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Il 27 gennaio e la pioggia sul bagnato

Oggi è il Giorno della memoria. Anna Segre, insegnante, riflette sulle difficoltà e i dubbi che pone la trasmissione della memoria nelle scuole

il liceo Alfieri di Torino

Da ebrea che insegna in una scuola pubblica (il liceo classico Alfieri di Torino) ogni anno quando si avvicina il 27 gennaio sono presa da esitazioni e dubbi: quanto e come devo darmi da fare per il Giorno della Memoria? Posso limitarmi a organizzare attività per le mie classi oppure dovrei cercare di coinvolgere altri colleghi con i loro studenti? O, invece, forse non dovrei occuparmene per nulla per non dare l’impressione che la memoria della Shoah interessi solo agli ebrei? In effetti il dovere di ricordare non spetta tanto ai figli e ai nipoti di chi ha subito discriminazione e persecuzione quanto all’intera società.

Carlo Levi (1902-1975)

Una società, però, di cui anche noi ebrei siamo parte: sarebbe troppo comodo sentirci orgogliosamente italiani solo quando si parla di Dante o di Michelangelo. E a maggior ragione se andiamo fieri della storia della nostra scuola dobbiamo assumerci anche noi la responsabilità di ricordare i suoi momenti oscuri: se vado in giro a proclamare che nella mia scuola hanno studiato Carlo Levi e Natalia Ginzburg allora dovrò anche dire che la mia scuola dall’anno scolastico 1937-38 al 1938-39 ha cacciato via ben 39 allievi e 3 insegnanti.

Esistono anche altre ragioni contingenti per cui noi insegnanti ebrei, anche non di storia, finiamo per essere coinvolti nell’organizzazione di attività legate alla memoria della Shoah. Spesso nelle nostre Comunità abbiamo accumulato esperienza di interviste o incontri con testimoni, a volte abbiamo partecipato a progetti e corsi che ci hanno fornito competenze specifiche (per esempio io sono stata intervistatrice per la Shoah Foundation), ma, soprattutto, conosciamo le persone, possiamo mettere in contatto la nostra scuola con la locale Comunità ebraica, spesso siamo in grado di rintracciare testimoni, figli, nipoti. È stato appunto questo il mio ruolo principale quando negli anni 2016-2019 alcune mie colleghe hanno lavorato sull’archivio della scuola cercando di ricostruire e poi raccontare le storie degli allievi e degli insegnanti allontanati nel 1938.

la sinagoga di Torino

Pochi giorni fa ho sperimentato un altro caso in cui noi insegnanti ebrei abbiamo la possibilità di renderci utili: le pietre d’inciampo. A volte per noi è più facile dare a quei nomi incisi una storia, e collegarla con altre storie e altri personaggi già noti. Per esempio lo scorso 13 gennaio è stata posta la pietra in ricordo di Vanda Maestro, per sette anni allieva della nostra scuola (come abbiamo potuto verificare consultando i registri): probabilmente non tutti sanno che è lei l’amica di Primo Levi catturata e deportata con lui, quella di cui parla in Se questo è un uomo descrivendo l’arrivo ad Auschwitz (Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono fra i vivi. Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo più paura).

Dunque è difficile per noi insegnanti ebrei nelle scuole pubbliche sottrarci del tutto al 27 gennaio, ed è giusto che sia così. Un conto, però, è collaborare con altri colleghi fornendo informazioni e contatti, tutt’altra cosa sarebbe metterci da soli a organizzare attività per tutta la scuola con il rischio di generare insofferenza o addirittura ostilità non solo negli allievi ma anche in alcuni colleghi. Di fronte a questo pericolo tutt’altro che remoto ho preferito finora lavorare solo con le mie classi senza imporre nulla a nessuno. Non so se questa sia la strada corretta (come ho detto all’inizio, sono piena di dubbi), ma al momento non ne vedo altre possibili.

Vanda Maestro (1919-1944)

Da questa mia esperienza personale derivano però altri dubbi più generali. Il liceo Alfieri, situato nello stesso quartiere in cui si trovano le sinagoghe e la Comunità Ebraica, è stato frequentato sia prima del 1938 sia dopo il 1945 da un numero non trascurabile di studenti ebrei e ha un corpo insegnante in gran parte sensibile ai temi della memoria, infatti ogni anno intorno al 27 gennaio fioriscono numerose iniziative e attività. Eppure non saprei dire quante delle nostre circa 45 classi siano effettivamente coinvolte, e non è affatto detto che tutti gli allievi che passano dal nostro liceo partecipino almeno una volta su cinque anni: più probabile, anzi, che alcuni siano coinvolti cinque volte e altri nessuna, a seconda degli insegnanti che hanno e della loro sensibilità. Se questo capita in una scuola come la mia cosa succederà in quelle scuole e in quelle zone d’Italia (e sono la stragrande maggioranza) in cui non si è mai visto un ebreo in carne ed ossa?

studenti in visita ad Auschwitz

Il sito del Ministero dell’Istruzione ci dice che nell’anno scolastico 2021-2022 in Italia c’erano 8511 scuole, 418.512 classi e 8.106.952 studenti. Quanti di questi svolgono attività relative alla memoria della Shoah? Quanti guardano semplicemente uno spettacolo o un video? Quanti ne parlano frettolosamente? Quanti non fanno assolutamente nulla? Temo che noi ebrei, abituati ai nostri piccolissimi numeri, quando leggiamo o sentiamo di centinaia o migliaia di belle iniziative che fioriscono in giro per Italia intorno al 27 gennaio ci lasciamo illudere dalla nostra incapacità di valutare correttamente le proporzioni.

Naturalmente queste mie considerazioni potrebbero riguardare non soltanto la Shoah ma molti altri temi, anzi, forse quasi tutto ciò che si fa nelle scuole italiane. Dunque non intendo assolutamente mettere in discussione il Giorno della Memoria. Però a volte mi sorge un dubbio: facciamo bene (per “noi” intendo lo Stato, l’Ucei, le Comunità ebraiche) a dare tanto spazio a concorsi – che quasi sempre coinvolgono allievi ed insegnanti già interessati – o a percorsi didattici lunghi e complessi che non potrebbero realisticamente essere proposti su larga scala? Per esempio a Torino il percorso didattico sulle pietre d’inciampo prevede sei incontri, una cosa praticamente impensabile per un liceo classico e in sostanza impensabile per chiunque non abbia la Shoah come unico interesse.

un viaggio della memoria

Certo, nulla vieta di promuovere attività differenti a livelli differenti, ma temo che a volte si sottovaluti il rischio di far piovere sul bagnato, cioè di darsi molto da fare per coinvolgere chi in realtà è già coinvolto e informare chi è già informato. Ma se davvero vogliamo combattere il negazionismo, la banalizzazione o la sottovalutazione della Shoah dovremmo inventarci qualcosa che ci permetta di coinvolgere i disinteressati e informare gli ignoranti.

Una risposta

  1. Buon giorno. Mi e’ capitato di parlare della Shoa in una scuola media in occasione del giorno della memoria. Feci un breve riepilogo della storia ebraica presentandola come una storia di persecuzioni. Dalla persecuzione biblica in Terra d’Egitto fino a quella nazifascista. Ottenni la massima attenzione dagli studenti. Qualche riserva da parte di alcuni insegnanti e di una rappresentante dell’ Anpi che parlo dopo di me e diede al suo commento un taglio diverso, paragonando la persecuzione ebraica alla odierna condizione dei migranti. Pensavo che forse potrebbe essere interessante per gli studenti ed utile alla causa dell’ antisemitismo fornire spiegazioni e informazioni corrette circa la formazione e l’ origine dello Stato di Israele. Un argomento che si puo’ collegare facilmente a quello della Shoa e sul quale occorre fare chiarezza perche troppo spesso oggetto di fraintendimenti che si prestano a formulare infondate accuse nei confronti dello stesso Israele, accuse che minacciano di estendersi in modo generico ed arbitrario all’intero popolo ebraico.

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