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La guerra a Gaza interroga anche le debolezze dell’Europa

Sofia Ventura, esperta di scienze della politica, esamina la guerra tra Israele e Hamas dal lato europeo, che subisce l’influenza di un pensiero radicale e antioccidentale, come i fatti di Bologna e Firenze dimostrano

Professoressa Ventura, partiamo da quanto accaduto all’ateneo di Bologna tre settimane fa, quando l’università ha ospitato una manifestazione che aveva al centro la presenza di Omar Barghouti, fondatore del movimento Bds.

Sofia Ventura
Sofia Ventura insegna, tra l’altro, Comunicazione politica all’università di Bologna

Ho espresso subito la mia contrarietà all’incontro all’università di Bologna, cui appartengo, perché ritengo che una istituzione culturale dovrebbe essere sempre pluralista e non prestarsi a iniziative partigiane e a senso unico.

L’iniziativa è stata replicata anche in Comune.

Sì, per di più presso Palazzo d’Accursio. Non entro nel merito, perché non conosco nel dettaglio il regolamento comunale; certo sono rimasta abbastanza sorpresa dell’iniziativa: da cittadina trovo una scelta sbagliata quella di dare a un propagandista come Barghouti una sala del comune. Ma non c’è solo questo a farmi nascere delle perplessità.

Che altro?

Barghouti ha parlato a fine febbraio in comune e all’università di Bologna, confermando l’idea che Israele sia uno Stato che pratica l’apartheid

Credo che un incontro come quello svolto in comune non possa essere stato organizzato senza il consenso della segreteria nazionale del Partito democratico. Sarebbe in tal caso la conferma che il partito, sulle questioni internazionali di maggior peso (penso anche all’Ucraina), è ancora oscillante.

Torniamo all’incontro in università: quali sono le ragioni della sua contrarietà?

Ho osservato che fosse inopportuno che l’università, peraltro con una giustificazione piuttosto debole e poco convincente sul suo non coinvolgimento, di fatto lasciasse che si organizzasse un incontro del genere; il suo statuto prevede infatti che al proprio interno non possano tenersi manifestazioni di propaganda politica, e quello che è stato organizzato era chiaramente un incontro di propaganda, parte di un più ampio tour italiano di Barghouti.

Eppure, si potrebbe obiettare che si è trattato di un modo per favorire il dibattito.

Oggi la figura di Barghouti forse non è così più centrale, ma non dobbiamo dimenticare che è stato l’ideatore del movimento Bds.

Molti neppure conoscono bene questa sigla.

Dietro la formula Bds (Boycott, Disinvestement, Sanction, n.d.r.) c’è un network che promuove il boicottaggio non solo di Israele, ma dell’intera società israeliana e della sua economia, e che intende colpire lo Stato ebraico nel suo insieme, come corpo vivo. Il movimento prende vita dal 2006, poco prima che Hamas prenda il potere con la violenza a Gaza. Quello esercitato dal Bds è uno “Sharp Power”, basato sulla menzogna, sulle mezze verità che servono a rovesciare completamente la realtà. il Bds, insomma, fa parte di una grande e profondo esercizio di manipolazione, non molto dissimile da quello che la Russia esercita nei confronti dell’Occidente. C’è una letteratura scientifica su questo che evidenzia la capacità delle organizzazioni palestinesi e ProPal di operare, anche all’interno di organizzazioni internazionali, come l’Onu.

Francesca Albanese e inviata del consiglio dei diritti umani ONU

Barghouti è il portavoce di questa propaganda. Chiamare a Bologna lui, come altre figure provenienti dal mondo anglosassone, che si sono sempre distinte per la loro feroce militanza antisraeliana, ad esempio avvicinando Israele al nazismo, è l’indicatore più evidente che si scivola verso un pensiero antisemita.

Anche Francesca Albanese, rappresentante Onu per i rifugiati palestinesi, ma esplicitamente militante, ospite con Barghouti a Firenze, costituisce una scelta non certo imparziale. È per questo che gli appuntamenti di Bologna e di Firenze a mio avviso hanno dato spazio alla propaganda antisraeliana, con un esercizio di manipolazione che ho trovato offensivo per l’intelligenza comune.

A cosa si riferisce?

uno degli ultimi saggi pubblicati da Sofia Ventura (Il Mulino, 2019)

L’evento di Bologna era organizzato sulla base di tre punti: per il cessate del fuoco; per la liberazione degli ostaggi; contro la diffusione dell’antisemitismo. In realtà, di fatto l’incontro ha avuto al centro soltanto il primo punto, che è stato sviluppato dicendo di Israele ogni male. Mi lasci dire anche che mi dispiace molto che all’incontro fossero presenti dei colleghi e che si sia utilizzato una formula vaga e poco chiara per presentarlo. In una democrazia bisognerebbe almeno avere il coraggio di dire quello che si pensa. È stato insomma gravissimo che l’università si sia prestata alla diffusione di idee che delegittimano Israele, lasciando che si ospitasse e desse sostegno a personaggi che negano a Israele il diritto di esistere.

C’è un problema tra la sinistra e Israele?

soldati israeliani durante la Guerra dei sei giorni

Ricordo un libro di Maurizio Molinari di tanti anni fa, “La sinistra e gli ebrei”, in cui si metteva in evidenza un problema, presente a sinistra, circa i rapporti con Israele. Si tratta di una questione che ha radici lontane. Sappiamo tutti che, dopo il 1967, con la Guerra dei Sei giorni, l’Unione sovietica assunse una posizione nettamente contraria allo Stato ebraico e come questa scelta ha influenzato conseguentemente la posizione dei partiti comunisti europei, compreso quello italiano. Al contrario, al momento della fondazione dello Stato ebraico, l’Unione sovietica aveva salutato la nascita di Israele come un nuovo esperimento socialista. Le conseguenze del ‘contrordine compagni’ del ’67 ancora si fanno sentire. Anche se la sinistra italiana è cambiata molto, è come se, su questo punto, fosse ancora legata a quel passato. Insomma, il problema è rimasto.

Emanuele Fiano, architetto, già presidente della comunità di Milano, è stato deputato Pd dalla XV alla XVIII legislatura

Come giudica la linea del Partito democratico?

Al suo interno il Partito democratico ha molte anime, e questo conflitto in corso ha fatto emergere la contrapposizione tra esse. Da un lato, infatti, c’è quella riformista, che riconosce le ragioni di Israele e il suo diritto a esistere. Dall’altra c’è quella più radicale, che cerca di spostare il partito su posizioni più estreme, legata a una visione terzomondista che critica Israele e l’intero Occidente. Visto dall’esterno a me sembra che il Partito democratico abbia in corso uno scontro fra queste due anime, che si riflette non solo su Israele, ma anche sull’Ucraina. Su tali questioni mi sembra che la segretaria non abbia ancora maturato una linea del tutto convincente.

Torniamo alle Università. Molti atenei hanno visto scandire dagli studenti slogan in cui si inneggia la Palestina libera “dal fiume al mare”. A suo avviso c’è il rischio di un’infiltrazione del radicalismo islamico nei movimenti studenteschi e giovanili?

manifestazione Propal all’università di Bologna

Io credo che l’infiltrazione sia già in atto. Sta infatti accadendo qualcosa di molto grave, che parte dalle università inglesi e americane e che si sviluppa anche da noi nell’Europa continentale. Mi riferisco a un’infiltrazione di una capillare propaganda palestinese, diversa da quella islamica.

Cosa intende?

Assistiamo a una propaganda tipicamente ProPal, animata da organizzazioni palestinesi, e che si sposa con la diffusione di una cultura woke e con la cancel culture. Ciò che unisce tutti questi pensieri è l’odio per l’Occidente e per la sua civiltà, per la sua cultura e i suoi valori. Certo, sappiamo tutti che esistono contraddizioni nel nostro mondo, ma non credo che le altre civiltà siano migliori della nostra: ogni cultura e ogni civiltà ne ha. Al contrario, assistiamo a slogan manichei in cui gli errori sono solo da una parte, cioè dalla parte dell’Occidente.

Anche negli USA si sono registrate molte manifestazioni antisraeliane

L’ebreo, da questo punto di vista, ha un’ulteriore colpa: quello di aver voluto essere parte del mondo dei bianchi, mentre la sua costruzione nazionale è assimilata a quel “mondo coloniale” matrice di ogni male.

A suo avviso questo movimento di protesta radicale contro l’Occidente potrebbe influenzare le prossime elezioni europee?

Non questo specifico movimento, credo, che non ha al momento una traduzione partitica, anche se condiziona la sinistra, più o meno estrema, che però non ha molta forza elettorale. Anche se sul piano politico-culturale si aggiunge (e in alcuni casi si salda) a una contestazione dell’Occidente liberale proveniente dalle destre radicali, che negli anni Duemila hanno visto accrescere il proprio consenso in modo impressionante.

Eric Zemmour e Marion Marechal sono presidente e vice presidente di “Reconquête”, il gruppo di estrema destra francese con cui di recente Giorgia Meloni sembra orientata ad allearsi in Europa (Foto: G. Souvant/AFP)

Il grande timore in effetti è che si possa registrare un successo consistente delle destre radicali e nazionaliste, o comunque che il Gruppo popolare ceda alle lusinghe di quell’area politica, ossia che possa stipulare accordi che cambino le tradizionali alleanze con i socialdemocratici; insomma, che la prossima Europa svolti a destra realizzando un’inedita coalizione con i ‘conservatori europei’. Vorrei ricordare che tale gruppo [cui appartiene Fratelli d’Italia, n.d.a.] ha appena accolto al proprio interno figure come Orbàn e Zemmour, ossia una destra chiaramente fascisteggiante, comprensiva anche di Marion Marechal, la nipote di Le Pen.

Quanto è concreto questa possibile accordo?

Al momento i sondaggi non segnalano come probabile tale possibilità: per fortuna le resistenze all’interno del Gruppo popolare sono ancora forti, per questo non sarei troppo pessimista. Resta il fatto che stiamo attraversando una fase storica nuova e piena di insidie.

Ci può aiutare a capire?

Orban ha reso visita a Trump la scorsa settimana

Per oltre quarant’anni la guerra fredda ha diviso il mondo fra area di influenza americana e area di influenza sovietica. Ciò aveva tutto sommato prodotto una certa stabilità, perché sussisteva una specie di riconoscimento reciproco fra due mondi, certo molto diversi, che avevano però condiviso la guerra al Terzo Reich. Al contrario, oggi l’attacco viene da un mondo radicalmente ‘altro’, che contiene al suo interno anche l’islam radicale, infatti uno dei terminali è l’Iran. Un mondo ‘altro’ ossessionato dall’Occidente come entità malvagia da sconfiggere che trova grandi sostegni nell’Occidente stesso: intellettuali, operatori della cultura, politici, fomentano una costante ribellione alla nostra civiltà, alla liberaldemocrazia e ai suoi valori, e molte giovani generazioni sono inclini a seguire questi insegnamenti, pensando che il ‘bene’ stia nel cancellare la propria civiltà per inventare di fatto un mondo fittizio e distopico. Prendiamo ad esempio le giovani generazioni americane ed europee: è terribile il loro spaventoso silenzio nei confronti di quel che avviene in Iran. E anche di fronte ai conflitti in corso invocare una sterile pace senza comprendere che oggi l’occidente deve misurarsi con il tema della guerra significa fuggire la realtà.

Vorrei terminare questa intervista andando in Israele e a questa guerra. Cosa pensa del governo Netanyahu?

Netanyahu deve fronteggiare una forte opposizione interna, anche per la conduzione della guerra

Ho un’idea molto negativa. Netanyahu si sta mostrando un leader populista che fa parte integrante dell’internazionale populista che va da Orbàn a Trump, tant’è che hanno avuto gli stessi spin doctor. Sono personalità ultranazionaliste, che vagheggiano una società a base etnica, con un’idea della società che tende ad escludere gli altri. Detto questo, aggiungo anche che su quel che sta accadendo a Gaza è difficilissimo esprimersi. La guerra a cui assistiamo da 5 mesi è una immane tragedia. Ciò dipende anche da come si è reagito dopo il 7 ottobre, dai tanti errori commessi, dall’ottusità con cui ci si è posti un obiettivo condivisibile, la distruzione di Hamas, anche fisica, ma non sul modo con cui si è realizzata: procedendo a testa bassa, senza mai chiedersi se si poteva fare diversamente. Tuttavia, le confesso anche che non mi sento di esprimere un giudizio definitivo, perché mancano le conoscenze e le informazioni per immaginare una soluzione alternativa. Se molti invocano il cessate il fuoco, purtroppo nessuno ha ancora una risposta per impedire ad Hamas nuovi attacchi.

Di recente “Sinistra per Israele” ha rilanciato la sua azione con un manifesto cui attualmente hanno aderito oltre 700 persone. Secondo lei ci sono margini perché a sinistra trovi spazio movimento a favore delle ragioni di Israele?

Sinistra per Israele

Sicuramente c’è tanta gente che vorrebbe vedere una sinistra la quale si riconosca nei fondamenti socialdemocratici e liberali e, al tempo stesso, abbia un atteggiamento diverso dalla semplice condanna nei confronti di Israele. Glucksmann in Francia, ad esempio, guiderà una lista alle prossime elezioni europee che si riconosce in questo obiettivo. Da liberale, mi viene da dire che forse si tratta di una posizione minoritaria; tuttavia, esiste un gruppo dirigente (rappresentato da alcuni parlamentari) e un bacino di potenziali elettori, che deve fronteggiare l’offensiva della sinistra radicale.  Insomma, lo spazio per una “Sinistra per Israele” è sempre esistito, ma mi domando se e come riuscirà a farsi valere nell’attuale fase.

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