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Israele, Europa, Usa: il mondo in bilico

Dalla guerra a Gaza alle prossime elezioni europee, fino a quelle di novembre negli USA, viviamo un tempo di lacerazioni e confusione. Ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino 

Professor Pasquino, tra poco entreremo nel terzo anno di guerra in Ucraina mentre a Gaza si combatte da oltre quattro mesi. Qual è il suo giudizio sugli equilibri geopolitici che interessano così da vicino all’Europa?

Gianfranco Pasquino è professore emerito di Scienza politica e Socio dell’Accademia dei Lincei

Le guerre sono sempre un problema per tutti, e quindi anche per l’Unione europea e per i singoli Stati che ne fanno parte, che devono decidere come riuscire a difendere l’Europa e favorire l’avanzamento della democrazia nei paesi non europei. Sappiamo infatti che le democrazie non si fanno guerra tra loro. Per raggiungere tali obiettivi occorre un cambiamento culturale, importante ma non straordinario, visto che la stragrande maggioranza dei cittadini europei condanna ogni forma di aggressione e di violenza non giustificabile, ed è favorevole all’avanzamento della giustizia sociale. Questo, in concreto, significa che è necessario investire in una difesa comune, anche per evitare le conseguenze negative di una possibile elezione di Trump a novembre, il quale non è certamente interessato alla difesa dell’Europa.

La guerra di Hamas d’Israele e la reazione israeliana ha prodotto reazioni conseguenti nel campo politico italiano innanzitutto. Come giudica la posizione del governo?

Israele da circa 4 mesi conduce l’azione militare a Gaza contro Hamas

Io credo che Giorgia Meloni e alcuni altri componenti dell’esecutivo abbiano preso la posizione giusta: quella di sostenere il diritto di Israele a esistere e a difendersi da tutti coloro che lo attaccano, auspicando la scomparsa dello Stato ebraico “dal fiume al mare”. Anche io credo che Israele stia esercitando un suo diritto, anche se naturalmente possiamo discutere le forme con cui lo sta esercitando – come, in passato, si può discutere la scelta di allargare i suoi confini. Ma ritengo che noi europei dovremmo sempre sostenere la difesa dello Stato ebraico, anche perché non dobbiamo dimenticare le nostre colpe durante il genocidio nazista. Per questo ritengo che lo Stato italiano abbia fatto bene, anche perché nel panorama italiano si sono registrate posizioni, seppure minoritarie, che guardo con pericolo, del tutto sbagliate da un punto di vista politico e storico, che per difendere i diritti dei palestinesi sostengono di fatto il terrorismo di Hamas.

Sul fronte opposto, come valuta la politica estera del Movimento 5 stelle?

Giuseppe Conte e Abu Mazen nel 2019

Il problema del Movimento 5 stelle è che, semplicemente, non ha una politica estera. Mi sembra invece infatti che ogni dichiarazione sia finalizzata, più che a disegnare una strategia geopolitica, a marcare la diversità verso gli altri competitor. Inoltre il movimento paga il prezzo di non avere esperti di strategia in grado di saper orientare le scelte del leader politici, per cui l’impressione è di un movimento che, trovando il sostegno in alcune frange sociali, resta sempre privo di ogni capacità di influenzare gli avvenimenti.

I conflitti in Medioriente, da sempre, dividono anche la sinistra. Come ne pensa della posizione del Partito democratico sulla guerra a Gaza?

Premetto che io non sono mai stato iscritto al Partito democratico, essendo uscito dai democratici di sinistra nel 2007, non appena sentii Piero Fassino dichiarare che sarebbe nato il Partito democratico. Detto questo, nel complesso mi sembra che l’attuale posizione del Partito democratico sia chiara nel riconoscere sia il diritto di Israele a esistere che quello a difendersi, perché naturalmente senza quest’ultimo anche il primo non è sostenibile. Certo, nella sua storia politica ci sono momenti di ambiguità, perché storicamente la sinistra ha sempre offerto un sostegno acritico ai palestinesi, senza mai domandarsi però chi fosse il loro referente politico. Scomparso Arafat, infatti, e con una ANP che ha dimostrato né di essere un interlocutore politico né di essere estranea ad accuse di corruzione, è l’intera sinistra democratica europea a dover rielaborare la propria posizione riguardo al Medio Oriente e in particolare a Israele. Io mi auguro, ad esempio, che tale rimeditazione riguardi anche la valutazione in generale del comportamento degli Stati arabi, che certamente non si sono mai schierati in maniera chiara ed efficace a favore dei palestinesi.

Elly Schlein

In effetti il rapporto fra la sinistra e Israele è a dir poco problematico, almeno dal 1967. Secondo lei è arrivato il momento perché quelli elaborazione che lei auspica venga realizzata?

È molto difficile dirlo. Credo che, in generale, ciò sarebbe possibile nel caso in cui si riesca ad avviare un dibattito aperto, in cui ciascuno porti la propria posizione, ma sia disposto a convergere verso una posizione comune. Ad esempio, mi domando se oggi sia ancora possibile la formula dei due Stati per due popoli.

Perché?

“Libertà inutile ” (Utet, 2022) è uno degli ultimi volumi del prof. Pasquino

Se vedo come i paesi arabi hanno realizzato gli Stati nazionali dal dopoguerra a oggi, mi vengono molti dubbi che sia una formula sostenibile. Guardi la Siria, o il Libano. A volte penso che bisognerebbe trovare una soluzione innovativa, come quella ad esempio sostenuta da Kant, ossia una Confederazione. Naturalmente, la soluzione del genere dovrebbe assicurare il pieno esercizio dei diritti da parte di ciascuno, e impedire l’affermazione di una posizione dominante. La realtà è che la situazione dell’area è estremamente complicata. Ma, per tornare alla sua domanda, Io credo che la sinistra italiana debba porre il problema all’interno del partito socialista europeo e del Parlamento europeo, l’unico luogo dove è possibile difendere le proprie idee e sperare di trasformarle in pratiche politiche concrete.

Come spiega l’atteggiamento della destra italiana che da un lato è a favore di Israele ma dall’altro si allea con gli estremisti di AFD, Le Pen e Orbán, che hanno più volte manifestato opinioni antisemite?

manifestanti contro le torture in Siria

Certamente dietro Giorgia Meloni ci sono posizioni di seconda e terza fila, ma forse anche di prima, che mal si conciliano con l’affermazione della difesa di Israele. Certo, la premier con la sua azione è riuscita fino adesso a tenere lontana dal centro dell’attenzione queste zone di ambiguità. Il suo pregio, e la sua forza, è che siccome tutti hanno bisogno di lei per continuare a restare al governo, lei riesce a mettere a tacere le posizioni più ostili a Israele, sebbene neppure lei riesca a eliminare del tutto tali ambiguità. Penso a Salvini, e al suo opportunismo spregiudicato, che lo fa filtrare con movimenti neonazisti. Ma penso anche alla stessa Giorgia Meloni, che non è del tutto immune da questo rischio: basti vedere i suoi rapporti col movimento di destra spagnolo Vox. Per non parlare di Orbán. C’è dunque anche a destra la forte necessità di una pulizia concettuale che si traduca conseguentemente poi in una linea politica. La forza della destra, per così dire, è che siccome anche a sinistra sussistono zone di ambiguità, la destra riesce a nascondere le proprie.

Matteo Salvini e Marie Le Pen

Dopo il 7 ottobre abbiamo assistito a una nuova ondata di antisemitismo. Come giudica la persistenza di tale pregiudizio così radicato contro Israele?

Quando abbiamo dei pregiudizi dobbiamo sempre preoccuparci. Tanto più che sono passati più di ottant’anni dalle leggi razziali e ancora non abbiamo fatto del tutto i conti con quel passato. Mi sembra che è come se la nostra democrazia avesse rinunciato a democratizzare completamente l’intera società, lasciando che alcune sue parti potessero rifiutarsi di riconoscere gli errori del passato. Inoltre, va detto che nel carattere dell’italiano medio c’è una generale tendenza a mettersi sempre dalla parte del più debole, e certamente nell’immaginario collettivo fra Israele e palestinesi questi ultimi sono i più deboli. Anche se, per quel che riguarda il conflitto tra Ucraina e Russia, dove è evidente chi è il soggetto più debole, stranamente c’è una parte della popolazione italiana che tiene per la Russia.

Come valuta la campagna di boicottaggio contro Israele richiesta da migliaia di accademici italiani?

anche in molte Università italiane si sono registrate attività ostili a Israele

La giudico molto negativamente, perché in generale non si dovrebbero mai boicottare gli scambi culturali e le università, luoghi in cui si forma il confronto reciproco. Giudico quindi quell’azione come una provocazione, e la lettera come una stupidaggine sbagliata e neppure originale, dal momento che periodicamente le università inglesi annunciano sempre boicottaggi nei confronti delle università israeliane. Mi sembra insomma che questi accademici si siano mostrati privi di cultura.

 A suo modo è possibile per seguire una selezione diplomatica al conflitto in medio oriente?

Credo che l’Europa debba essere più attiva, così come dovrebbe esserlo anche l’ONU, anche se in realtà mi pare ormai che il suo segretario generale Guterres sia fuori dai giochi, perché dopo alcune sue sciagurate dichiarazioni gli israeliani non possono più considerarlo un interlocutore attendibile come mediatore in futuri negoziati. Si potrebbe sperare negli Stati Uniti e nella Cina, ma al momento una tale iniziativa ancora non si vede. Forse si potrebbe tentare una strada inaspettata.

Quale?

il Sudafrica ha citato Israele per violazione della convenzione sul genocidio

Premesso che non credo che il Papa possa svolgere un’attività di mediazione, anche se apprezzo i suoi accorati inviti alla pace, potremmo ad esempio immaginare un’azione dei premi Nobel della pace, purché naturalmente sostenuti da un’efficace supporto organizzativo.

Cosa pensa dell’accusa mossa dal Sudafrica Israele di genocidio?

Francamente non ho capito le motivazioni politiche di questa operazione. Non ho capito che utilità il Sudafrica poteva ottenere da un’azione così infondata. Forse voleva solo ritagliarsi un ruolo più importante all’interno dei Brics, ma, a parte questo, credo che l’accusa certamente non abbia aiutato un percorso di pace.

A giugno si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. C’è il rischio di un avanzamento delle destre?

Giorgia Meloni e Viktor Orban

Innanzitutto mi faccia dire che l’Europa resta il più grande spazio geografico e politico di libertà, dove centinaia di milioni di persone periodicamente sono chiamate a rinnovare direttamente il Parlamento e indirettamente la commissione europea. Credo che non dovremmo dimenticare che il più grande omaggio alla democrazia alla libertà europea lo fanno i tanti migranti che, a costo della loro vita, tentano di entrare nel nostro continente, anziché rivolgersi ad altre parti del mondo. Detto questo, la mia esperienza, di un uomo che è vissuto molto in Europa, in parte anche negli Stati Uniti e in Sud America, mi fa vedere il futuro senza eccessivi allarmismi, anche se con preoccupazione. La situazione politica è ancora fluida: i conservatori europei, dentro cui risiede Fratelli d’Italia, stanno tentando l’intesa con il gruppo dei Popolari, ma va ricordato che l’Europa è frutto di una maggioranza diversa, che va dai Popolari ai Liberali, ai Verdi e ai Socialisti. In generale mi auguro che l’Europa sappia presto avviarsi verso un progetto di maggiore intesa, ossia di una vera e propria Federazione politica europea. In questo sono da sempre convintamente legato alle posizioni di Altiero Spinelli.

A novembre si voterà anche negli Stati Uniti, e prima in Russia e India. Come crede che sarà il mondo fra alla fine di quest’anno?

Narenda Modi, premier indiano

È difficile dirlo. Partendo dalla Russia, essa certamente non è un paese democratico, e neppure un regime ibrido. Io lo considero un regime autoritario, dove un uomo solo al comando decide le sorti di un intero paese; mi domando cosa stiano aspettando i circa 400 oligarchi che vivono in Russia a intervenire, perché questa guerra è evidente non porterà nessun beneficio concreto alla Russia, che resta un paese in declino. Per quel che riguarda l’India, mi auguro che Modi non ottenga un largo successo, perché la sua politica di intolleranza verso le altre confessioni religiose, in particolare quelle islamica, non depone a favore del futuro. Ho invece un’enorme preoccupazione per quel che avverrà negli Stati Uniti. La vittoria di Trump infatti cambierebbe la storia del mondo in modo peggiore. Credo che gli americani abbiano a lungo creduto che le istituzioni repubblicane sarebbero state in grado di arginare un fenomeno come quello trumpiano e che ora finalmente si siano resi conto che invece Trump è in grado di travolgere la democrazia americana. Sono perciò preoccupato perché, nonostante tutto, i sondaggi danno non solo un testa a testa fra Biden e Trump, ma quest’ultimo in leggero vantaggio. Ecco quindi il mio triste timore.

(nell’immagine di copertina: Emanuel Macron rende omaggio alle 42 vittime francesi degli attacchi di Hamas del 7 ottobre)

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