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La democrazia, senza etica, non è garanzia di libertà

Haim Baharier, psicanalista, saggista e fine talmudista, ci aiuta a orientarci in un mondo che sembra cambiare sempre più in fretta

Haim Baharier

Maestro Baharier, nel suo intervento al festival Wired di Milano, lo scorso 7 ottobre, lei ha parlato di democrazia. In Occidente viviamo un tempo diviso tra una guerra e gli effetti della pandemia. Dopo circa due secoli dalla sua affermazione, come giudica lo stato di salute della democrazia?

Alla sua domanda risponderei, da buon ebreo, con una domanda: chi sono per poter giudicare lo stato di salute della democrazia? E soprattutto in Occidente… In Israele la campagna elettorale è stata infervorata: gli ortodossi temevano la trasformazione delle connotazioni intrinseche dell’identità israeliana, in particolare volevano preservare lo Shabbat: questo non ha a che fare con la religiosità, ma sottolinea la capacità di accoglienza di una nazione, e dunque una riuscita dell’identità collettiva. Non possiamo dimenticare che Abramo, destinato a diventare una nazione sulla sua terra, non ha ubbidito all’Ad(o)nai quando gli è stato detto: “Lekh Lekhà”, cioè “vai da solo”. Invece, partendo e portando con sé migliaia di ‘convertiti’ al monoteismo, Abramo non ha creato un’identità, una nazione, ma ha cominciato un viaggio senza raggiungere la meta che ancora oggi è lontana per noi.

la Knesset, il Parlamento israeliano

Per quanto riguarda la democrazia in senso stretto, la Torah insegna: «Quando entrerai nel paese che il Signore tuo Dio sta per darti (…) qualora tu dirai: “Io porrò su di me un re (…)”, allora ti ingiungo di mettere ‘sopra di te’ un re» [Devarim 17, 14]. È un’espressione curiosa, perché la formula («qualora tu dica: “Io porrò su di me un re (…)”»), sembra alludere a una mitzvà. Mi domando, che tipo di mitzvà? Sembra essere ipotetica – come quella che impone di coprire il sangue dell’animale macellato [Vajkrà 17, 14]: “Si coprirà il sangue solo se c’è un animale macellato”, anche perché il verbo utilizzato non è duro, dabber, ma più dolce, emor. “Dire” nel linguaggio biblico è creativo, è un “dirò”, cioè richiede una pratica creativa. La Torah pone una condizione soltanto, che il re “sia sopra di te”, e questo significa porre sopra tutto una riserva dei valori. E fin qui siamo nell’etica. Storicamente parlando, invece, quando più avanti il popolo avrebbe effettivamente chiesto a Samuele un re, il profeta non capì e si offese. Fu Ad(o)nai stesso che lo invitò a non prendersela. Il profeta, il mediatore della parola divina è una figura transitoria, perché tutti dovranno innalzarsi al livello di sentire l’Ad(o)nai senza intermediari, mentre il re, che deve rappresentare tutti, e dunque incarnare l’identità di un popolo, nella sua carica è perenne.

il parlamento italiano

Può approfondire questo punto?

Credo che la forma di governo sia relativamente indipendente dagli ideali e dall’identità del popolo: una forma di governo vale l’altra, sosteneva Aristotele. Altra domanda: la democrazia è lo strumento di cui parla la Torah? Lo chiama “Melekh”, re, e se stesse parlando di democrazia, ossia una forma di governo rappresentativa? L’ebraismo è un’identità, è una democrazia di sangue. Credo sia fondamentale comprendere che, al di sopra del popolo e della nazione, c’è bisogno di valori. La democrazia, in sé, non è un valore ma uno strumento e come tale alternativo ad altri. I valori devono esser definiti da persone di cui si ha fiducia; possono essere profeti, maestri, studiosi, donne e uomini noti per la loro dimensione morale. Se i valori venissero depositati da queste persone riunite in assemblea, allora la democrazia potrebbe essere lo strumento per fondare tali valori e dar loro una reale consistenza.

Proclamazione Stato Israele
Ben Gurion proclama la costituzione dello Stato di Israele (17 maggio 1948)

Possiamo fare un esempio?

Come poter far rispettare il diritto delle minoranze e anche della minoranza parlamentare? È di nuovo un problema etico, sull’equilibrio tra minoranza e maggioranza. Da un lato, le minoranze individuano i limiti per loro irrinunciabili che la maggioranza si deve dare; dall’altro, la maggioranza deve esprimere il limite al di sotto del quale non accetta di andare. Il limite ci porta in una dimensione etica. Lo strumento della democrazia non è avulso da problemi etici, ma da solo non partorisce valori.

Lei ha indicato una lettura che merita di essere esplorata: “democratico”, sottolinea, ha al proprio interno l’assonanza con “etico”. È possibile una democrazia senza etica?

È certamente possibile, ma temo non sarebbe una buona democrazia. Mi piacerebbe che, per poter diventare rappresentante del popolo, si dovesse superare un severo esame etico.

Liliana Segre, senatrice a vita, ha inaugurato la XIX Legislatura in Senato

Tuttavia, se poniamo l’etica alla base delle scelte di un paese democratico, cioè se diciamo che la “cosa pubblica” deve andare in mano al “buon padre di famiglia”, allora non rischiamo poi di rinunciare alla laicità dello Stato?

Ancora una volta rispondo con una domanda: chi è un buon padre o una buona madre di famiglia? Chi è un buon marito o una buona moglie? Se diamo risposta a questa domanda, allora possiamo credere che è il buon padre e il buon marito, o la buona madre e la buona moglie, a essere in grado di concepire cosa è bene anche per una nazione, composta a sua volta da buoni padri e buoni mariti e buone madri e mogli, e così via… Più in generale: perché mai il fatto di essere una buona persona non dovrebbe avere un peso? Parliamo di possedere valori come lealtà, visione, capacità di confrontarsi verso il futuro… È questo che fanno i buoni genitori: prestano attenzione all’altro, cercano di ascoltare e comprendere. Bisogna tenere conto che nel percorso che porta all’identità collettiva c’è sì l’identità familiare ma è una tappa. Scegliere persone che incarnano, o credono in questi valori, non sarebbe affatto una condizione trascurabile per scegliere chi ci rappresenti.

Secondo l’IHRA, (International Holocaust Remembrance Alliance, l’organizzazione internazionale che combatte l’antisemitismo) c’è un chiaro collegamento tra i discorsi di negazione/distorsione della Shoah e l’attacco alla democrazia. Lei concorda?

l’IHRA è l’organizzazione intergovernativa contro il negazionismo e la disinformazione, a difesa della memoria della Shoah

Posso solo commentare che recentemente [nella trasmissione Uomini e profeti, trasmessa da Radio Tre il 30 ottobre] ho affrontato questo punto in riferimento al Mabul, il diluvio, che io concepisco non come una punizione, ma come una “sanzione”.

Cosa intende?

Fra le cause del diluvio ne sono indicate tre: avodà zarà (idolatria), araiòt (immoralità sessuale), ghezèl (rapina). Rashi, il noto grande Maestro francese del Medioevo, sostiene che la sentenza (del diluvio) non è stata pronunciata se non a causa della rapina. Ossia, nulla è più grave della rapina, nemmeno la violenza sessuale e l’idolatria. Il diluvio ha portato via per ben tre volte 60 centimetri dalla superfice terrestre, perché la terra stessa era stata corrotta. Cosa intendiamo per rapina? Per estensione significa sottrazione, estorsione violenta della cosa altrui. In ebraico è chiamata hamas: ed è la violenza realizzata appena sotto la soglia della punibilità, dunque al confine con la legalità…

Se è la terra che è stata corrotta, forse bisogna interpretarlo come un problema di inquinamento. E la Torah parla delle acque superiori, che hanno forma, e di quelle inferiori che hanno la forma del contenitore. Dunque, con il diluvio (quando le acque superiori si rovesciano su quelle inferiori) si tratta di dare forma, cioè un nuovo senso, al mondo.

Il Mabul sembra insomma parlarci del problema ambientale che dobbiamo affrontare oggi.

La soluzione alla distruzione attuale della terra non è solo una questione di norme e – per tornare alla “rapina” – l’inquinamento è realizzato sulla soglia dei limiti stabiliti dalla legge.

Questo ha a che fare con la Shoah e il negazionismo?

Cos’è la Shoah? È l’abisso, qualcosa che ha a che vedere con la fine della fine, il ritorno all’inizio, il tohu va bohu. Dobbiamo capire che ciò che è la Shoah per gli ebrei non può esserlo per il resto dell’umanità. Al tempo del voto per il giorno della memoria, feci una conferenza al teatro Franco Parenti spiegando che una data specifica per ricordare era inutile, che non era un problema nostro, di noi ebrei, ma di tutti gli altri. Noi ebrei avevamo il problema di comprendere il significato della Shoah, e questo riguarda solo l’identità ebraica. Gli attacchi alla Shoah, il negazionismo, è la reazione normale alla memoria celebrativa.

Cosa intende?

l’ultimo libro di Haim Baharier: “Il cappelo scemo”, Garzanti

Noi non possiamo sostituirci all’esame di coscienza che deve fare l’Occidente cristiano, che si è permesso di annettere il giudeo – tant’è che si parla di “radici giudaico-cristiane” – ma che non c’entra niente con l’ebreo. Il negazionismo nasce da questa invenzione della Shoah come giornata dedicata. Noi ebrei abbiamo la Shoah menzionata già nel libro di Shemot: «E armati uscirono i figli di Israele dall’Egitto». Alcune interpretazioni si fondano sulla traduzione “armati”, ma la stessa parola può essere tradotta anche come “ridotti a un quinto”. Cioè, solo un quinto del popolo è uscito dall’Egitto, perché il resto è rimasto ed è morto durante la piaga della Tenebre. Per questo le storie della Shoah mi sono estranee, e rigetto il giorno, un giorno, della Shoah. I conti che deve fare l’Occidente cristiano per le decine di milioni di morti non sono ancora stati fatti, ed ecco che il negazionista attacca come può la democrazia. Io non ho nulla da rispondere a un negazionista. “Con i fascisti non si discute”, diceva il Sandro Pertini partigiano. Neppure con i negazionisti, aggiungo io. Noi abbiamo dato in pasto la Shoah a coloro che sono stati complici di essa.

Haim Baharier in uno dei suoi incontri-lezione

È mai stato ad Auschwitz?

L’ultima visita ad Auschwitz è stata qualche anno fa con un mio allievo austro-italiano. Su richiesta di mia madre, che prima di morire, mi ha detto: “Vai al blocco 53”, dov’era stata lei. Non si può visitare il campo di concentramento senza guida: questa persona abitava a una decina di chilometri da lì, e tra le cose che ci ha raccontato ha menzionato i propri genitori che ovviamente “non sapevano nulla”, e che tra tutti i morti di Auschwitz “c’erano stati anche ebrei”. Ecco perché dico che l’Europa è complice e ancora deve fare i conti, elaborare le proprie responsabilità, e non sta certo a noi aiutarla. Il cristianesimo è totalmente estraneo al giudaismo.

Una minoranza, come quella ebraica nel nostro paese, che contributo può dare alla democrazia?

Innanzitutto, secondo i maestri della Qabbalà la diaspora di Israele subisce l’esilio per poter raccogliere e far germogliare le scintille disperse della creazione. In altre parole, l’identità ebraica, diasporica, è quella che deve raccogliere i volti, cioè gli insegnamenti, disponibili tra i settanta popoli. Il mio pubblico è quasi tutto non ebreo: è questo che possiamo dare all’umanità. Si tratta di trovare il linguaggio corretto, proprio come dopo il Mabul – del resto le misure dell’arca sono lashon, ossia “linguaggio” –. Occorre riuscire a esplicitare, in un linguaggio accessibile, il percorso identitario ebraico, riuscire a dire che l’ebraismo è tutto meno che una religione, che non ha niente a che vedere con il cristianesimo, senza offendere nessuno. Questo può essere il nostro contributo alla democrazia. Noi siamo meno di una minoranza, siamo anagraficamente insignificanti, perciò quello che possiamo fare, e che alcuni già tentano di fare, è riuscire a proporre i valori dell’ebraismo, approfondirli e vederli attuati; presentarli in una lingua accessibile a tutti. Anche agli ortodossi ebrei, che non è impresa facile…

Come vede il prossimo futuro della democrazia italiana?

Conosco davvero l’Italia? Non sono mai andato troppo lontano da Milano…Non sono un politologo, né un sociologo. Potrei dire che dobbiamo darci il tempo per capire e aggiungere che, per difenderci dai pericoli, occorre sapere che voler prevedere il futuro significa non capire cos’è il futuro.

E cos’è il futuro?

Appunto, il futuro è imprevedibilità, per cui noi dobbiamo concentrarci a migliorare il presente.

Come si fa?

il Teatro Parenti

Per esempio parlando ai giovani. Nel gennaio prossimo farò una conferenza su democrazia e valori al teatro Franco Parenti; mi piacerebbe poter rivolgermi a un pubblico formato da ragazzi, studenti di liceo – proprio come è successo alla conferenza di Wired -, non solo a un pubblico cosiddetto maturo. Mi rendo infatti conto che i giovani sono sempre attenti, curiosi, e hanno ancora la capacità di sorprendersi. Nel periodo peggiore del lockdown – sono sempre uscito, non riesco a stare rinchiuso – ero con un mio allievo vicino al Piccolo teatro e tre ragazze, riconoscendomi, si sono lamentate perché in alcune mie lezioni in zoom non avevo introdotto l’incontro con la mia solita melodia “Da di dai”… Un piccolo dettaglio che mi ha colpito e che mi fa ripetere che bisogna parlare a loro, ai giovani, che il futuro della democrazia sono loro.

A proposito di musica. Qui non possiamo cantare, però forse ci possiamo lasciare con qualche parola leggera…

un’altra immagine di Haim Baharier

La musica, l’ironia, sono strumenti di comunicazione validi. Un anziano Hassid si reca dal maestro di Gur, tremendamente cinico e ironico, e gli dice lamentandosi: “Maestro, ho appena festeggiato 70 anni, ho letto che a 70 anni arriva la vecchiaia…sono finito”. Il maestro lo guarda e gli risponde: “Non mi preoccuperei. I nostri maestri dicono anche che a 40 anni l’uomo arriva all’intelligenza, ma come vedi a te non è successo…”.

(in primo piano: immagine dell’Assemblea costituente, 1946)

Leggi anche: la claudicanza  si iscrive nella tradizione di Israele

2 risposte

  1. Non posso non condividere quanto qui affermato. Sono pensieri profondi e difficili, ma se approfonditi e applicati permettono di costruire un mondo giusto . Permettono, non permetterebbero. Si può fare anche subito. Ci vuole tanta umiltà e tanta intelligenza. Grazie al Maestro Baharier per le sue parole.

  2. si, ho fatto fatica a capire tutto a una prima lettura. Dovrei approfondire meglio il personaggio. Con le sue parole sono d’accordo sopratutto quelle riguardanti la Shoah che non è un problema nostro, ma dell’occidente che ci ha fatto fuori in modo così brutale. Sono anche d,accordo sull’ebraismo che non è una religione, ma altro, molto altro. Sono d’accordo sul fatto che i buono padri e le buone madri devono formare il popolo della democrazia, cioè lavorare democraticamente, tenendo conto anche delle minoranze, magari meno portate alla condivisione.

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