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Certo. Conosco bene la storia della mia famiglia, e sono molto legato alla sua identità ebraica, che poi è una parte importante della mia identità. Mio padre, Riccardo Davide Fubini è stato un ebreo torinese. Sebbene io non abbia mai avuto un’educazione religiosa, mi sento psicologicamente identificato con questa dimensione della mia storia familiare. È una parte fondamentale di chi sono io. A casa c’era sempre “Ha Kheillà” e sono cresciuto dall’adolescenza leggendo quegli articoli e comprendendo e condividendo la cultura e la mentalità riflesse in quella rivista. Sono così vicino a questa tradizione che sono il presidente dell’associazione “Amici del Centro studi Primo Levi”. Per me il legame con questa tradizione è vitale.

Che idea ha dell’ebraismo italiano, dal suo punto di osservazione?

Premetto che seguo la vita ebraica italiana senza avere il tempo di essene pienamente coinvolto. In generale, a me dispiace che le stesse divisioni che riguardano l’ebraismo internazionale attraversino anche quello italiano. Mi pare che la generazione di mio padre avesse meno fratture. Io mi sono sempre identificato in un ebraismo liberal, quand’ero piccolo mi sembrava il solo modo di essere ebreo; non è chiaramente così, però vedo che le divisioni che oggi si registrano in Israele sono sempre più sentite in Italia, e non credo che ciò sia positivo.

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