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I guardiani contro le menzogne

Prosegue il dibattito su Riflessi riguardo la proposta di Fratelli d’Italia di equiparare Shoah e foibe: la parola ad Alberto Cavaglion.

Professor Cavaglion, come interpretare il recente tentativo di Fratelli d’Italia  per equiparare il negazionismo delle foibe a quello della Shoah?

Questa operazione rientra nello spirito revanscista del partito dei Fratelli d’Italia. La cosa ha un evidente carattere strumentale, ma dovrebbe sorprendere coloro che, anche all’interno del partito, credono che l’on. Meloni fondi la propria identità sull’idea di uno Stato forte. Qui sta il paradosso – e si smaschera un po’ l’inganno. I negazionisti (della Shoah, ma non solo) non andrebbero perseguiti per legge, lo penso da molto tempo. Tocca agli storici contestare le menzogne. I politici facciano bene il loro mestiere. Dal mio punto di vista uno Stato che legifera sulle interpretazioni della Storia punendo o mandando in carcere coloro che negano la Shoah o le foibe si dimostra uno Stato debole,  una democrazia impaurita, incapace di difendersi, proprio il contrario di quello Stato forte che credo abbia in mente l’on. Meloni.

Come interpreta, in generale, il percorso politico del partito di Giorgia Meloni? Secondo lei l’operazione di accomunare Shoah e foibe nasconde anche un tentativo di riscrivere la storia?

La sinistra, i suoi storici di riferimento hanno uno strano rapporto con l’on. Meloni. Pensano di combatterla e sottrarle consensi insultandola o prendendola in giro adesso che ha pubblicato un best seller. Così anche i giornalisti che la intervistano non affrontano una domanda cruciale: che cosa pensa Fratelli d’Italia della svolta di Fini? Sottoscriverebbe la Meloni la frase sul fascismo Male assoluto? Credo di no, o per lo meno penso che sia contenta che nessuno glielo chieda. Che cosa direbbe se, come mi auguro, andasse un giorno a Gerusalemme a visitare Yad Va-shem? Un suo discorso alle Fosse Ardeatine? Su questo punto a me pare molto reticente e non è un buon segno, ma, di nuovo, questo non riguarda un suo malcelato tentativo di riscrivere la storia. Semplici ragioni di opportunismo politico. Chi fa mestiere di storico è invece chiamato a evitare facili paragoni fra avvenimenti diversi come diversi sono la Shoah e le foibe e tanti altri eventi che oggi vengono paragonati alla Shoah. Su questa brutta abitudine ai facili paragoni ho scritto nel mio ultimo libro un paio di paragrafi che mi viene comodo riportare qui, mettendo in evidenza che la politica dei facili paragoni è un male diffuso anche fuori dei confini di Fratelli d’Italia:

“Decontaminare le memorie” (ADD editore, 2021) è l’ultimo libro di Alberto Cavaglion

La semplice registrazione e le commemorazioni di singoli eventi non sono di nessuna utilità se disgiunte dalla fatica di illuminare il contesto e comprendere per intero il significato di un avvenimento, la biografia di un personaggio, la dimensioni di un atto criminoso. Tanta ingenuità l’abbiamo riscontrata nel raffronto tra le immense tragedie del XX secolo: la similitudine fra le vittime dei Lager e quelle dei Gulag ancora oggi è un ingombro che atterrisce gli storici contemporaneisti e di recente ha costretto a spericolati equilibrismi il parlamento di Bruxelles in una dichiarazione ufficiale che ha fatto molto discutere; altrettanta ingenuità si è vista, su scala minore, tra chi ha cercato denominatori comuni fra la Shoah e le foibe, ma la si è vista all’opera anche nell’omologare, sotto l’etichetta del cattivo italiano, il comportamento dei nazifascisti e le violenze commesse dallo Stato post-unitario contro il brigantaggio oppure nel confronto fra le camere a gas hitleriane e i gas adoperati da Graziani in Africa. Il cammino degli uomini è saturo di episodi orrendi, fare di ogni erba un fascio non giova a nessuno, soprattutto non aiuta a capire se un episodio faccia parte di una semplice contingenza, dipenda da una guerra civile, da una crisi economica oppure corrisponda organicamente alla natura di un sistema di potere come è stato il nazionalsocialismo, che della violenza aveva fatto la sua regola. Non sono questioni che si possano mettere tutte sullo stesso piano.

Più in generale, il nostro paese sembra non avere mai fatto i conti davvero col passato. Quali sono a suo avviso le ragioni storiche e culturali di tante reticenze?

Non vi è dubbio che il nostro paese ha tardato troppo a fare i conti con le tragedie italiane del Novecento. Sulle foibe e l’esodo friulano c’è stato uno scandaloso silenzio dettato da ragioni politiche precise, anche sull’antislavismo dei triestini e dei goriziani s’è parlato pochissimo quando era già un’emergenza sociale ai tempi di Saba e di Svevo, assai più grave dell’antisemitismo primonovecentesco, secondo me. Più generalmente il ritardo ha pesato nel non prendere atto della natura del consenso concesso a Mussolini da tutta la società italiana, nei suoi più diversi strati, non escluse le comunità ebraiche.

Sullo stesso tema, puoi leggere il parere di Miguel Gotor e di Gadi Luzzatto Voghera

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