale del percorso. Si può non essere allineati ma è fondamentale trovare almeno uno o due obiettivi comuni e condivisi verso i quali dirigere tutti gli sforzi di tutte le componenti. Questo porta a benefici incommensurabilmente superiori alle energie spese per combattere contro una idea diversa. E il segreto è solo uno: non puntare la lente su quello che divide ma esaltare quello che unisce le diverse componenti, sottolineando i diversi punti di forza di ogni componente dell’organizzazione o nello specifico di ogni anima della comunità. Un gruppo è composto da singoli soggetti che possono dare il meglio di sé, pur mantenendo la propria specificità, per raggiungere un progetto prioritario, positivo e ampiamente condiviso.

Potremmo allora argomentare che in una Comunità ebraica il problema sia l’individuazione del progetto o dei progetti prioritari e condivisi?

Daniele Regard, 37 anni, candidato presidente per la nuova formazione “Ha Bait. La casa di tutti”, sostenuto anche da Silvia Mosseri

Qui va fatto un piccolo passo indietro. Prima ancora dell’obiettivo o degli obiettivi (che, come abbiamo detto deve essere ampiamento condiviso per permettere a tutti di dare il meglio) è fondamentale condividere i valori e le regole del gioco e per noi ebrei non dovrebbe essere difficile facendo direttamente riferimento all’etica ebraica. E allora se ci soffermiamo sui capisaldi dell’etica ebraica (zedaqa, biqur holim, ospitalità, evitare la maldicenza, il rispetto dell’altro, kavod ad anziani e genitori, la ricerca della pace) più facilmente possiamo individuare alcuni obiettivi di medio e lungo termini ampiamente condivisibili verso i quali devono concentrarsi tutti gli sforzi comunitari creando un super team di lavoro trasversale ad alta partecipazione. Ne cito tre che mi stanno a cuore perché si riferiscono al nostro passato, al presente e al futuro: 1 ) la diffusione della conoscenza della lingua ebraica anche solo per capire e per studiare nella lingua dei nostri maestri e per restare al passo con lo sviluppo e le evoluzioni della realtà israeliana , 2) il supporto alle giovani generazioni attraverso i movimenti giovanili, la creazione di aree di incontro e di spazi autogestiti, scambi con le scuole ebraica in Italia e all’estero e in particolare in Israele, 3) l’assistenza agli anziani e alle persone con difficoltà attraverso la creazione della banca del tempo (redistribuzione del tempo, del supporto, dell’aiuto ancor prima dell’aiuto economico). Abbiamo allora definito la cornice dei valori, abbiamo individuato gli obiettivi comuni, non resta che definire le regole del gioco da rispettare affinché tutto questo avvenga. Ne suggerisco alcune che possiamo scorrere insieme domandandoci a che punto siamo nella nostra Comunità sia come istituzione sia come singoli rispetto ad ognuno di questi, ripartendo da qua per migliorare insieme:

  • Considerare che una Comunità rappresenta un gruppo di persone eterogenee e che ognuno deve e può contribuire, non solo con le tasse, ma con il proprio contributo intellettuale
  • Creare un clima di fiducia e sottolineare sempre e solo le cose positive dell’altro e non le mancanze perché per quelle c’è sempre tempo
  • Accrescere le capacità di ascolto verso tutte le componenti
  • Diffondere una cultura condivisa degli obiettivi di medio e lungo termine, aumentando la partecipazione attraverso la trasparenza e la comunicazione basata sui fatti e sui numeri
  • Sviluppare una autentica cultura di problem solving: nel momento in cui ci si trova di fronte ad un problema o ad un errore non si deve cercare un responsabile quanto piuttosto una soluzione per evitare che accada ancora.

Se dovessi sintetizzare con parole chiave il tuo pensiero, quali sarebbero?  LAVORO DI SQUADRA, IDENTITA’ EBRAICA, PARTECIPAZIONE.

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4 risposte

  1. Brava Silvia hai toccato tutti punti anche quelli che della maledicenza ne hanno fatto un modus vivendi et imperandi in pieno contrasto con i principi ebraici. Buon lavoro e shabbat Shalom

  2. Grazie Silvia Mosseri per la lucidità e la lungimiranza …. Buon lavoro a tutti nella speranza che una visione di lungo periodo sia capace di animare partecipazione, conoscenza e rispetto reciproco

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