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La via della seta: Samarkanda

Un viaggio estivo è l’occasione per andare alla ricerca delle tracce della presenza ebraica in terre a metà tra storia e leggenda

Quest’anno la destinazione era il tratto della Via della Seta che si trova in Uzbekistan, tra Tashkent e Kiva, passando per Samarcanda e Bukhara, alla ricerca dei tappeti Samarkanda, per intenderci quelli che raffigurano i melograni in tutte le forme, l’albero della vita che nasce dal melograno, e che contengono, nascosto nei disegni orditi, lo schema tipico delle dieci sefirot.

Con ogni probabilità prodotti e commercializzati dai mercanti ebrei che negli ultimi secoli si erano stanziati lì, paese a prevalenza islamica ma non arabo, e che, oltre ai tappeti, trasportavano ed esportavano tessuti, spezie e pietre preziose.

Da informazioni raccolte prima di partire da altri viaggiatori che mi avevano preceduto, avrei trovato una sinagoga a Samarkanda ed una a Bukhara, la prima sempre chiusa mentre la seconda, se fossi stato fortunato, l’avrei potuta trovare aperta.

Arrivati a Samarkanda, dopo un lungo viaggio, abbiamo cominciato a cercare i tappeti nel più famoso mercato della città e poi lungo le strade centrali ma, dei tappeti che cercavamo, non vi era traccia, se non uno, in un museo. Mi convinsi subito che probabilmente erano diventati così rari e costosi che non sarebbe stato facile trovarli lì e forse li avrei trovati a Bukhara. Appena abbiamo trovato un momento libero, dopo aver visitato madrase e moschee antiche, minareti e mercati, siamo andati, quindi, nel vecchio quartiere ebraico che si trova adiacente ad uno stradone percorso da moltissimi turisti, con soli negozi di artigianato locale.

Samarkanda, oggi, con le moschee sullo sfondo

La strada, che permette di accedere al quartiere, è praticamente chiusa da un grande cancello bianco e nascosta, forse, per impedire ai turisti di accedervi e quindi, trovarla non è stato per niente facile. Solo i pedoni possono oltrepassare il cancello attraverso un mini cancelletto che passa inosservato alla totalità dei turisti, che sono invece attratti dai negozi di souvenir. Superato il cancello ci troviamo in un vecchio quartiere molto popolare formato da casette basse di uno, massimo due piani, con cortiletti interni. Le tubazioni sono a vista, così come i cavi elettrici, ed i bambini che giocano in mezzo alla strada sono incuriositi dalla nostra presenza.

Camminando, qualcosa ci diceva che ci stavamo avvicinando alla sinagoga che qualche anziano signore ci aveva indicato con la mano. Dopo aver trovato un forno sul ciglio della stradina, del tipo usato dagli ebrei libici in cui il pane si attacca alle pareti del forno, arriviamo vicino ad un antico hammam in restauro e di fronte, finalmente, aiutati da un giovane uzbeko che aveva capito che cosa cercavamo, troviamo una casa con due magen David sulle pareti esterne che, inequivocabilmente, ci indicano il nostro punto di arrivo. Sinagoga Gumbaz

Immediatamente, cerco la porta di ingresso, per capire se fossimo stati fortunati o meno, e vedendo una bellissima porta in legno intarsiato a mano, socchiusa, capisco che sarei riuscito anche a vedere l’interno. Ci troviamo davanti alla Sinagoga Gumbaz costruita nel 1891, a sue spese, da Rabi Nosi (Kalontarov Rafael Moiseyevich) nato nel 1842 e deceduto nel 1901. 

E così, lentamente, entriamo e vediamo un anziano signore con chipà in testa che ci viene incontro e dopo una rapida presentazione, sorridiamo perché entrambi ci chiamiamo Coen. L’unico modo per comunicare è l’ebraico visto che, lui non parla inglese ed io né l’uzbeco, né il russo. Con grande ospitalità e gentilezza veniamo accolti ed entriamo in un interno a pianta quadrata, elegantemente decorata, con pannelli di legno intagliato che coprono i muri nella parte inferiore, nella parte mediana l’intonaco bianco è decorato con motivi ed iscrizioni dorate, il soffitto è una specie di cupola colorata con vernice azzurra. Il rabbino ci mostra con orgoglio alcuni libri del Talmud stampati a Vilnius nel 1886 e portati lì da ebrei in fuga durante la seconda guerra mondiale. Il tempio è di rito sefardita ma difronte, prima di uscire, scopriamo che esiste anche la Sinagoga di rito askenazita.

Il Rav mi racconta che non ci sono abbastanza ebrei per aprire due sinagoghe contemporaneamente e così alternano le funzioni in una o nell’altra. Attualmente sono rimasti a Samarkanda un centinaio di ebrei un altro centinaio vive a Bukhara e forse un migliaio nella capitale Tashkent. Tutto è cambiato nel 1972 quando l’allora Unione Sovietica ha reso più facile l’emigrazione degli Ebrei verso Israele. Dall’Uzbekistan ha preso il via un vero e proprio esodo che è continuato negli anni successivi ed al quale si è aggiunto presto quello verso gli Stati Uniti.

Tappeto con diagramma delle sefirot

Oggi si calcola che gli ebrei di Bukhara, così vengono nominati tutti gli ebrei provenienti dall’Uzbekistan, siano circa centomila in Israele e cinquantamila nella sola New York. Finita la visita, felici ed emozionati, siamo tornati in albergo per preparare lo spostamento verso Bukhara dove sarebbe proseguita la nostra ricerca dei tappeti Samarkanda e la visita alla Sinagoga del posto.

A Bukhara abbiamo trovato i melograni nelle ceramiche, nelle tovaglie, nei tessuti ed in ogni altra forma ma non sui tappeti e purtroppo la sinagoga l’abbiamo trovata chiusa e l’abbiamo potuta fotografare solo dall’esterno. A fianco alla Sinagoga, però, abbiamo trovato aperto una sorta di museo ebraico allestito in una tipica casa abitata dagli ebrei del posto ed abbandonata nel tempo. All’interno, sono esposte fotografie degli ebrei uzbeki, alcuni loro libri e viene trasmesso un filmato sulla loro storia.

Per cercare i tappeti siamo finiti anche in una fabbrica in cui ti mostrano come vengono prodotti ma anche qui abbiamo visto solo tappeti Bukhara e non i Samarcanda.

Tornati a Roma ho approfondito la ricerca ed ho capito che quei tappeti, che in occidente sono chiamati Samarcanda, venivano forse venduti lì ma erano prodotti dai laboratori tessili uiguri che all’inizio del XVIII secolo erano attivi nelle oasi del Turkestan orientale ai margini del deserto del Taklamakan (Cina), sempre lungo la Via della Seta, presso le oasi di Khotan, Kashgar e Yarkand, proprio la zona in cui il governo cinese sta perpetuando una continua violazione dei diritti umani verso la minoranza uiguri.

Non sarà facile tornare lì e credo che mi dovrò consolare andando a mangiare del buon plov presso il ristorante Samarkanda di Tel Aviv (Derekh Ben-Zvi 34) che mi dicono essere molto buono e dove troverò sicuramente la maggior parte degli ebrei di Bukhara.

Una risposta

  1. Ottima prosa: agile, dotta ed efficace.
    Luoghi certamente pregevoli e suggestivi, pregni di una Storia davvero importante e di uno “spirito” ebraico sempre vivo e peculiare di quelle terre.
    Complimenti vivissimi all’Autore.

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