Il negazionismo è preoccupante
Dopo Miguel Gotor e Alberto Cavaglion, anche Gadi Luzzatto Voghera (Direttore del CDEC: Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea) prende posizione contro i rischi di negazionismo.
Cosa ne pensi del progetto di legge di Fratelli d’Italia, che equipara il negazionismo delle foibe a quello della Shoah?
Sono molti anni che nella destra politica italiana si è innescata una sorta di competizione sul ruolo della “vittima”. Non sono rari i casi in cui amministrazioni hanno proposto in eventi pubblici unificati il Giorno della Memoria delle vittime della Shoah e la Giornata del Ricordo delle vittime delle Foibe, come se il tema fosse lo stesso. Siamo di fronte a un evidente uso pubblico – e distorto – della storia. Quando il Parlamento italiano ha deciso di istituire il Giorno della Memoria ha indicato con chiarezza che l’obiettivo non era la celebrazione, ma l’avvio di un lavoro culturale continuo fatto di studio, di conoscenza storica, di contestualizzazione e di rappresentazione. Il negazionismo nel caso della Shoah ha assunto negli anni una piega preoccupante (in alcuni casi con evidenti ricadute penali) tanto da spingere numerosi paesi ad approvare normative specifiche per contrastarlo. Al contrario, non si può dire che esista un negazionismo in relazione alla tragica vicenda delle Foibe. Chi si pone in maniera critica su quegli avvenimenti lo fa in maniera molto esplicita, contestualizzando la storia dei massacri di civili ai confini orientali italiani evitando di relegarli alle sole settimane del maggio-giugno 1945 ma estendendo il tutto – io credo in maniera legittima – anche alle dinamiche dell’occupazione italiana di ampie aree della Jugoslavia.
Fratelli d’Italia è un partito che al proprio interno non nasconde simpatie, e in alcuni casi vere adesioni, all’ideologia fascista. Secondo te l’operazione di accomunare Shoah e foibe nasconde anche un tentativo di riscrivere la storia?
Certamente sì. E in questo senso i responsabili sono tanti. Di certo è evidente l’attuale tentativo di strumentalizzare e piegare la storia alle esigenze politiche immediate. D’altra parte per troppo tempo la storia sia della Shoah, sia delle Foibe, è stata scritta rispondendo a vulgate di comodo e imponendo troppi silenzi. Per decenni lo sterminio degli ebrei e lo stesso antisemitismo di stato italiano sono stati insegnati come il frutto della sola ideologia nazista, alla quale gli italiani “brava gente” si sarebbero assoggettati senza veramente esserne coinvolti. E allo stesso modo la vicenda delle Foibe è stata espulsa colpevolmente dai manuali di storia e una certa retorica dell’antifascismo ha fatto velo a più complete e necessarie analisi sui contrasti che animarono quegli anni tragici.
Più in generale, il nostro paese sembra non avere mai fatto i conti davvero col passato. Quali sono a tuo avviso le ragioni storiche e culturali di tante reticenze?
Vi è un evidente ritardo rispetto a rielaborazioni più coraggiose che abbiamo visto in altri paesi. Penso alla Germania in particolare. Io credo che gran parte della responsabilità sia da addebitarsi a un processo di unificazione nazionale ancora incompiuto. Il divario Nord-Sud, non solo socioeconomico ma anche in relazione alle esperienze storiche, è ancora assai profondo. La stessa esperienza della guerra è stata vissuta in modi e con tempi differenziati. Una guerra finita per il sud Italia nella tarda primavera del 1944 è proseguita con una guerra civile al centro nord per quasi un anno, punteggiata da deportazioni, stragi, regolamenti di conti. Il risultato dello stesso referendum monarchia-repubblica ne fa testimonianza. Noi siamo una repubblica solo perché sono più numerosi gli abitanti del nord Italia, che votarono compattamente per questa opzione nel 1946. Per questo motivo credo sia ancora difficile fare i conti con il passato (cioè con l’Italia fascista e la sua eredità) in maniera unitaria. Ed è per questo che siamo ancora ben lontani dal concepire un – necessario – museo dell’Italia fascista.
Sullo stesso tema, puoi leggere il parere di Miguel Gotor e di Alberto Cavaglion
Per vistare il Cdec: leggi qui