La posta in gioco

 Victor Magiar analizza le cause dell’ultimo conflitto e individua i suoi possibili sviluppi*

Per cinque secoli gli ebrei in fuga dall’Europa cristiana hanno trovato rifugio nell’Impero Ottomano.

Gli ottomani – mussulmani sì, ma non arabi – hanno sempre protetto e rispettato gli ebrei considerandoli una preziosa risorsa del loro sistema imperiale, multietnico e multiculturale, rimanendo nel solco degli insegnamenti della tradizione islamica medievale. Una grande e drammatica svolta storica, il disfacimento dell’Impero Ottomano, ha comportato l’avvento di nuove ideologie totalitarie e la conseguente scomparsa della convivenza fra le millenarie comunità in quella porzione di mondo che noi oggi chiamiamo, genericamente, “mondo arabo”.

Se i sovrani già regnanti o i leader borghesi distintisi nella lotta per l’indipendenza hanno naturalmente continuato a conservare la tradizione di tolleranza del sistema ottomano, le nuove classi emergenti hanno preferito il radicalismo intollerante delle nuove ideologie totalitarie: o il modernista pan-arabismo o l’oscurantista pan-islamismo. L’illuminato Habib Bourguiba dichiarava “finché sarò vivo, non sarà toccato un capello agli ebrei”, il pan-arabista Gamal Abd el-Nasser affermava “non entreremo in Palestina con il suo suolo coperto di sabbia, entreremo con il suo suolo saturo di sangue”, mentre Sayyd Qutb, ideologo della Fratellanza Mussulmana, spiegava che “gli ebrei sono dietro il materialismo, la sessualità animale, la distruzione della famiglia e la dissoluzione della società. I principali tra loro sono Marx, Freud, Durkheim e l’ebreo Jean-Paul Sartre”.

L’affermazione di queste due ideologie totalitarie ha comportato la progressiva scomparsa delle cosiddette minoranze, seguendo l’antica regola: prima gli ebrei e poi gli altri. Non c’è stata infatti solo la tragedia dell’esodo, mai raccontato, di quasi un milione di ebrei presenti in quelle terre da millenni (nello Yemen dal 15 secolo A.C. o nel Maghreb 1500/1200 anni prima dell’arrivo degli arabi): dobbiamo registrare anche la tragedia di altre minoranze. Siamo ormai alla quasi definitiva scomparsa delle antichissime comunità cristiane, equivalenti nel 1910 al 20% della popolazione, ed oggi solo al 4% della popolazione. Se consideriamo che in Iran la percentuale passa dal 12% al 4 per mille e in Turchia passa dal 20% al 3 per mille, comprendiamo che il fenomeno è dovuto alla prevaricazione delle politiche islamiste.

I conflitti del Medio Oriente, sempre ridotti dalla propaganda e dal pregiudizio europeo (sia colonialista che terzomondista) a caricaturali conflitti etnico religiosi, magari “per la terra”, sono in realtà il frutto velenoso delle ideologie totalitarie.

È insomma un grande errore – o una grande manipolazione – definire israelo-palestinese il conflitto che vede da decenni Israele contrapporsi non solo alle fazioni palestinesi, ma anche agli stati arabi ed agli stati ed organizzazioni non arabe a guida islamista. I nemici di Israele non sono il popolo palestinese, gli arabi o i mussulmani, ma i pan-arabisti e i pan-islamisti. Costoro sono anche la minaccia, reale e già attiva, contro cristiani, curdi, yazidi e molti altri antichi gruppi minoritari del Medio Oriente. Una nuova grande positiva svolta storica sta però cambiando e cambierà la storia del Medio Oriente: contro questa svolta l’Iran e i suoi sodali stanno scatenando e scateneranno l’inferno.

Gli Accordi di Abramo siglati nel 2020 fra Israele, EAU e Bahrein, sono una condanna ed una sfida concreta contro il vecchio pan-arabismo e il rampante pan-islamismo. Si tratta di un’inedita, tiepida e coraggiosa alleanza arabo-israeliana contrapposta alla coalizione islamista (e non araba) formata da Iran, Turchia, Qatar. Parliamo di un primo drappello di Paesi – Israele, Egitto, Giordania, Bahrein, Emirati Arabi Uniti – destinato a crescere con l’adesione di Marocco, Sudan, Mauritania ….  in attesa della convergenza dell’Arabia Saudita.

Al di là del significato simbolico di “riconciliazione” riconosciuto da tutti, questo nuovo asse rappresenta l’inizio di una rivoluzione politica, militare, economica, ideologica e teologica: se scoppiasse la pace l’economia dei Paesi mediorientali decollerebbe verso la luna, se scoppiasse la pace, ebrei e arabi tornerebbero allo splendore della convivenza andalusa. Non ci vuole molto ad immaginare cosa potrebbe nascere dal sodalizio fra l’avanzatissima tecnologia e la ricerca scientifica israeliana e le infinite risorse finanziarie dei paesi del petrolio o, ad esempio, dall’investimento dell’esperienza israeliana nella trasformazione di oasi ambientali e turistiche.Un nuovo “mercato comune”, un enorme spazio di scambi commerciali, consumi e turismo; un nuovo Medio Oriente “sicuro” e con un’inedita classe media lavoratrice: insomma l’approdo alla modernità.

Ma il significato più profondo degli Accordi di Abramo e delle sue conseguenze è di carattere teologico (e ideologico): siglandolo i mussulmani hanno riconosciuto “pari dignità” agli ebrei, considerati finora dalla teologia islamica dominante come “dhimmi”, ovvero una minoranza “protetta” e subalterna; anche per questo non poteva essere accettata la creazione di uno Stato per gli ebrei. La pari dignità è la condizione per rompere la spirale dell’odio, ed è la condizione per eliminare alla radice i presupposti culturali e ideologici che alimentano il fanatismo islamista.

Se arabi ed ebrei, come nazioni, tornano ad essere fratelli figli dello stesso padre, se ebrei e mussulmani tornano ad essere fedeli allo stesso Dio, le potenze non-arabe rimarrebbero emarginate da ogni dimensione politica, economica e ideologica. La loro ideologia islamista, cioè dell’uso politico dell’Islam, sarebbe delegittimata, depotenziata, progressivamente sconfitta.

Iran e Turchia non possono accettare tutto questo e hanno fatto, e faranno di tutto per far saltare l’accordo: agitano la bandiera palestinese per il solito cinico calcolo di potere già celebrato per decenni dai vari dittatori arabi di turno. Anche per questo ogni festività, ogni ricorrenza, ogni scintilla sarà il pretesto per riaprire il conflitto sul terreno, così come accaduto in queste settimane sincronizzate con un timing perfetto, scandito dal mese dell’islamico Ramadan che si concludeva nella ricorrenza ebraica dedicata a Gerusalemme. Anche per questo, nelle drammatiche giornate dell’ultima crisi, mentre Ankara e Teheran soffiavano sul fuoco, i Pesi della Lega Araba hanno assunto un profilo quasi equidistante fra Israele e Hamas e sono poi stati molto attivi nella ricerca di una tregua fra le parti.

La posta in gioco non è solo e semplicemente la vittoria o la sconfitta di qualche progetto di egemonia politica regionale o il successo di un enorme business internazionale: la posta in gioco è il futuro, la rinascita del Medio Oriente prima che finisca la facile ricchezza garantita dal petrolio.Quando il mondo non avrà più bisogno di petrolio, nessuno più si occuperà di Medio Oriente.

Speriamo lo capisca anche una nuova dirigenza palestinese.

 * Articolo pubblicato il 23 maggio scorso su www.repubblica.it

Sullo stesso tema, leggi anche gli interventi di Livia Ottolenghi, Giacomo Kahn, Simone Dell’AricciaVictor Magiar

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