I silenzi di Giorgia Meloni non possono essere superati da una lettera
Lo scorso 25 aprile Giorgia Meloni ha scritto una lettera al Corriere della sera per mettere fine alle polemiche sul passato del partito che guida e sulla mancata condanna del fascismo. Ma è andata davvero così?
Prof. Ranzato, lo scorso 25 aprile abbiamo ricordato i 78 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Se guardiamo agli anni finali della dittatura fascista (1943–1945) e agli anni della transizione che portarono prima alla scelta della repubblica (1946) e poi all’entrata in vigore della Costituzione (1948), possiamo dire che in Italia fu combattuta una guerra civile?
In senso stretto, per il periodo 1943-45 possiamo dirlo, perché in effetti in quegli anni cittadini appartenenti in origine a uno stesso Sato combatterono gli uni contro gli altri in nome di finalità e valori completamente opposti. Ma si trattò di una guerra civile con la speciale particolarità che il suo esito dipendeva totalmente dall’esito di una guerra sovranazionale, quella tra Alleati delle Nazioni Unite e Germania nazista. In questa prospettiva la guerra civile italiana appare inscritta in una guerra di Liberazione, non solo da una qualsiasi dominazione straniera, ma dall’assoggettamento di tutti o quasi i paesi dell’Europa al nuovo ordine hitleriano, caratterizzato da un grado di oppressione e disumanità mai prima raggiunto nella storia dei popoli civili.
Da alcune parti politiche si ricordano sempre le parole del presidente della camera Violante, che parlò dei “ragazzi di Salò” con toni che oggi vengono utilizzati per giustificare una presunta equiparazione, negli ideali e nelle azioni, tra repubblichini e partigiani. Lei cosa ne pensa?
Respingo recisamente questa equiparazione. Ma vorrei sottolineare l’errore che ne è all’origine. Quando si parla dei “ragazzi di Salò” si allude alla loro possibile buona fede, all’amor di patria, al senso di un dovere di fedeltà verso l’alleato tedesco, e si potrebbero aggiungere anche quegli inconsapevoli che risposero alla chiamata alle armi della RSI per paura. Ma farsi scudo di questi “ragazzi” per un’equiparazione è un trucco, più o meno consapevole. In primo luogo perché in ogni esercito ci sono – e sicuramente anche in quello tedesco c’erano – delle brave persone. Ma fa parte dell’orrore di ogni guerra dovere uccidere anche il nemico “buono”, coscritto, perché le sue qualità morali restano sconosciute, e quello che conta sono le ragioni per cui si batte – o è costretto a battersi -. E di quell’orrore è responsabile solo chi lo ha portato in guerra per una causa infame. Ma una buona parte di quei “ragazzi” avevano fatto propria quella causa infame, e parteciparono con entusiasmo non solo alla guerra contro i partigiani, ma anche a persecuzioni e stragi contro i civili. Patrioti? Quale sarebbe stata la sorte della miserabile Italia di Salò se per avventura la Germania nazista avesse vinto la guerra? Una nazione di servitori dei dominatori tedeschi.
È corretto dire che la parola “antifascismo” non è presente nella Costituzione, come sostenuto dal presidente del Senato La Russa?
La parola non c’è. Ma che vuol dire? In una costituzione si espongono i principi e le norme fondamentali che debbono ispirare e regolare la vita associata della cittadinanza, che naturalmente implicano la non accettazione e la ripulsa di norme e principi ad essi contrari. Forse La Russa non se ne è accorto, ma non c’è articolo della nostra Costituzione, soprattutto del titolo I ma non solo, che non significhi anche la condanna di quelli su cui si basò il Regime fascista. Per non dire che il noto divieto della «riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», molto eloquente come espressione di antifascismo, è contenuto nella parte conclusiva del testo costituzionale che si intitola «Disposizioni transitorie e finali». E non può esserci dubbio che i padri costituenti lo considerassero finale.
La presidente del consiglio, Giorgia Meloni, nella sua lettera al Corriere ha scritto che nei primi anni della Repubblica fu merito anche del MSI se milioni di italiani si sentirono partecipi della costruzione dell’Italia democratica. Fu davvero così?
Non mi sembra affatto. La “nostalgia” del passato fascista è stata coltivata da Movimento Sociale per lunghi anni dopo la sua fondazione e fino alla sua scomparsa, ed ha ispirato e continuato ad ispirare anche molte formazioni di estrema destra con cui quel partito ha mantenuto rapporti quanto meno ambigui. E’ verosimile che Giorgia Meloni personalmente di quella “nostalgia” si sia finalmente liberata, ma i “nostalgici” continuano a costituire una base elettorale non trascurabile a cui non intende rinunciare. Per questo mantiene nell’emblema del suo partito la fiamma tricolore che è stata il simbolo missino e rimanda al culto del fascismo, ed è un pugno nello stomaco di tutti i democratici che hanno memoria.
A suo avviso la lettera al Corriere ha fatto chiarezza sulla totale condanna del fascismo da parte della premier?
Nella frase relativa al 25 aprile come affermazione dei valori democratici sul fascismo che li aveva conculcati la condanna c’è. Ma si limita a questo, mentre poi c’è l’elusione delle più gravi responsabilità del Regime negli scopi e nella pratica della guerra nazifascista. Anzi scantona in una sorta di equiparazione implicita tra collaborazionisti fascisti – delle cui complicità nello sterminio degli ebrei non parla – e partigiani, ripercorrendo la tradizionale versione missina della “guerra civile” e imputando loro una sua continuazione a guerra mondiale finita, come se le deprecabili giustizie sommarie di fascisti repubblicani dei due o tre mesi seguenti, potessero equipararsi al numero di vittime partigiane e civili, enormemente superiore, provocato da quelli che si erano posti al servizio dei tedeschi. Inoltre rivendica una funzione essenziale dell’ MSI nel «traghettare milioni di italiani nella nuova repubblica parlamentare», ma questo è falso, perché quel partito ha sempre evocato con nostalgia il passato Regime sconfitto, e in ogni caso è sempre rimasto ben lontano dal poter influire su convinzioni e orientamenti di un numero così cospicuo di cittadini.
È possibile oggi considerare il fascismo un periodo completamente superato? Ed è sbagliato continuare a chiedere a Giorgia Meloni una posizione esplicita sugli anni di Mussolini?
Il fascismo come puro e semplice ritorno al passato non sembra possibile. Ma non sappiamo se di fronte a una grave crisi economico-sociale il popolo italiano, e specialmente i giovani, tenuti in gran parte all’oscuro di quel passato, non possa rimanere attratto da un sistema autoritario o dittatoriale. Specialmente se gli orientamenti di “educazione nazionale” saranno rivolti a minimizzare le colpe del Regime fascista o addirittura a rivalutarlo per alcuni aspetti. Per ora il governo Meloni non lo sta facendo, ma non sappiamo cosa potrebbe fare se dura per tutta la legislatura. Occorre ricordare che Mussolini instaurò il suo regime dopo tre anni dalla nomina come capo del governo. Continuare ad incalzare la Meloni per la condanna di Mussolini può servire nella contesa politica per mostrare i suoi gravi limiti politico-culturali, non certo ad ottenerla, perché lei si è formata nella devota memoria storica del Duce, e soprattutto perché non vorrà mai perdere quella parte del suo elettorato che, anche nella successione delle generazioni, ha fatto lo stesso percorso.
Come potremmo definire l’ideologia di Giorgia Meloni e del suo partito oggi al governo: post-fascista, a-fascista, o altro?
Forse post-fascista, ma non è una definizione perfettamente calzante. In questa fase Giorgia Meloni preferirebbe silenzio e tabula rasa su tutto il passato. Non mi sembra un caso che nella lettera al “Corriere” non nomini mai “comunismo” e “comunisti”, che sono stati un forte stimolo per lo sviluppo a lungo termine del nostro sistema democratico, ma al tempo stesso una non piccola zavorra, perché sono stati legati per lungo tempo all’Unione Sovietica e al suo sistema totalitario, indicandolo come preferibile a quello della “democrazia borghese”. Ma Giorgia Meloni, al contrario di alcuni suoi sodali e colleghi di partito, non ne fa menzione, perché capisce che non può trarre grande profitto da questo, poiché da tempo non esiste più una forza politica di peso, nostalgica di quel passato comunista, a cui sottrarre voti e consensi per questo. Perciò preferisce il silenzio, perché dallo “scurdammece o passato”, può ricavare i maggiori vantaggi.
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