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La persecuzione oltreconfine

Nel suo ultimo libro (“I confini di una persecuzione”, Viella), Michele Sarfatti continua l’opera di ricostruzione della macchina di persecuzione fascista contro gli ebrei. Stavolta l’esame si sposta su tutti i territori al di fuori dai confini nazionali

Michele Sarfatti (foto: Giliola Chiste)

Professor Sarfatti, cominciamo dall’inizio: perché questa ricerca sulla persecuzione degli ebrei nei territori oltreconfine dell’Italia fascista?

Perché era veramente un tema mai indagato in precedenza, almeno nella sua completezza. Mancava una ricognizione generale di quello che era accaduto fuori dagli stretti confini italiani. Mi sembra che ora questo studio colmi questa assenza. Ovviamente la ricerca riguarda il periodo 1938-1943.

Allora vediamone alcuni aspetti. Innanzitutto, quali territori ha studiato?

Ho guardato inizialmente le colonie e i possedimenti: la Libia; l’Africa orientale italiana, con attenzione specialmente all’Etiopia; Rodi. Poi ho esteso il lavoro anche all’Albania, che nominalmente era autonoma, ma era di fatto soggiogata al fascismo perché il re Savoia Re d’Italia era sovrano di entrambi i paesi. E poi, ancora: i territori annessi dopo la sconfitta della Jugoslavia: la Dalmazia, innanzitutto, ma anche il Kosovo, perché annesso all’Albania; metà della Slovenia, cioè la provincia di Lubiana. Infine ho anche spaziato in Tunisia, che non era italiana, e anzi era sempre più nell’orbita francese, ma dove tuttavia c’era un importante numero di ebrei italiani, specie a Tunisi. L’Italia, in tutti questi territori aveva una precisa politica di dominio o influenza, estesa a tutta l’area del mediterraneo, compresa la Palestina: aveva degli interessi da curare, e ad essi coordinava la politica verso la popolazione ebraica che vi abitava.

Mussolini, nel 1937, si autoproclama difensore dell'Islam
Mussolini, nel 1937, si autoproclama difensore dell’Islam

Quanti erano gli ebrei presenti in tutte queste terre?

Il numero varia molto. Si va da poche decine in Slovenia e in Albania, alle decine di migliaia in Etiopia e in Libia, composta dalla Cirenaica e dalla Tripolitania. Ogni luogo aveva una sua storia ebraica molto diversa. In tutti questi paesi il loro numero era però in crescita, perché crescevano le fughe dalla Polonia e dalla Germania, a partire dall’inizio degli anni Trenta.

Come si comporta il Regno d’Italia verso la popolazione ebraica di queste terre?

L’Italia fascista adotta strategie e comportamenti sempre diversi, da luogo a luogo. Certamente applica anche agli ebrei di cittadinanza italiana all’estero le leggi italiane persecutorie. Così il ministero dell’educazione nazionale licenzia tutti gli insegnanti ebrei ovunque insegnano. Subito dopo però iniziano le differenze. Ad esempio, a Salonicco, nelle scuole italiane, vengono espulsi gli insegnanti, ma non gli studenti, almeno fino a quando l’Italia non occupa la Grecia.

Mussolini annuncia le leggi razziali a Trieste, estate del 1938

Perché?

In quei primi due anni, tra il 1938 e il 1940, in Grecia l’Italia vuole che le sue scuole siano attrattive. Quindi non applica agli studenti una politica razzista, poiché il razzismo non era condiviso dalla società locale, come appunto in Grecia. All’Italia di Mussolini interessa essere cioè un paese guida nel Mediterraneo. In Libia, che invece è una colonia, e il cui territorio viene aggregato al territorio metropolitano italiano nel 1939, la persecuzione degli ebrei conosce gli aspetti più duri. Per esempio, gli studenti vengono espulsi dalle scuole italiane per “ariani” in modo generalizzato. Se poi ci spostiamo ancora, in Etiopia e in Eritrea, anche esse colonie al pari della Libia, troviamo una situazione ancora diversa, perché lì c’è un confronto tra due razzismi del fascismo – quello bianco/nero e quello ariano/ebreo – che vede la prevalenza del primo, nel senso che le autorità considerano preferibile non raggruppare tutti gli studenti ebrei in scuole separate, bensì inserire quelli yemeniti, più scuri di pelle, nelle scuole dei “nativi”, e aggregare i pochi ebrei italiani o europei nelle scuole per bianchi.

Quindi, una situazione piuttosto eterogenea.

Mussolini in Libia

Quello che emerge è che in ogni specifica realtà il trattamento è diverso. In Libia, come ho detto, è molto duro. Soprattutto in Cirenaica, i cui ebrei vengono inviati nel campo di internamento di Giado, dove il trattamento è tremendo, con un numero altissimo di internati che muore per le inumane condizioni igienico-sanitarie; gli ebrei vi sono rinchiusi e abbandonati. Questo perché la Libia era una terra nuova, con territori e province nuove, che il fascismo voleva “bonificare” della presenza ebraica. Al contrario, nelle zone della Croazia non annesse all’Italia, c’è una parte dell’amministrazione fascista che accarezza l’idea di concedere la cittadinanza italiana agli ebrei profughi in quelle zone, per facilitare così l’annessione delle stesse all’Italia. A mio parere da tale diversità emerge una grande capacità del fascismo di perseguire i suoi interessi, di tipo espansivo, imperialisti; poi c’è comunque l’idea di rafforzare la razza ariana pura all’interno dell’Italia.

ciò che resta del campo di Giado
ciò che resta del campo di Giado

E per quanto riguarda gli ebrei italiani che si trovano nelle terre governate dai nazisti?

Il fascismo li riporta in Italia. Si tratta di una decisione che viene presa a inizio 1943, che dipende dal fatto che, dal punto di vista nazionalistico, gli ebrei italiani erano considerati una pedina utile. Quindi anche i nazionalisti fascisti vogliono che rimangano all’estero, ma poi li riportano in Italia di fronte all’aut aut nazista: rimpatrio o deportazione. Il fascismo, infatti, non poteva abbandonare degli italiani all’estero, anche se ebrei, senza contraddire la sua politica di espansione all’estero.

Si tratta certamente di un lavoro che permette di avere una visione d’insieme completa. Come si inserisce nella scia delle sue ricerche precedenti?

Si tratta di un’estensione dei miei lavori, che avevo svolto dentro i patrii confini, perché anche lì, quando ho cominciato, c’era molto da scavare. Ritengo che da quest’ultimo lavoro ora emerga un sistema in cui resta sempre fondamentale il ruolo di Mussolini. Ogni problema era sottoposto al duce, che qualche volta dava anche pareri diversi. Ma lui e suoi sottoposti operavano sempre con cognizione di causa. Il fascismo non era affatto un regime di operetta, queste diversità mostrano al contrario che vi era una intelligenza applicata alla cosiddetta questione ebraica, al fine di ottenere sempre il miglior successo per la causa fascista, che significava, anche, una persecuzione degli ebrei calibrata sulla realtà dei singoli territori. Insomma, il regime era molto duttile, la politica antiebraica era intrecciata con le altre politiche, specie quella economica e imperiale, e con i bisogni conseguenti allo stato di guerra.

Mussolini, Hitler e Vittorio Emanuele III

Un’ultima domanda: il regime fascista, Mussolini in testa, con così tanti interessi fuori dai confini, sapeva della Shoah in atto?

È arrivato finalmente il momento di dirci che l’Italia era il paese che aveva le maggiori notizie sullo sterminio in corso, perché l’Italia era l’alleato di gran lunga principale della Germania nazista. Aveva quindi infiniti legami e contatti, scambi, visite, viaggi. Nel mio libro prendo in esame il 1942; ebbene, solo in quell’anno c’è una quantità di persone che vanno in Germania o nei suoi territori e quando rientrano riferiscono di massacri e di stermini. È dunque logico che in Italia si sapesse molto più che altrove. La scelta di Mussolini e del fascismo fu però quella del silenzio. L’Italia era un posto dove le notizie arrivavano e venivano messe sotto il tappeto.

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2 risposte

  1. Importante colmare un vuoto che si avvertiva, perchè sovente anche tra alcuni degli stessi ebrei provenienti dai paesi dove il fascismo imperava, specie nelle generazioni nuove originarie di quelle terre, non vi è la conoscenza piena di quanto è accaduto in quel periodo.

  2. Come è bello leggere quel che afferma il Prof. Michele Sarfatti, che spende parole esperte, serene, pacate e lucide per illustrare il vergognoso e tragico disegno razzista del regime fascista a danno degli Ebrei oltre i confini italiani. È una intervista importante, il cui valore emblematicamente si compendia nelle righe finali, laddove si afferma che l’Italia più di ogni altro Stato era a piena conoscenza degli eccidi spaventosi del nazismo: vergogna, enorme ed eterna vergogna per il fascismo italiano ed i suoi spregevoli protagonisti!

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