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La Moshe House, di Micaela Vitale

L’appartamento dove vivono Valentina Calò, Alessandro Gai e Alessandra Sabatello, tre giovani ebrei romani, è una Moishe House. Il nome indica luoghi di abitazione che fanno parte di una rete internazionale creata con l’obiettivo di far vivere inclusive esperienze aggregative ebraiche da parte di giovani adulti (20-35 anni). La casa ha proposto fin dalla sua inaugurazione numerosi appuntamenti anche se, causa Covid, ha permesso incontri quasi esclusivamente all’aperto o da remoto. Le molteplici attività sono l’occasione per mantenere un legame con altri giovani ebrei e, se da una parte permette al gruppo residente di avere un ruolo propositivo e creativo, dall’altra vede nella partecipazione alle iniziative un modo per allargare il coinvolgimento di altri giovani. Sharon Zarfati è uno dei ragazzi e ragazze che ha cominciato a frequentare la Moishe House romana. Le chiedo cosa l’abbia spinta a partecipare alle sue attività.

Sono amica da sempre di Alessandro e Alessandra, ma la cosa che mi piace di questa esperienza è l’opportunità di conoscere persone sempre nuove e di fare attività con altri ebrei grosso modo della mia età. Ho 24 anni, ho studiato economia e lavoro come consulente, ma, dopo aver frequentato l’Hashomer Hatzair, questo mi è sembrato è un esperimento nuovo, fino a poco fa sconosciuto in Italia, che mi permette di frequentare altri giovani come me e non sentirmi isolata all’interno del mondo ebraico. Per decidere cosa fare insieme non c’è una regola fissa. Può essere la festa di Hanukkah, la gita oppure il torneo di calcetto. Sono proposte pensate per stare insieme. L’idea è che ognuno possa trovare un motivo per mantenere il contatto con altri giovani ebrei e più in generale, con il mondo ebraico. Un gruppo che non richieda pre-requisiti ideologici (sionismo, ortodossia ) mi sembra che sia una grande novità.

Quindi, se capisco bene, si tratta di un gruppo fluido che non promuove una specifica identità ebraica, ma fa sì che ognuno possa trovare la propria, attraverso l’interazione con altri giovani, creando ‘gruppo’ o facendo sì che ‘non ci si perda di vista’ con l’oltrepassare l’età per la partecipazione ai vari movimenti giovanili.

Sì. Inoltre, la casa fa parte di una rete internazionale utile anche ai giovani ebrei stranieri o di altre città, che per motivi di studio o di lavoro si trovano a vivere temporaneamente a Roma e che in essa cercano e trovano un punto di appoggio ebraico inclusivo a cui fare riferimento.

Non pensi che creare gruppo possa essere utile anche per un futuro coinvolgimento di voi giovani come futura leadership nelle istituzioni ebraiche?

Da sempre cerco di essere attiva all’interno della comunità, di creare un’alternativa e cercare di rendermi partecipe. Semplicemente lo faccio perché mi piace, ma sicuramente contribuisce a creare un servizio utile alla leadership della prossima generazione.

Sono anche curiosa di sapere se durante la clausura avete realizzato attività di volontariato per rispondere a delle necessità di membri della Comunità, come consegne spesa medicine/accompagnamenti, o altro. Ti sembra potrebbe essere un’attività proponibile?

Purtroppo la Moishe House non ha organizzato nulla di tutto ciò. Io l’ho fatto a titolo personale per l’associazione Masbia Le Kol Hay Ratzon. In passato, questa associazione e la Moishe House hanno collaborato e spero che in futuro possano continuare a farlo. Che aspettative di sviluppo pensi possano portare esperienze di questo genere’ Sinceramente non penso spesso agli sviluppi del gruppo, penso piuttosto a quanto sia bella la fluidità che la Moishe House ha inglobato nelle sue dinamiche. Puoi entrare e uscire a tuo piacimento e puoi stare sereno che troverai sempre un posto che ti accoglierà e ti farà sentire accolto. Grazie Sharon per la tua collaborazione e disponibilità a raccontare: mi sembra che un’esperienza come la tua narri una nuova possibilità per un giovane ebreo di Roma di vivere una realtà ebraica aperta e inclusiva.

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