La destra italiana è ancora dentro il tunnel del neofascismo?

L’inchiesta di Fanpage rischia di produrre un terremoto nel partito di Giorgia Meloni. Riflessi ripropone l’intervista a chi quel mondo lo conosce bene

“Credo che con questo governo si approfitti di questo potere grande della destra, che del resto è stata votata ed è andata al governo, non è che sia rivoluzionaria, e non ci si vergogni più di nulla. Io ho seguito nelle varie trasmissioni questa seduta, chiamiamola così, inneggiante anche a ‘Sieg Heil’, quindi anche con questo motti nazisti che purtroppo io ricordo in modo diretto e non per sentito dire. Ora alla mia età dovrò rivedere di nuovo questo? Dovrò essere cacciata dal mio Paese da cui sono stata già cacciata una volta?”

Liliana Segre

L’antisemitismo sembra un male endemico nel nostro paese (e non solo). Nelle ultime settimane si è mostrato quanto sia evidente il legame tra parti del partito della premier e un’ideologia razzista e antisemita. Ieri la presidente del consiglio ha diffuso una lettera al partito che respinge di nuovo con forza ogni cedimento sul tema dell’antisemitismo. La lettera era necessaria, seppure giunta in ritardo; ora si attendono passi concreti. Intanto abbiamo deciso di riproporre l’intervista dello scorso settembre, a Enzo Palmesano, che quel mondo ha frequentato per anni.

***

Palmesano, lei si definisce un uomo di destra?

Enzo Palmesano

Non mi sono mai definito un uomo di destra. Cominciai a fare politica nel Movimento sociale italiano nel 1972. Avevo 14 anni.

È stato un militante precoce.

A quel tempo schierarsi così giovani non era un’anomalia. Negli anni ’70 la politica si respirava tutti i giorni; le sezioni dei partiti c’erano nelle grandi città e nei piccoli comuni. La politica era un’esperienza totalizzante: assorbiva l’intelligenza, le fantasie e gli errori di milioni di giovani. L’impegno politico ha dato un senso a tanta parte della mia vita.

Perché ha fatto politica nel Movimento sociale italiano?

Università La Sapienza: Almirante con militanti neofascisti negli anni ’70

A quel tempo i giovani che cominciavano il loro impegno politico nel MSI volevano davvero cambiare le cose, fare la rivoluzione.

La rivoluzione fascista?

Chi sostiene che a quel tempo dentro il Movimento sociale italiano ci fossero solo sinceri democratici, moderati mai stati fascisti, dice il falso. Certamente c’erano molti fascisti e molti nostalgici. Quanto a noi più giovani, sognavamo un fascismo immaginario, che non avrebbe fatto mai male a nessuno, che anzi voleva una democrazia migliore. Eravamo certamente giovani e sognatori: noi speravamo in un paese dove ci fosse più libertà per tutti. In tanti di noi abbiamo pagato un prezzo molto alto; ma ne valeva la pena.

Lei come si definirebbe, politicamente?

24 maggio 1988. Funerali di Giorgio Almirante
24 maggio 1988. Funerali di Giorgio Almirante

Io ho militato nel Movimento sociale italiano in una maniera tale che mi definivo un “fascista di sinistra”: ero per la tutela delle fasce più deboli, contro il capitalismo; organizzavo i marginali, i figli degli operai, non i figlioli della borghesia reazionaria ma gli studenti che avevano visto il primo libro nelle loro case quando erano andati alla prima elementare. Insomma, nel MSI di allora c’era davvero una grande confusione, ma io in quella confusione mi ci trovavo bene.

Al vertice del partito però c’erano le vecchie classi dirigenti.

Chi fondò e guidò per molto tempo il partito nasceva nel fascismo regime o proveniva dalla Repubblica sociale italiana. Non erano certo dei liberaldemocratici; in tanti non andavano oltre la semplice nostalgia fascista, non c’era filosoficamente una dialettica, uno sviluppo nella loro visione politica. Questo, noi di quel mondo, lo sapevamo e lo sappiamo tutti. Direi che il MSI di allora era un mondo con tante anime diverse, c’era un grande entusiasmo e una enorme confusione: c’erano i conservatori, i monarchici, i fascisti nostalgici, i reduci di Salò e poi quelli come me.

28 aprile 2022. Funerali di Assunta Almirante

L’antisemitismo era presente nel Movimento sociale italiano?

C’era un non detto nel partito, quando si parlava degli ebrei e delle leggi razziali. Tra di noi si raccontava che dopotutto le leggi razziali non erano state così tremende, certamente non come in Germania, e che il fascismo non aveva commesso i crimini imputati invece al nazismo. C’era insomma un’autoassoluzione da parte delle classi dirigenti del partito. Io ritengo, al contrario, che le leggi razziali siano state e restino la cosa più grave e terribile della storia d’Italia; il crimine più orrendo, il tradimento più imperdonabile. Le leggi razziali peseranno per sempre sulla storia del Paese. Nel MSI si preferiva non parlarne.

Veniamo ora alle famose tesi di Fiuggi del 1995. Che ruolo aveva lei nel partito a quel tempo?

Ero capo del servizio politico del Secolo d’Italia, il giornale ufficiale del partito. Svolgevo un ruolo centrale.

Che rapporti aveva con Gianfranco Fini, il segretario dell’Msi?

Pino Rauti e Fini, nel 1990

Non appartenevo alla sua corrente. Fino al 1976 posso dire anzi di non aver seguito nessuna corrente. Poi, in vista del congresso nazionale di gennaio 1977, Pino Rauti presentò una mozione che rompeva con la sua tradizione “di destra”, lui che era un seguace del filosofo Julius Evola, autore quest’ultimo che non è mai stato un mio punto di riferimento. Era la svolta “a sinistra”; e io, da “fascista di sinistra”, mi schierai con lui con grande convinzione. Ricordiamo che c’è stato un Pino Rauti dello “sfondamento a sinistra” e della celebre intervista al “Manifesto” contro Jean Marie Le Pen.

Lei che ruolo ebbe nel Congresso di Fiuggi?

Partecipai come delegato. Presentai un mio documento al Congresso provinciale di Caserta e fui eletto delegato al Congresso nazionale.

Come le venne in mente di scrivere l’emendamento di condanna dalle leggi razziali?

Fiuggi, 1995: Gianfranco Fini vince il congresso, nasce Alleanza Nazionale

Si trattò del risultato più alto di una evoluzione, di una profonda riflessione che andavo maturando da tempo. Io credo che – ora come allora –  vivano filosoficamente contrapposte due concezioni del tempo: quella circolare-reazionaria, dell’eterno ritorno, nostalgica; e poi quella dialettica, “progressista”, che si riconosce nelle basi ebraico-cristiane del pensiero occidentale. Io ho proceduto – come nella dialettica di Giovanni Gentile – a un’analisi e al riconoscimento degli errori, che mi hanno permesso il loro superamento. Così sono uscito dal tunnel del neofascismo.

Ci spiega meglio come nacque l’idea?

Quando fu annunciato il Congresso di Fiuggi, il Congresso della svolta, il “pensatoio” del partito cominciò a elaborare le tesi che sarebbero dovute essere discusse e approvate. Quelle tesi in realtà dicevano tutto e il contrario di tutto: costruivano un nuovo Pantheon ideale, però molto eterogeneo. Io lessi le tesi, e mi colpì immediatamente che mancava l’unica cosa importante: la condanna delle leggi razziali. Fu così che scrissi il documento.

Che effetto ebbe sull’opinione pubblica?

Paolo Signorelli (a destra), capo ufficio stampa del ministro Lollobrigida fino alle dimissioni obbligate dopo la pubblicazione di suoi messaggi antisemiti

“L’emendamento Palmesano”, come fu immediatamente definito, esplose nel mondo politico italiano e del MSI in maniera fragorosa. Nessuno ne aveva saputo nulla, in precedenza; non mi ero consultato con nessuno perché da sempre mi assumo in pieno le mie responsabilità. Ricordo che una domenica pomeriggio che ero a casa scrissi quelle 11 righe e ne feci un comunicato che mandai alle agenzie. Quando il documento arrivò sui tavoli delle redazioni, scoppiò il finimondo: tutti si chiedevano come fosse possibile che i fascisti condannassero esplicitamente le leggi razziali. Cominciarono ad arrivare telefonate da tutto il mondo, comprese varie rappresentanze diplomatiche, in particolare dagli Stati Uniti e da Israele. Tutti volevano conoscere il testo integrale dell’emendamento. L’equivoco, di cui mi resi conto successivamente, è che venne interpretato da subito come un documento ufficiale del partito che si sarebbe discusso al Congresso, non come l’iniziativa di un singolo.

E il partito?

alcuni dei messaggi pubblicati dall’inchiesta di Fanpage

Ora sono passati trent’anni e si fa fatica a ricordare; ma a quel tempo sembrava una cosa impossibile che il MSI potesse condannare esplicitamente le leggi razziali. Fini mandò da me un suo collaboratore per avere il testo; glielo consegnai e da quel momento anche il partito non poté più ignorare il mio emendamento.

Che reazione ebbe la mozione al congresso?

È difficile spiegare la reazione che ebbe il mio emendamento nel nostro mondo missino, soprattutto per chi non ne ha mai fatto parte, e non conosce bene quella cultura e quel linguaggio. Io credo che l’emendamento non sarebbe passato, se non fosse che Fini, durante il Congresso, affermò che chi non lo avrebbe approvato non sarebbe entrato in Alleanza Nazionale.

Perché questa di posizione così netta?

Fini in visita in Israele

Fini diede il via libera per ragioni di realpolitik, soprattutto di politica estera, per curare i rapporti con Israele e con il mondo ebraico americano. La condanna delle leggi razziali non era il primo pensiero di Gianfranco Fini; per lui il rapporto con gli ebrei era una questione di politica estera: voleva andare in Israele.

Come reagì il partito verso di lei?

Pagai un prezzo molto alto, sia politicamente sia professionalmente. Di quella classe dirigente, trent’anni dopo, posso dire di essere stato l’unico a non aver fatto carriera. Lo spartiacque è stato quell’emendamento, con il quale ho costretto il partito a condannare espressamente l’antisemitismo e le leggi razziali. In cambio, il partito mi ha fatto politicamente fuori.

Anche Rauti, alla cui corrente lei apparteneva?

Rauti mi sconfessò pubblicamente dicendo che era “una carognata”.

Che conseguenze ebbe tutto questo sulla sua vita?

Isabella Rauti, senatrice FdI, festeggia la fondazione del MSI, la cui fiamma, mai rinnegata dalla Meloni, rappresenta per lo zoccolo duro del partito lo spirito di Mussolini

Quel documento congressuale è stato devastante per il partito ma anche per la mia vita, in un modo che lei non può immaginare. Un altro senza la mia forza morale, le mie convinzioni, credo che sarebbe morto di solitudine da tempo, perché la solitudine uccide. Dal 1995 sono stato definito nel partito come “l’ebreo Palmesano”, e sono stato trattato di conseguenza. Del resto non poteva finire diversamente: il mio documento è stato nella storia del MSI e di Alleanza Nazionale – richiamando una terminologia filosofica gentiliana – l'”Atto” per eccellenza.

Cosa intende?

Venni subito emarginato. Ci furono molti che mi conoscevano da decenni e che mi tolsero il saluto da un giorno all’altro. Al momento mantenni il mio posto al giornale, poi nel 1996 mi fu offerta la direzione del “Roma”, un quotidiano di Napoli che faceva riferimento a Tatarella e Bocchino. L’accordo che mi convinse ad assumerne la direzione prevedeva che io sarei rimasto sul libro paga del “Secolo”. In realtà il mio ex giornale non mi pagò più, e dopo soli tre mesi venni licenziato dal “Roma”, che non mi diede mai una lira.

Secondo lei questo fu il modo di vendicarsi del suo partito?

Volevano il mio cadavere politico e professionale, l’hanno ottenuto. Gli antisemiti erano ufficialmente scomparsi in Alleanza Nazionale, ma gli anti-Palmesano diventarono un esercito. Mi ritengo una vittima dell’antisemitismo. Ma va detto che il responsabile unico, assoluto, della mia emarginazione è stato il capo assoluto del partito, il padrone: Gianfranco Fini.

Lei conosce Giorgia Meloni?

Galeazzo Bignami, deputato di FdI, in una festa in maschera alcuni anni fa (per cui si è successivamente scusato)

No, negli anni in cui io sono stato un militante del partito lei era troppo piccola. Nel caso ci saremmo scontrati: il melonismo è nel tunnel del neofascismo, anche oggi.

L’antisemitismo oggi secondo lei è presente in Fratelli d’Italia?

Il Movimento sociale italiano non ha mai fatto i conti con l’antisemitismo né li ha fatti Alleanza Nazionale. Fascismo e antisemitismo sono argomenti mai pensati ed elaborati dalla destra italiana, nel segno del superamento e del riconoscimento degli errori e degli orrori. La destra, anche quella di oggi, è rimasta nel tunnel. Se ascolta le parole pronunciate oggi, si rende conto benissimo che anche gli attuali dirigenti non si sono mai staccati da quel passato. Non deve commettere l’errore di guardare solo chi rappresenta il partito all’esterno. Deve piuttosto interessarsi alle retrovie, per così dire, alle segrete stanze dei ministeri, ai collaboratori chiamati a lavorare nelle varie segreterie e negli staff ministeriali. Potrebbe scoprire allora la presenza di antisemiti, soggetti con simpatie politiche estreme e inquietanti; nostalgici fascisti, come è ovvio, ma anche hitleriani, nazisti, fan delle SS. I capi sono comunque figure rimaste nel tunnel del neofascismo, in quel mondo dal quale pure io provengo; oggi hanno assunto ruoli di potere e di comando e ufficialmente sono costretti a far finta di condannare quel passato. Ma dal loro pensiero non si evince nessuna dialettica, nessuno sviluppo e nessun superamento. Sono inchiodati alla loro concezione del tempo, che si porta filosoficamente dietro l’avversione per gli ebrei.

un giovane Andrea Del Mastro, sottosegretario alla giustizia (FdI), con indosso la maglietta di una banda punk rock che inneggia a Priebke

Come fa a essere così sicuro di quello che dice?

Perché conosco quel linguaggio; e quando li sento parlare mi rendo subito conto che sono rimasti fermi a quel tempo. Il discorso politico e la visione del mondo restano quelli del passato. Sono fuori dalla storia, estranei alla dialettica del divenire storico.

Può fare dei nomi?

Non vorrei dare la possibilità a chicchessia di querelarmi. Ma se mi querelasse il governo (la premier o qualche ministro), sarei costretto ad approfondire la questione in Tribunale. Sarebbe un dibattimento di enorme portata, eclatante, glielo assicuro.

Le accuse che lei lancia all’attuale classe dirigente al governo sono gravi. E soprattutto, la destra al governo oggi ha da tempo condannato il suo passato.

Giorgia Meloni non ha mai preso le distanze da Giorgio Almirante, il quale, a sua volta, ha sempre rivendicato la sua continuità politica con il fascismo

I giornalisti, pure quelli che indagano a tempo pieno su quel mondo, spesso non ne comprendono le logiche e il linguaggio. Non sono preparati in materia. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, occorre infatti conoscerne la logica interna. Setacciare le pagine Facebook di un politico oggi non è garanzia sufficiente per conoscerne il reale pensiero. Solo chi proviene da quel mondo, chi lo ha frequentato per decenni, può interpretarne davvero i messaggi. Ribadisco: il melonismo è un abitante del tunnel del neofascismo.

Oggi qual è la sua situazione professionale?

Dicono di me che ho vissuto come in un film, in un romanzo. Ho vissuto pericolosamente. Al riguardo vi sono due sentenze relative alla mia vicenda di giornalista professionista vittima di reato di tipo mafioso: la mia vicenda è stata raccontata più volte. In ogni caso, non si ha la visione esatta della mia professione giornalistica senza il riferimento alla politica. Ogni cosa di me, nel MSI e nei giornali, si spiega con la politica. Non esiste un “caso Palmesano” senza il riferimento all’impegno politico.

settembre 2017: l’on. La Russa in Parlamento

Rifarebbe tutto?

Certamente, senza esitazioni. Non ho mai rincorso la strada per il successo, per la carriera, per fare soldi, per diventare deputato, senatore o ministro. Quando entrai per la prima volta in una sezione del MSI, nel 1972, io cercavo di dare un senso alla mia vita, era una ricerca di significato. Da allora – nel mio atteggiamento di fronte alla vita – non è cambiato nulla. Non ho una visione borghese dell’esistenza.

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