Tra Maimonide e Mattarella

Diana di Segni, giovane ricercatrice italiana, è stata premiata dal Quirinale per i suoi studi filologici sull’opera più importante del filosofo spagnolo. A Riflessi racconta il suo lavoro.

Diana Di Segni, recentemente sei stata insignita dal Presidente Mattarella dell’onorificenza “Cavaliere al merito” per il tuo lavoro su antiche traduzioni latine della “Guida dei Perplessi” di Maimonide con successive note manoscritte di Pico della Mirandola. Ci racconti come è andata?

Diana Di Segni

La motivazione dell’onorificenza – che mi ha colto davvero di sorpresa – è legata alla scoperta di alcune note autografe scritte dalla mano di Pico della Mirandola in un codice manoscritto conservato presso la biblioteca di Kassel in Germania. Per me questa onorificenza ha un significato molto particolare, innanzitutto come riconoscimento dell’importanza attribuita alle materie umanistiche in generale, e alla filosofia nello specifico, che ancora oggi svolge una funzione fondamentale per la formazione di una cittadinanza italiana ed europea consapevole e critica. In secondo luogo, ad un livello più personale, la intendo anche come un riconoscimento nei confronti di un percorso accademico, ormai molto comune tra i colleghi della mia generazione, che porta tanti ricercatori italiani a popolare le università straniere – così come nel mio caso. Infatti, la scoperta delle note di Pico della Mirandola è avvenuta nell’ambito del progetto di ricerca a cui lavoravo per il Thomas-Institut dell’Università di Colonia in Germania, dove sono stata per circa dieci anni.

Ci racconti qualche dettaglio del progetto che ti ha premiata?

Moshè ben Maimon (1138-1204)

Il progetto di ricerca, che ha ottenuto finanziamenti da enti prestigiosi come la German-Israeli Foundation e la Deutsche Forschungsgemeinschaft – era dedicato all’edizione critica della traduzione latina della Guida dei perplessi di Mosè Maimonide.

Si tratta però di un’opera che conosce già molte traduzioni

Sì, il capolavoro della filosofia ebraica medievale fu infatti tradotto, intorno agli anni 1235/1240, in latino, e tramite questa traduzione raggiunse i più importanti pensatori medievali, come Alberto Magno e Tommaso d’Aquino. Di questa traduzione latina esistono tredici copie manoscritte, e il lavoro dell’editore critico consiste nel ricostruire, a partire da queste copie, l’ipotetico testo originale – che nella maggior parte dei casi, come in questo, è andato perduto. Una parte rilevante del lavoro consiste nella consultazione dei manoscritti originali, con lo scopo di raccogliere quante più informazioni possibili dagli elementi materiali che costituiscono il codice, ad esempio dove è stato scritto, da chi è stato commissionato, quando è stato copiato.

Quali sono le caratteristiche che deve possedere una filologa come te?

Note al testo di Pico della Mirandola. Maimonides, Moses. Dux Neutrorum, Liber Praeceptorum. [1451/1475] 15. Jh., 3. Viertel.
Il lavoro del filologo è un lavoro certosino, richiede molto tempo e pazienza, a volte lunghissime ricerche non portano a nulla, a volte si rimane bloccati per ore per cercare di capire una parola, ma l’emozione di maneggiare documenti così antichi è straordinaria. Naturalmente, quando dico “maneggiare”, intendo sempre secondo le regole stabilite da ciascuna biblioteca per la consultazione dei fondi antichi – che possono includere il divieto assoluto di avere con sé penne, l’obbligo di usare guanti oppure speciali leggii in velluto.

Cosa si prova quando poi si scopre qualche passaggio del testo che era rimasto inedito finora?

La cosa in assoluto più impressionante, per me, è quando ci si rende conto della cura che qualcuno, secoli fa, ha messo nella produzione di un oggetto del genere. Spesso i manoscritti recano tracce delle varie fasi di lavorazione, che erano lunghe e complesse: dalla conciatura della pelle alla squadratura dello specchio di scrittura, fino alle decorazioni e miniature. In particolare, poteva capitare che la pergamena durante la lavorazione si rovinasse e che si forasse, e quindi è possibile vedere ancora oggi, magari tra le righe di un testo, le cuciture di questi buchi sapientemente richiusi – esattamente come si rammenderebbe un calzino! Queste cuciture sono per me la testimonianza della cura messa nella confezione di un oggetto di pregio così come lo era un libro manoscritto, ed è anche segno di un’umanità che si confronta costantemente con l’imperfetto, con la corruzione, e cerca di rimettere ordine nel disordine.

Incipit manoscritto. Maimonides, Moses. Dux Neutrorum, Liber Praeceptorum. [1451/1475] 15. Jh., 3. Viertel.
Raccontaci qualche altro particolare del tuo lavoro su questo testo

Quando è arrivato il momento di lavorare al manoscritto conservato alla biblioteca di Kassel, non posso dire che fossi particolarmente entusiasta. Kassel somiglia a molte delle città della Germania centrale, fu quasi interamente rasa al suolo e ricostruita con i pochi fondi disponibili all’indomani della guerra.

Sapevo però che il codice che dovevo esaminare era interessante: si tratta di una bella copia, molto curata, scritta nella tipica grafia corsiva degli umanisti toscani, con decorazioni floreali colorate in verde, rosa, blu e oro. Sfogliando le pagine, mi sono accorta della presenza di numerosissime annotazioni scritte al margine oppure tra le righe che correggono il testo latino e forniscono una traduzione alternativa a partire dalla versione ebraica. Addirittura un intero foglio risulta interamente scritto da un’altra persona, in una calligrafia molto poco leggibile. Qui è iniziato il mistero da risolvere: nessuno sapeva darmi alcuna informazione riguardo a questo codice e alle annotazioni semi-incomprensibili che conteneva.

E allora?

il monumento a Maimonide, vissuto nel XII secolo

E’ stata proprio la difficoltà nella decifrazione della scrittura che mi ha fatto pensare a Pico della Mirandola, che è noto proprio per la sua scrittura illeggibile. Inoltre, alcuni dati storici che avevo raccolto durante le mie ricerche sembravano confermare questa ipotesi. Così mi sono messa in contatto con alcuni specialisti della scrittura di Pico, in particolare con il prof. Sebastiano Gentile dell’Università di Cassino – che ringrazio molto – il quale, sulla base del confronto con testi certamente autografi, ha confermato la mia ipotesi.

Perché la tua “scoperta” è così importante per la filosofia?

Le note che si trovano nel manoscritto di Kassel sono particolarmente rilevanti perché mostrano come Pico della Mirandola ritraducesse e correggesse la traduzione latina medievale sulla base del confronto con la versione ebraica. Questa scoperta solleva però un interrogativo importante, e cioè: si tratta di correzioni che Pico faceva autonomamente oppure era aiutato da qualcuno dei suoi assistenti per il confronto con il testo ebraico? In altre parole, Pico della Mirandola aveva una conoscenza così approfondita della lingua ebraica da essere in grado, da solo, di correggere una traduzione latina?

Che risposta dai?

il palazzo del Quirinale, dove a breve si svolgerà la premiazione che vedrà coinvolta anche Diana Di Segni

Ad oggi, non è possibile dare una risposta certa a questa domanda, e sarà necessario, in futuro, studiare gli altri codici nei quali compaiono le correzioni di Pico a testi ebraici. Tuttavia, queste note mostrano chiaramente l’attenzione che Pico aveva nei confronti non solo del pensiero ebraico, ma anche della lingua ebraica, a tal punto da correggere una traduzione preesistente. Insomma, è importante ricordare come dietro al celebrato Umanesimo e Rinascimento italiano vi siano anche tante fonti arabe ed ebraiche, e che un patrimonio culturale nazionale è sempre il risultato di un processo di ibridazione tra culture e tradizioni diverse.

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