Gli interessi di Israele
Davide Frattini è corrispondente per il Corriere della Sera dal Medio Oriente. Gli abbiamo fatto alcune domande su come vede la situazione attuale, dall’osservatorio privilegiato di Gerusalemme.
Davide Frattini, lei è corrispondente in Israele da molti anni. Come si vivono questi giorni di guerra nel paese?
In Israele c’è una grande comunità che in generale viene definita di russi, in realtà si tratta di immigrati provenienti dalle ex repubbliche sovietiche; in totale si stima che siano circa 1,2 milioni di persone. Tra queste, esistono poi gli ucraini, che hanno ancora parenti nelle città sotto i bombardamenti; per esempio l’attuale ministro Elkin. Con l’avvio della guerra tra Russia e Ucraina ci sono state manifestazioni di protesta a Tel Aviv, contro l’invasione russa; direi però che l’opinione pubblica ha preso posizioni più forti di quelle espresse pubblicamente dal governo.
Quali sono gli interessi israeliani coinvolti dal conflitto?
Certamente la presenza di tanti ex sovietici nel paese conta. Inoltre lo stesso Zelensky ha da subito riconosciuto a Israele un possibile ruolo di mediazione. Ricordiamo inoltre la buona relazione costruita da Netanyahu con entrambi i paesi, e confermata da Bennett, che giustifica anche il viaggio intrapreso lo scorso fine settimana in Russia. Infine, va ricordato che Israele ha i suoi interessi in Siria, dove compie azioni di contenimento dell’Iran. Ora, i cieli siriani sono sotto il controllo russo, in questi anni ci sono state continue comunicazioni tra russi e israeliani, e la Russia ha sempre consentito a Israele di muoversi in Siria.
Si tratta di interventi frequenti?
Ce ne sono stati centinaia. Ogni volta l’intelligence israeliana informa della cosa i russi. Vengono colpiti gli armamenti diretti ad Hezbollah, luoghi attorno a Damasco, o posizionamenti verso l’altura del Golan. È evidente che tutto ciò avviene perché la contraerea russa rimane in silenzio. Se Putin dovesse decidere di usarla, quelle operazioni non sarebbero più possibili.
Veniamo a questo incontro tra Bennett e Putin. Come se ne parla in Israele?
Diciamo innanzitutto che Bennett è andato accompagnato nell’incontro da Zeev Elkin, un suo ministro, che in realtà è un ebreo ucraino, nato a Karkhiv, una delle città più bombardate. Elkin ha accompagnato in passato anche Netanyahu, visto che parla il russo. La stampa israeliana dice che potrebbe essere stato un tentativo forse inutile, che però andava fatto. Tutti inoltre si sono stupiti dalla lunghezza del colloquio, durato circa tre ore, però con Putin è normale, spiegano analisti israeliani a lui piace dare lezioni di storia, e avrà certo ripetuto la sua propaganda. Infine, va detto che probabilmente l’incontro è stato coordinato con gli Usa, anche se non è chiaro se gli americani abbiano sostenuto l’iniziativa, o solo consentita.
Che posizione ha tenuto il governo israeliano sulla guerra?
Bennett e Lapid si sono spartire le parti. Lapid è stato il più duro, e ha insistito perché Israele votasse la risoluzione Onu di condanna della guerra. Bennett ha espresso solidarietà all’Ucraina, ma non ha mai nominato la Russia.
Non sono trapelati i contenuti dell’incontro con Putin?
No, così come non è chiaro se Zelenski e Bennett si siano parlati anche prima dell’incontro on Putin, perché le fonti del governo lo hanno smentito. È probabile però che si sia parlato anche dei negoziati sul nucleare iraniano.
Vorrei chiederle qualcosa anche della politica interna del governo Bennett.
Malgrado la formazione di governo sia molto eterogenea, perché mette insieme una coalizione che comprende la destra ma anche il partito arabo e quello di sinistra Meretz, finora è riuscito a tenere. Una delle chiavi fondamentali sarà vedere, nel 2023, se funzionerà l’alternanza con Lapid, che dovrebbe essere il nuovo premier. E poi bisognerà anche vedere anche le dinamiche interne al Likud. L’anno prossimo sono previste le primarie, sarà importante vedere se Netanyahu le vincerà, dimostrandosi ancora in grado di governare il suo partito. Se invece le perdesse, nel Likud si potrebbero rimescolare le carte, magari attraendo esponenti che oggi sorreggono il governo. Al momento però è ancora presto per fare previsioni. Sappiamo infatti che il Likud non ha una tradizione di “regicidi”.
E i laburisti?
La loro leader, Merav Michaeli, attualmente ministro trasporti, rispetto ad altre situazioni passate sta mantenendo l’identità del partito. Se però Lapid governerà bene, potrebbe erodere consensi al centrosinistra.
Qual è la politica che sta attando Israele con i territori confinanti?
In Siria, come ho detto, Israele ha fatto la scelta di compiere operazioni di contenimento dell’offensiva e delle mire espansionistiche iraniane. Significa che non consente il passaggio di armi, né avamposti iraniani. A Gaza invece c’è sostanzialmente una fase di stallo. Gli scontri sono ciclici, all’apparenza ora c’è calma, ma le cose non cambiano rispetto al passato: il confine con Egitto è chiuso, il varco c’è solo da Israele, Bennett sta cercando di mantenere lo status quo, ad esempio aumentando i permessi di lavoro per gli abitanti di Gaza. Con Ramallah [sede dell’autorità nazionale palestinese, n.d.a.] i negoziati invece non esistono più dal 2014, e ora la guerra in Ucraina ha spostato ogni interesse americano, Biden non ha più interesse a parlare con i palestinesi con la crisi in corso. L’intelligence israeliana nota tuttavia che aumenta il rischio di tensioni, anche perché Abu Mazen ha 85 anni, e non è chiaro chi potrà sostituirlo.
La guerra sta avendo ripercussioni sull’economia israeliana?
Lo sheqel ora è molto forte, e questo comporta che sta crescendo l’inflazione, ma l’economia continua a correre, Israele esporta soprattutto tecnologia, per cui la moneta forte non è un problema negli scambi commerciali. Semmai i problemi sono interni, perché il costo della vita sale. Il governo ha tentato di fare una manovra per calmierare i prezzi, perché vuole evitare la protesta generale contro il carovita del 2011. Tel Aviv comunque rimane una città delle più care al mondo.
Infine, sul fronte Covid, che novità ci sono?
Dal 1° marzo il paese è tornato ad essere aperto a tutti gli stranieri, con un semplice test negativo, anche se non si è vaccinati o guariti dal Covid. Se si considera che Israele è stato a lungo uno dei più chiusi, si tratta di una grande novità. Mentre all’inizio dell’ultima fase pandemica, quella di Omicron, si era pensato alla quarta dose, alla fine la si è applicata solo per alcune categorie a rischio, mentre al momento non è prevista una nuova vaccinazione di massa.
Leggi anche:
le bombe vicino alla tomba del Rebbe di Breslav
Una risposta
Lo stato Ebraico a da sempre un atteggiamento molto sereno con la Russia, anche perché come abbiamo letto sopra in Israele vivono un milione di Ebrei russi e mezzo milione di Ucraini.
Tutto ciò comporta alla direzione politica di assumere un atteggiamento equidistante.
Secondo un mio umile parere, lo stato Ebraico dovrebbe restare in finestra a guardare.
Anche perché come abbiamo potuto vedere nei tg nazionali , dopo il tentativo di Bennet di recarsi in Russia nello schabat( per chi non lo sapesse, lo schabat per gli ebrei è un giorno sacro), ci sono stati giornalisti ( infami) che hanno usato alla prima occasione, la leva dell’anti isralianeta’ con la CATTIVERIA di dire che il primo ministro Bennet, era andato in Russia da Putin, per fare shopping!!!
Quindi reputo che lo stato Ebraico debba osservare un basso profilo per continuare a pensare in primis in assoluto, alla sua sicurezza!!!