La sinistra non ha ancora capito cos’è l’antisemitismo
Anche in queste elezioni politiche è affiorato il problema dei pregiudizi antisemiti, trasversale a tutti i partiti, compresa la sinistra. Ne abbiamo parlato con Gadi Luzzatto Voghera
Gadi, nel 2007 il tuo saggio “Antisemitismo a sinistra” (Einaudi) mettevi in evidenza che ‘l’Autunno caldo” del rapporto tra Israele e la sinistra italiana, iniziato nel 1982, non si era ancora concluso; un rapporto fatto di fratture, pregiudizi e incomprensioni. Oggi, a che punto siamo secondo te?
Intanto non sono più sicuro che lo stesso soggetto politico di cui parlavo nel 2007 esista ancora, perché già all’epoca era in dubbio cosa potesse considerarsi “di sinistra”, e oggi mi pare che i dubbi siano aumentati. Voglio dire, senza alcuna nostalgia, che oggi non vedo né compagini caratterizzate da ciò che è stata la Sinistra nel Novecento, né un’area diffusa che voglia portare avanti le parole d’ordine e una strategia che si riconosca nella sinistra di allora. Se però diamo per ipotesi che esista ancora un’area di centro sinistra, allora i temi e le critiche sono sempre gli stessi.
Quali?
Non è mai stato fatto un lavoro culturale approfondito sui temi attuali di allora, ossia: la presenza diffusa e visibile di pregiudizi antiebraici nei gruppi sociali che si riconoscevano a sinistra; e la totale mancanza, nonostante vari tentativi fatti, di una riflessione articolata e approfondita sulle cause della crisi mediorientale, in senso ampio. Trovo cioè del tutto fuori luogo continuare a scontrarsi sulla bipolarità tra israeliani e palestinesi, nel momento in cui è chiaro che si stanno giocando partite molto più grandi in quella parte di mondo, e che quel conflitto è del tutto marginale, fuori da ogni agenda politica internazionale. Il malessere di popolazioni che soffrono le crisi locali, alla mercé di movimenti terroristi, appare oggi inspiegabile se avulso dalla lettura di strategie geopolitiche più ampie. A meno che non si ricorra, come molti ancora fanno, a dei cliché, quelli dell’antisionismo e della distruzione dello Stato di Israele. Nessuna di tali letture consentono però di risolvere qui problemi.
Che reazioni ebbe il libro?
A sinistra la nota dominante è stata il silenzio. Era evidente che fosse un tema che dava imbarazzo e non era riconosciuto come proprio e quindi si è preferito non far seguire grandi dibattiti, né recensioni. Si è trattata la questione solo in modo sporadico, in situazioni in cui il libro si presentava in modo generico e senza approfondire; insomma, non si è voluto mettere il dito nella piaga. A destra invece si è colta l’occasione, come avevo immaginato, per strumentalizzare. Che una persona di sinistra andasse a dire che nella sua parte ci siano sacche consistenti di pregiudizio antisemita è stato naturalmente utilizzato dalla destra, e questo ancora oggi.
Perché la sinistra, che nel Novecento si è identificata nel valore della uguaglianza, fatica ancora ad accettare anche quello della differenza, che consente la tutela anzitutto dell’identità ebraica?
I mondi che si riconoscono nella sinistra hanno la tentazione ancora oggi dell’omologazione. Cioè sono tesi a lottare per le minoranze oppresse, purché beninteso decidano loro chi esse siano. Lo si vede negli Usa, dove storicamente gli ebrei sono le vittime, ma oggi vengono visti oppressori di altre minoranze. Si diffonde così la domanda se gli ebrei possano essere considerati bianchi, che per definizione sono considerati oppressori. E la risposta è che sì, sono bianchi perché oppressori dei palestinesi.
Un altro pregiudizio a sinistra è che l’ebreo è la vittima, per cui l’ebreo fiero della propria identità e di Israele è visto con sospetto. Si tratta di un pregiudizio ancora presente?
Tale pregiudizio in realtà è generale, ha a che fare con tutti i gruppi, e vale anche per i palestinesi. Mi spiego: non c’è alcuna analisi sui gruppi terroristici che governano a Gaza, su chi detenga il potere da 40 anni, sulla gestione dei campi profughi. La sinistra è interessata solo alle vittime; in questo senso a sinistra si è meritevoli di politiche di supporto solo se si è vittime. È un modello esemplificatore che non offre soluzioni, e per questo lo trovo molto poco di sinistra. Una volta la sinistra proponeva politiche e un’analisi sociale approfondita, oggi assente. Oggi tutto si gioca sul filo di un sentimento terzomondista raffazzonato.
Quando si denuncia l’antisemitismo, spesso si sente sostenere la differenza tra antisionismo e antisemitismo: si può criticare Israele senza per questo essere antisemiti. Fino a che punto la critica è lecita?
L’errore è già nel dichiararsi antisionisti. Cos’è il sionismo? Se lo si considera uno strumento della lobby imperialista, una sciocchezza che non esiste, allora ci si potrà definire antisionisti e non antisemiti. Il problema è però che il sionismo non è quello, è un movimento nazionalista articolato e in continuo cambiamento. Tutto ciò viene ignorato. Si usa lo stesso lemma per concetti diversi, strumentalmente. Allora la sfida è smontare questa ricostruzione. Quell’antisionismo è certo antisemitismo, perché nega legittimità allo Stato di Israele, la cui nascita è letta come un risarcimento per la shoah. La dichiarazione dell’IHRA su questo è molto chiara ed esplicita.
Veniamo alle elezioni politiche. Nel Pd ci sono stati casi imbarazzanti, che mettono in evidenza come certi stereotipi sono ancora presenti. Qual è la tua opinione al riguardo?
Una risposta
Analisi approfondite, con riflessioni intelligenti e considerazioni geopolitiche
che ti aiutano a comprendere le varie posizioni delle correnti politiche
Ma alla fine della lettura rimane il.problema del. Voto :nonostante tutto : dobbiamo votare per la sinistra