Il 25 aprile divide chi è democratico e antifascista da chi non lo è
Si preparano in tutta Italia le cerimonie per la Festa della liberazione. Che quest’anno vede al governo il partito erede del Movimento sociale italiano. Lo storico Alessandro Portelli ha ricostruito l’attentato di via Rasella e la strage delle Fosse Ardeatine, che così tanto ancora imbarazza la destra
Professor Portelli, la sua ricostruzione di quel che avvenne a Via Rasella il 23 marzo 1944 è una delle più complete. Vorrei cominciare così proprio da quel giorno. Innanzitutto: chi erano i militari che marciavano quel pomeriggio per Roma? Ed è vero che si trattava di musicisti?
Si trattava di un battaglione di polizia militare aggregato alle SS, che era a Roma in addestramento, la cui funzione era di repressione antipartigiana e di mantenimento dell’ordine pubblico. Quel giorno, di rientro nella caserma del Flaminio, marciavano cantando – i sopravvissuti dissero poi che erano stati costretti a cantare – e questa forse è una delle ragioni per cui si disse che si trattava di una banda musicale. Erano invece militari, ed erano armati; pensi che uno di loro, sopravvissuto alla battaglia, racconta che poiché portavano le bombe a mano alla cintola, queste esplosero, sia perché colpite da schegge sia per simpatia, provocando l’aggravamento dell’azione partigiana. Dopo la liberazione di Roma il battaglione fu trasferito al Nord e svolse ancora azione di repressione.
Che età avevano?
Andavano dai 24 ai 43 anni, quindi non è vero che fossero dei pensionati.
Erano italiani o tedeschi?
Si trattava del battaglione Bozen, cioè di Bolzano: in quel momento erano soldati dell’esercito occupante tedesco, perché la Germania aveva annesso tutta la zona di Bolzano, parte del Friuli e della costa adriatica al Reich.
Sappiamo inoltre che l’attacco fu organizzato dai Gap. Ci può descrivere questa formazione partigiana?
I GAP: “gruppi di azione patriottica” (e non “partigiana”, né “proletaria”, come è stato detto), erano una unità armata clandestina legata al partito comunista; quello che agì in via Rasella si chiamava Gap “Pisacane”, anche per una continuità storica: il nonno di Rosario Bentivegna, comandante del GAP, era stato impiccato a Palermo durante il risorgimento, per l’attività legata all’azione di Carlo Pisacane a Sapri. Erano molto giovani, attorno ai vent’anni, e avevano aderito alla resistenza armata perché ritenevano che bisognasse impedire ai nazisti di avere il controllo di Roma, in quanto la città era un retroterra logistico essenziale per la difesa dei tedeschi contro gli americani, attestati tra Anzio e Cassino. L’altra cosa da ricordare è che a via Rasella non si trattò di un’azione isolata, ma di una delle decine di azioni armate condotte dalla metà di settembre del 1943 fino ai primi di maggio nella capitale. In città, infatti, l’attività partigiana non si esaurisce in una singola azione, anche se quella di via Rasella fu la più clamorosa.
Uno degli argomenti più usati da chi critica l’attentato è che esso fu controproducente, vista la reazione nazifascista. In altre parole: era prevedibile la rappresaglia delle Fosse Ardeatine?
Si trattò di azione di guerra: eviterei perciò a tutti i costi la parola “attentato”, nel senso che fu un’azione di guerra riconosciuta come tale dalla nostra magistratura. Certo, può non essere una cosa di cui essere contenti – 33 militari tedeschi morti, nessun ferito da parte dei GAP – ma questo non toglie che quella di via Rasella rimane una azione di guerra. Quanto alla reazione, già nell’ottobre del 1943 le forze del CLN (Comitato di liberazione nazionale, n.d.a.) dissero che le rappresaglie e i massacri erano una responsabilità di chi li commetteva. L’eccidio delle Fosse Ardeatine non fu un’azione isolata, perché centinaia sono le stragi nazifasciste che cominciano prima dell’8 settembre 1943, dalla Sicilia fino alla fine al Tirolo. Queste stragi non avevano una relazione diretta con la presenza dei partigiani: per esempio a Caiazzo, vicino Caserta, il 10 ottobre 1943 vengono uccise 54 persone, senza che ci sia un solo partigiano nei paraggi. La funzione di queste stragi non era quella di punire i partigiani, ma di “ripulire” il territorio per evitare che la presenza di una popolazione ostile fosse d’intralcio alle azioni militari; tanto è vero che la frequenza e la gravità delle stragi si accentua a mano a mano che si va verso la linea Gustav. Per le Fosse Ardeatine però è diverso.
Perché?
La reazione a via Rasella poteva essere forse immaginabile, ma non era affatto automatica. Quel che avviene alle Fosse Ardeatine è veramente un’azione terroristica, cioè un atto violento che serve a terrorizzare la popolazione, perché era l’unico modo con cui i nazisti potevano tenere sotto controllo una città di un milione di abitanti che non li voleva. Inoltre si doveva rispondere all’offesa subita al mito della invulnerabilità e invincibilità dei nazisti. A Via Rasella i tedeschi subiscono una vera sconfitta militare: l’azione avviene in pieno giorno, nel centro di Roma, e l’esplosione del tritolo è seguita da un attacco partigiano con pistole e bombe. I nazisti ne escono sconfitti, con perdite pesanti, mentre i partigiani si sganciano senza perdite. Subire una sconfitta militare nel centro di Roma così grave fa naufragare il tentativo tedesco di nascondere le azioni partigiane, e allora è necessario colpire e terrorizzare la città.
Un’altra storia messa in giro è che la rappresaglia tedesca fu conseguenza della mancata presentazione degli autori dell’azione partigiana. È possibile chiarire se tra questa e la reazione ci fu spazio per fare altro?
Il generale Kesserling, comandante della quattordicesima armata di stanza nella zona di Roma, dichiarò in tribunale che l’invito ai partigiani a consegnarsi non fu mai preso in considerazione dai tedeschi. Nessuno ha mai trovato il presunto manifesto a consegnarsi, per il semplice fatto che l’attacco partigiano avviene intorno alle ore 16 del 23 marzo e la strage delle Fosse Ardeatine comincia meno di 24 ore dopo. Considerando che la maggior parte di queste ore sono notturne, vuol dire proprio che l’ordine fu di uccidere i civili; il primo ordine di Hitler, addirittura, era stato di far saltare in aria il centro di Roma. Neppure la cosiddetta regola del “10 civili morti per 1 tedesco morto” esisteva, né era mai stata applicata in precedenza: a Civitella Val di Chiana sono uccise 156 persone per tre tedeschi uccisi; anche a Boves (CN) 19 per uno.
Veniamo ora all’eccidio delle Fosse Ardeatine. Fu una responsabilità solo tedesca?
La responsabilità politico-militare fu tedesca, nel senso, come detto, che tra l’azione di via Rasella e le Fosse Ardeatine non c’è nessun automatismo, ma una scelta dei comandi tedeschi; tanto è vero che c’è una lunga trattativa tra comandi tedeschi su come, dove, quando rispondere, e chi uccidere. È certo inoltre che ci fu una collaborazione fascista, perché una parte dei nomi delle persone da uccidere fu consegnata ai tedeschi per ordine del viceministro degli interni Guido Buffarini Guidi, con la partecipazione del questore Caruso: il governo della Repubblica sociale italiana consegnò ai massacratori i nomi delle persone da massacrare.
Come furono scelte le vittime?
Fu un processo molto complicato, perché all’inizio si pensò di uccidere solo le persone già condannate a morte, che però erano solo 3 (più una quarta, che era stata assolta). Allora si cominciarono a prelevare le persone dal carcere politico di via Tasso e Regina Coeli: si trattò di circa 250 persone, a cui furono aggiunti 72 ebrei. Altre furono prelevate tra chi era stato arrestato nei dintorni dell’attacco partigiano, tra quelli presi tra le centinaia di rastrellati e portati al Viminale – sede del ministero degli interni italiano: ecco un’altra responsabilità dei fascisti – dove trascorsero una notte in cui vennero esaminati per selezionare quelli in qualche modo sospetti: ad esempio Ettore Ronconi, venuto da Genzano a portare il vino all’osteria, fu scelto perché era stato confinato come comunista 15 anni prima; un’intera famiglia che abitava a via quattro fontane fu sterminata perché risultava che il portiere del loro palazzo li aveva denunciati anni prima perché non andavano ai sabati fascisti.
Altri ancora furono presi mentre uscivano dal carcere di Regina Coeli, dove avevano scontato reati comuni, in sovrannumero, per così dire “di scorta”. Siccome il numero ancora non era stato raggiunto, Kappler si rivolse al generale Hass, che gli suggerì di prendere degli ebrei, che furono inseriti nella lista per un semplice motivo: gli ebrei, per i nazisti, erano colpevoli a prescindere. Naturalmente molti ebrei erano anche resistenti, non c’è una separazione netta; come disse Vittorio Foa, i martiri delle fosse Ardeatine furono uccisi per quello che avevano fatto (quelli nelle carceri), per dove si trovavano (i rastrellati) e per quello che erano (gli ebrei).
Il numero poi fu superiore anche ai 320 che dovevano morire: ne furono uccisi 335.
Ci fu un errore di calcolo, a dimostrazione che non è vero che i tedeschi sono precisi e infallibili. Il tribunale militare accertò che alla fine furono uccisi perché considerati testimoni scomodi. Peraltro, secondo il tribunale militare italiano quella delle fosse ardeatine non fu una rappresaglia, bensì un omicidio continuato; per i giudici italiani, in altre parole, i nazisti non sarebbero stati puniti se avessero ucciso “solo” 320 persone, perché talmente intrisi di ideologia nazista credevano fosse legale; furono tuttavia considerati responsabili di un eccesso di zelo: in altre parole Kappler fu condannato solo in quanto esagerò negli omicidi.
Veniamo ora a oggi. Hanno fatto discutere le dichiarazioni di qualche giorno fa della premier, che le vittime avevano come unica colpa di essere italiani. Secondo lei questa è un’affermazione corretta o tende a essere “riduzionista? In altre parole: la premier ha difficoltà a confrontarsi con l’antifascismo?
Guardi, io non capisco perché noi continuiamo a chiedere a tutti di fare i conti con il fascismo e dichiararsi antifascisti: è chiaro che i fascisti e i nostalgici del fascismo non accetteranno mai di condannare quel passato. Dopodiché, io segnalo una cosa interessante.
Quale?
Ha mai notato che a destra c’è una specie di fissazione solo su via Rasella, e che invece non si parla mai delle Fosse Ardeatine? Io credo che l’intento della destra sia, da un lato, di mettere in discussione la moralità della resistenza e la sua utilità; dall’altro c’è quella che io considero una loro vergogna: si vergognano delle Fosse Ardeatine e quindi cercano di non parlarne. La destra non vuole ammettere le responsabilità fasciste per quei 335 morti. Ecco dunque la frase di Meloni, che a morire furono “degli italiani”, ed ecco la frase di La Russa, che forse crede davvero che a via Rasella c’era una banda di musicisti. Queste persone vogliono credere quello che li fa sentire un po’ meglio: usano questa funzione della memoria come strumento per assolversi, piegano la storia a quello che fa loro comodo.
Sono però costretto a insistere: secondo lei oggi in Fratelli d’Italia ci sono fascisti, post fascisti, a-fascisti o che altro?
Non saprei risponderle. Voglio però dire che siamo sempre più obbligati a impegnare una parte non trascurabile del nostro tempo a discutere gli eventi del 1943 e 1944, forse perché, come ha scritto Concita De Gregorio su La Repubblica, in questo modo ci viene impedito di parlare del presente. E così discutiamo se a via Rasella c’erano dei musicisti, e non ci accorgiamo che questo governo vorrebbe abolire il reato di tortura; oppure ci soffermiamo sul problema del “made in Italy” e dei vocaboli inglesi che qualcuno vorrebbe vietare, e tralasciamo di riflettere sulla volontà di negare i diritti ai bambini delle coppie che non rispettano il loro modello unico di famiglia, oppure sul fatto che continuano a tenere madri e bambini in carcere. Allora noi storici continueremo certo a fare la battaglia per la verità dei fatti del 1943 e del 1944, ma è bene vigilare anche su quel che accade nel 2023.
Crede che questo governo presenzierà come necessario alla Festa della liberazione, il prossimo 25 aprile?
Un obiettivo che la cultura di destra persegue da sempre, e che si è accentuato negli anni 90, con l’accesso al governo di una coalizione che non si riconosceva nella costituzione italiana, come Alleanza nazionale e la Lega Nord, è stato di disconoscere il 25 aprile. Quindi non mi sorprende che stiano utilizzando tutti gli strumenti del potere per realizzare questo obiettivo. Ma, se mi chiede un’opinione, allora le rispondo che se non vengono alle iniziative il 25 Aprile siamo più tranquilli. Io rivendico l’idea che il 25 Aprile sia divisivo: in piazza ci può andare solo chi si riconosce pienamente nei valori della resistenza e dell’antifascismo, della libertà e della democrazia; gli altri, è bene che se ne rimangano a casa.
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